Quel progetto archiviato in 5 settimane
Dalle parole di Messina («Ci sono momenti in cui un’azienda deve chiedersi se fare passi di crescita») alle perplessità degli analisti
Il sogno di un asse Torino-Milano-Trieste è finito in un cassetto quattro settimane e mezzo dopo essere venuto allo scoperto. Anche perché da allora era diventato quasi un incubo: le indiscrezioni di stampa, i movimenti di mercato (Intesa ha perso il 15,9%, Generali ha guadagnato il 2,8%), le perplessità degli analisti e degli investitori hanno alzato la pressione su una partita che, nei piani di Carlo Messina e dei collaboratori con cui ha condiviso l’analisi in questa fase così calda, avrebbe richiesto più tempo e più calma.
Certo, rispetto a cinque settimane fa parecchio è cambiato: gli appetiti esteri su Generali oggi sono ridimensionati, il Leone si è posto subito sulla difensiva e un altro potenziale protagonista della vicenda, UniCredit, ha portato a casa un aumento da 13 miliardi. Soprattutto, non è emerso un valore aggiunto industriale (e quindi finanziario) sufficiente a giustificare un matrimonio che, se mai si fosse celebrato, sarebbe comunque stato più d’interessi che di sentimenti. Di qui, il passo indietro della banca comunicato ieri.
E pensare che quattro settimane fa, nella serata torinese per festeggiare i 10 anni di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina aveva fatto chiaramente intendere che l’attenzione, e la voglia di prendere l’iniziativa, non mancavano. Di ritorno dall’incontro con Vladimir Putin a Mosca, in un lungo intervento in cui la parola “Generali” non era neanche mai stata pronunciata, il ceo aveva tracciato un vero e proprio elo- gio della crescita per linee esterne: «Ci sono momenti in cui un’azienda deve chiedersi se è necessario fare ulteriori passi di crescita», aveva detto il manager. Davanti a lui, in prima fila, erano seduti Giovanni Bazoli ed Enrico Salza, che proprio di ritorno da Trieste, nel 2006, avevano “visto” per la prima volta quella che sarebbe diventata la prima banca italiana. I cerchi a volte si chiudono, e al grattacielo di Renzo Piano, in una specie di festa di famiglia, quella sera in molti avevano pensato che dopo dieci anni i tempi fossero maturi per una nuova impresa. Compiuta anche per spirito di patria, visto che «mi fa ridere che quando si parla di difesa dell’italianità lo si faccia in francese», come aveva detto Messina.
Ma la crescita, aveva aggiunto, «va accompagnata a condizioni adeguate di prezzo»: e il prezzo, evidentemente, non si è ritenuto quello giusto. Messina è uomo di mercato, e il mercato non ha mostrato di gradire. Per molti analisti la soglia critica, quella che avrebbe aumentato in misura forse determinante le possibilità di riuscita di un’eventuale offerta pubblica di scambio - che la banca ha sempre smentito di avere allo studio - erano i 17 euro, un premio (per un titolo che oggi vale 14,1 euro) evidentemente eccessivo, o comunque troppo oneroso per non intaccare il capitale e garantire i dividendi. A quanto risulta, al tavolo in cui si è esaminato il dossier - oltre a Messina, il chief governance officer Paolo Grandi, Leonardo Totaro di McKinsey, l’avvocato Carlo Pedersoli - si sarebbe al massimo ragionato intorno ai 15 euro, con un premio da corrispondere ai soci di Generali per lo più “in natura”. Offrendo loro, cioè, un posto in un nuovo grande gruppo dalle notevoli prospettive di crescita.
Serviva più tempo, però. Per conoscere meglio Generali e per approfondire il perimetro e i connotati di un progetto industriale che in Europa oggi non avrebbe precedenti ritenuti interessanti. «Ci prenderemo il tempo che serve», dichiarava Messina agli analisti presentando i conti del 2016, il 3 febbraio, dopo che in mattinata - in un comunicato ufficiale - il dossier Generali era stato già derubricato a un case study, «nell’ambito delle molteplici valutazioni che il management della Banca svolge regolarmente in tema di opzioni di crescita endogena ed esogena del Gruppo». Molto i più, in effetti, non c’è mai stato. Tanto è vero che al consiglio di amministrazione non è mai stata sottoposta alcuna decisione, ma solo un aggiornamento delle riflessioni in corso. A quanto pare, nel board il clima era favorevole. Ma da più parti sarebbe arrivata la richiesta di approfondire, per tenere fede alle condizioni poste da Messina: i benefici in termini di crescita, senza danni collaterali su capitale e ritorni. È così che per gli stessi motivi con cui Intesa ha aperto il dossier, alla fine ha deciso di chiuderlo.rlo.