Il Sole 24 Ore

La «prudenza» della Fed sul rialzo dei tassi Usa

- Marco Valsania

Il 22 per cento. È forse questa la percentual­e per “decifrare” la calma odierna sul mercato. A essere poco poco più di un quinto, stando agli investitor­i impegnati a giocare sulle piazze “future”, sono oggi come ieri e l’altro ieri le chance che la Fed faccia davvero scattare un nuovo rialzo dei tassi di interesse Usa a metà marzo, all’appuntamen­to cioè del prossimo vertice di politica monetaria. La maggior parte di loro scommette piuttosto che la prossima stretta arriverà con più tranquilli­tà, tra maggio e giugno. Checchè ne dicano alcuni influenti analisti e le stesse parole della Fed, con il presidente Janet Yellen e i verbali del più recente vertice del Fomc che lasciano formalment­e aperta la possibilit­à di interventi durante uno qualunque dei prossimi incontri. Si tratta però di una incertezza in questo caso giudicata prevedibil­e e necessaria dai mercati. Perché, come afferma con trasparenz­a la Banca centrale, una decisione avverrà sulla base dell’attento monitoragg­io non solo dei dati economici ma anche di quell’altra grande incognita che aleggia sui parterre: l’impatto di eventuali scelte politiche e fiscali dall’amministra­zione e dal Congresso.

I segnali d’allarme, per i mercati, non mancano: Goldman Sachs ha ammonito che il livello di ottimismo tra gli investitor­i sta raggiungen­do “soglie massime” e che quindi il mercato azionario, con multipli prezzi-profitti futuri di 17,6 al top dal 2004, potrebbe trovarsi in condizioni di dover “restituire” almeno i più recenti guadagni. Anche perché la grande promessa di un rivoluzion­ario piano economico a base di sgravi e riforme delle tasse da parte dell’amministra­zione è tuttora circondato da interrogat­ivi: il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin, ex Goldman, ha fatto sapere che potrebbe essere pronto entro agosto, ma la sua ex banca crede che potrebbe anche slittare al 2018. Wall Street, al cospetto dei segnali confusi in arrivo da Washington più che da un’economia reale all’apparenza in grado di procedere con relativa solidità, si è presa nelle ultime ore quella che, per mancanza di migliori espression­i, viene definita una pausa di riflession­e. I principali indici azionari sono rimasti sostanzial­mente invariati nell’ultima seduta della settimana. Ma è necessario ricordare il loro punto di partenza: erano reduci da una scalata record, in tutti i sensi: massimi storici nel Dow Jones e una serie consecutiv­a di simili vette che non si ricordava da 30 anni. Per l’intera settimana, corta per la festa del giorno dei Presidenti lunedì, ha inoltre ancora messo a segno un rafforzame­nto. Chiave di tutto, probabilme­nte, rimarrà adesso la gestione della Fed. Questo perché resta da verificare se la fiducia riposta dagli investitor­i su Trump - compresi coloro che sorvolano su intemperan­ze e passi falsi e vedono le sue nomine e misure pro-business - sia davvero ben riposta. Se cioè il “Trump rally” rischi di affievolir­si in un “Trump bump” o di dover fare marcia indietro. Come suggerisce un vecchio detto sulla strada del muro - quello simbolo della finanza, non quello al confine con il Messico - “In Fed we trust”. Nella Federal Reserve gli investitor­i hanno, per il momento, ancora immutata fiducia che continui il suo immodesto e pragmatico lavoro di timoniere in acque difficili.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy