Primarie il 30 aprile, la decisione Pd archivia lo scenario del voto a giugno
Decisa la road map - Il Guardasigilli: non farei il segretar io-premier. D’Alema plaude Renzi avalla l’accordo con Orlando: via libera per evitare polemiche
Il Pd trova il compromesso: le primarie che sceglieranno il nuovo leader del Pd saranno il 30 aprile. Un timing che darà al Pd un leader appena legittimato per le amministrative e che chiude definitivamente la finestra del voto politico a giugno.
Le primarie aperte per l’elezione del nuovo segretario del Pd, atto che chiude il congresso, si faranno il 30 aprile. Non il 9 aprile come volevano i renziani, non il 7 o 14 maggio come chiedevano i competitor di Matteo Renzi, il governatore della Puglia Michele Emiliano e il ministro della Giustizia Andrea Orlando. E il balletto sulle date è naturalmente legato alle possibili elezioni anticipate, che nei giorni scorsi molti davano di nuovo per possibili a giugno anche per via della fibrillazione politica determinata dalla rottura con i bersaniani e dalla conseguente nascita di un nuovo gruppo in Parlamento. Ora la finestra dell’election day politiche-amministrative l’11 giugno appare chiusa, dal momento che per votare in quella data le Camere dovrebbero essere sciolte dal presidente della Repubblica a metà aprile. «Abbiamo dato il via libera per evitare polemiche - commenta Renzi, di ritorno dalla California -. Adesso nessuno potrà più dire niente».
È stata tolta di mezzo, insomma, la presunta intenzione di Renzi di voler far cadere il governo. Come dice chiaramente Piero Fassino durante la direzione che ha dato il via libera alle regole del congresso votate all’unanimità dall’apposita commissione: «La scelta del 30 aprile chiude il dibattito sul voto politico a giu- gno, questo è un elemento di rasserenamento della situazione politica e di dibattito interno. Non c’è nesso tra il tempo del congresso e la vita del governo Gentiloni, che non è transitorio o temporaneo».
Le strade di Gentiloni e di Renzi restano dunque parallele. E non è certo nelle disponibilità di un leader di partito decidere la data delle elezioni politiche. Tuttavia i problemi evidenziati pubblicamente dallo stesso Renzi restano sul tavolo: a giugno, se non si voterà, si dovrà celebrare il referendum sui voucher. E a settembre scatteranno i famigerati vitalizi per i parlamentari di prima nomina, tema quanto mai impopolare. Non a caso il M5S ha commentato la road map del congresso Pd rilanciando sui vitalizi: «Il Pd ha appena annunciato le primarie per la pensione il 30 aprile, impedendo il voto a giugno per arrivare almeno a settembre. Miserabili»,scrive su Twitter il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Infine a ottobre andrà varata una legge di bilancio che si annuncia piuttosto pesante, dal momento che andranno trovati 19,6 miliardi solo per disinnescare l’aumento dell’Iva. Anche per questo, chiusa la finestra di giugno ( ma in caso di crisi c’è comunque il tempo per la presentazione di liste e simbolo da parte del nuovo segretario), resta aperta quella di fine settembre assieme alle elezioni tedesche.
Ad ogni modo «il partito c’è», ha sottolineato Renzi con i suoi, e le candidature in campo mostrano che è vitale anche dopo la rottura con i bersaniani. Certo, Orlando si presenta come un rivale di qualche peso che potrebbe drenare il voto degli ex diessini. Da qui, anche, la presa di posizione degli ex diessini Fassino e Maurizio Martina in favore di Renzi. Si vedrà nei prossimi giorni come queste anime si posizioneranno con eventuali liste a sostegno dei candidati: la scelta avverrà a livello locale, dal momento che per l’elezione della prossima assemblea nazionale si farà riferimento a più di 170 collegi. Intanto Orlando già si distingue rispolverando la vexata quaestio del doppio incarico segretario-premier previsto dallo statuto del Pd: «Nel momento in cui, dopo dicembre, il sistema maggioritario è venuto meno, è sempre più difficile che il segretario del partito di maggioranza relativa sia anche premier - ha detto -. Per i limiti che mi riconosco, io non farei il segretario-premier». Da qui, anche, il plauso dell’ormai fuoriuscito Massimo D’Alema: «Con Orlando segretario si potrebbe riaprire il dialogo».
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