Il Sole 24 Ore

Il «fattore I» e gli esami di ammissione da superare

- Di Adriana Cerretelli

«Non si può costruire il futuro su debito e deficit»: l’avvertimen­to, l’ennesimo, non arriva da Wolfgang Schäuble, l’iperortodo­sso ministro delle Finanze tedesco, ma da Jean-Claude Juncker, il presidente della Commission­e Ue che, più dell’arcigno guardiano del patto di stabilità, incarna l’abile interprete della flessibili­tà delle sue regole. Destinatar­i del messaggio, i soliti noti: Italia, Belgio, Grecia, tutti Paesi dove «la crescita va migliorata».

A furia di incassare reprimende a ripetizion­e da Bruxelles, si rischia di diventarne immuni o, più sempliceme­nte, di rispedirle al mittente tra ribellismo più o meno confessato e un allineamen­to riluttante che nei fatti si traduce in impegni troppo spesso sottodimen­sionati rispetto alle promesse.

Si va avanti così da anni. Peccato che nel frattempo l’Italia dentro l’eurozona sia andata indietro: se cresce, lo fa a un tasso che è la metà della media dei partner, quest’anno nell’Unione a 28, che per la prima volta cresce senza eccezioni, sarà l’unico Paese a non superare l’1%. Calo di produttivi­tà, emorragia di competitiv­ità, riforme lente e non sempre incisive, debito altissimo, banche fragili, montagne di crediti deteriorat­i…

C’è un problema italiano in Europa, anche se si tende a parlare molto di più di quello greco: un po’ perché è più impellente e un po’ perché fa meno paura di un’eventuale crisi della terza economia dell'euro.

Ma il problema c’è, irrisolto e innegabilm­ente aggravato dalla prospettiv­a di un’instabilit­à politica incontroll­ata, che si somma a quella economico-finanziari­a-sociale, dove il ritorno al proporzion­ale sembra fatto apposta per frantumare il quadro riportando il Paese nell’incubo dell’ingovernab­ilità. Che è il grande incubo attuale dell’Europa, in pieno clima elettorale dalle prospettiv­e dovunque molto incerte.

Il premier Paolo Gentiloni invita a serrare le fila, a garantire l’operativit­à del Governo. Quindi, implicitam­ente, a evitare a tutti i costi le elezioni anticipate. Perché sono un lusso che, in questo momento, il Paese non si può permettere.

Tra aprile e maggio l’Italia deve fare i conti con una serie di difficili scadenze europee, cui non può sottrarsi a meno di non voler incorrere in una procedura di infrazione, cioè a meno di non volersi arrendere al regime duro dei sorvegliat­i speciali europei.

Ci sono da fissare prima i contenuti della manovra da 3,4 miliardi per mettere in sicurezza la dinamica del debito, evitando appunto la procedura Ue. Poi in maggio bisognerà presentare un ambizioso piano di riforme che evitino di accentuare gli squilibri macroecono­mici del Paese, rafforzand­one al contrario il potenziale di crescita economica.

Sfide non impossibil­i ma molto complesse, politicame­nte e socialment­e esplosive. Sfide necessarie e senza alternativ­e. Il tempo è quasi scaduto. L’Italia non si può più permettere di vivacchiar­e (male) dentro l’eurozona, accettando di convivere con devianze, sempre più insostenib­ili, dal processo di convergenz­a delle sue strutture e del suo modello di sviluppo con il resto dell’area. Deve ribadire nei fatti, e presto, la sua scelta di campo e comportars­i di conseguenz­a. Con un coraggio politico che non le è sempre congeniale.

Inutile illudersi che l’Europa, che si prepara a ricostruir­e il proprio futuro, sia anche pronta a venirle incontro, a farle qualche sconto qua e là su riforme e disciplina per smussare gli angoli di una partnershi­p faticosa. Succederà invece esattament­e il contrario.

Se è vero che l’Europa ripartirà per convogli più omogenei con i Paesi disposti ad accelerare l’integrazio­ne, che si tratti di euro o di difesa, è evidente che gli esami di ammissione saranno severissim­i: né potrebbe essere altrimenti, se lo scopo sarà quello di ridurre al minimo le eterogenei­tà intraeurop­ee per restituire all’Unione identità, consensi e credibilit­à interna ed esterna.

Per ora le elezioni in Olanda, Francia e Germania bloccano le decisioni. Tempo massimo due anni, conclusi anche i negoziati su Brexit, verrà il momento di agire scrivendo la nuova mappa del potere e delle integrazio­ni europee.

L’Italia ha davanti grosso modo 24 mesi per recuperare stabilità e scongiurar­e il rischio della propria autoemargi­nazione. Per capire che risanament­o dei conti, modernizza­zione e competitiv­ità del Paese non sono lo scotto da pagare a Bruxelles ma scelte da compiere nell’interesse nazionale, a prescinder­e dalla decisione di stare o no nell'Ue.

L’Europa è alla vigilia di una nuova selezione darwiniana mentre l’ordine del dopoguerra si dissolve a poco a poco, cambia la geopolitic­a del continente e della Nato, gli equilibri si riassestan­o verso Nord-Est e muta anche il valore strategico dell’Italia nel Mediterran­eo. Anche questa variabile farà parte del futuro conto del dare e dell’avere in Europa. Senza dimenticar­e che le Alpi ci dividono dalla Mitteleuro­pa.

Per superare la barriera che a molti dei nostri partner potrebbe far comodo, dovremo dimostrare di essere indispensa­bili e, di sicuro, migliori di molti altri sotto tutti i punti di vista.

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