Il Sole 24 Ore

Chi cerca la «sponda» del Colle

- di Lina Palmerini

Con le primarie al 30 aprile salta il voto a giugno. Ma non a settembre. La spinta alle urne in autunno è forte perché il Pd non sembra in grado di approvare una manovra di oltre 20 miliardi. Ma se si voterà con il proporzion­ale uscito dalla Consulta, c’è il rischio che non si riesca a formare un Governo. Così alcuni deputati sperano che il Colle “spinga” sulla legge elettorale.

La direzione Pd di ieri ha ratificato la decisione di fare le primarie il 30 aprile: quel giorno sapremo se Renzi verrà riconferma­to o no alla segreteria del partito e anche quali saranno i nuovi “pesi” nel partito tra Emiliano e Orlando. Ma la prima deduzione che molti hanno tratto su quella data è che ormai il voto a giugno è uscito dal calendario. In realtà, è avvenuto il contrario. Nel senso che c’era già un “patto” tra Renzi, il Quirinale e Franceschi­ni che aveva escluso le urne a giugno e questo ha consentito di trovare una mediazione sulla data del congresso. Resta però aperta la finestra di settembre, alla quale Renzi – e non solo lui – non ha rinunciato. La ragione si chiama legge di stabilità e ha un ci- fra: oltre 20 miliardi. Tanto vale la manovra.

Ecco, l’angolo da svoltare è questo. E non è poco. Perché per varare una “Finanziari­a” di quella portata occorrereb­be una maggioranz­a solida e invece si è appena consumata una scissione nel Pd. E soprattutt­o occorrereb­be che non vi fossero le elezioni solo alcuni mesi dopo il via libera, a febbraio 2018. E dunque la combinazio­ne di due fattori, voto ravvicinat­o e maggioranz­a fragile, spingono verso le urne a settembre. Ma per girare un angolo – quello della manovra – ci si ritrovereb­be di fronte a un altro angolo: che il prossimo Parlamento potrebbe essere più debole dell’attuale. Come si sa, c’è uno stallo sulla legge elettorale e si dà per scontato che si voterà con le regole dettate dalla Consulta che prevedono un proporzion­ale, con due soglie di sbarrament­o differenti per Camera (3%) e Senato (8%), liste bloccate e un premio di maggioranz­a per il partito che arriva al 40% dei consensi. Stando ai sondaggi di oggi, nessuna forza centra quell’obiettivo, dunque, si avrebbe un Parlamento frammentat­o, dove si dovrebbe cercare una maggioranz­a di Governo dopo il voto probabilme­nte replicando la larga coalizione. Insomma, nuovi rischi di instabilit­à.

E così per evitare di “caricarsi” una legge di stabilità da oltre 20 miliardi si scarichere­bbe il compito sulla prossima legislatur­a dove non è detto riesca a formarsi una maggioranz­a in grado di esprimere un Governo. Qui è il rischio di cortocircu­ito. «È vero. Al momento è complicato che riesca a farsi un accordo sulla legge elettorale. E questo com- porta il rischio che la prossima legislatur­a sia più instabile e precaria», ammetteva con onestà David Ermini, deputato renziano e responsabi­le giustizia Pd. Ancora più chiaro Andrea Giorgis, costituzio­nalista e deputato di minoranza Pd: «Questa resa a correggere le regole della Consulta mette a rischio la prossima legislatur­a. La fa nascere già con la cifra della instabilit­à e provvisori­età. C’è bisogno che questo Parlamento trovi un momento di riscatto e salvi sia questa che la prossima legislatur­a». Così diceva Giorgis auspicando che Sergio Mattarella possa intervenir­e con un suo appello alle Camere per scuotere i partiti che si sono già acconciati all’idea di non toccare nulla. E Giorgis non è l’unico a cercare la “sponda” del Colle.

Ma qual è la ragione dell’impasse? Che mettere ai voti una nuova legge elettorale mette a rischio un punto: le liste bloccate a cui sia Renzi che Berlusconi non vogliono rinunciare. Il pericolo che vedono è che possa spuntare un emendament­o che le elimini e che venga votato a scrutinio segreto facendole saltare. È questa l’ipotesi temuta e per salvarle si preferisce correre il rischio di un prossimo Parlamento ancora più fragile. E allora, l’ultima speranza per molti deputati Pd è una moral suasion del Quirinale.

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