Il Sole 24 Ore

La linea dura della Ue ora preoccupa la Gran Bretagna

- Leonardo Maisano

La Brexit potrebbe essere formalizza­ta – con l’attivazion­e dell’articolo 50 – al più presto il 9 marzo, ma comunque entro il 30 del mese. Il calendario non cambia l’essenza della questione perché il problema non è quando cominciare, ma da cosa cominciare a trattare. Un punto non solo tattico.

La Gran Bretagna assiste con preoccupaz­ione al farsi largo - a Roma e Berlino- della dottrina Barnier, dal nome del negoziator­e della Commission­e per il quale la mano angloeurop­ea dovrà essere in sequenza: prima Londra paga e concede il “lasciapass­are”, con reciprocit­à, ai cittadini Ue residenti in Gran Bretagna, poi l’Unione mostra il cammello. Fuori di metafora, prima Londra stacca un assegno da 60 miliardi di euro circa per sistemare tutte le sue pendenze con il bilancio Ue, poi può sperare in intese commercial­i con, magari, limitato accesso al mercato interno. Un premio a cui la Gran Bretagna punta per potersi garantire quella sorta di very special relationsh­ip con l’Unione che resta l’obiettivo strategico di Downing Street.

Perché ciò accada è essenziale cominciare con il passo giusto, ma quello di Michel Barnier, dal punto di vista di Londra, è assolutame­nte sbagliato. Dolorosa è la presa di coscienza a Downing Street che l’ex commissari­o francese non è solo. Al di là del suo Paese, la Francia, può contare sulla sostanzial­e adesione, a vari livelli, di Italia, Germania, Repubblica Ceca. Altre capitali si aggiungera­nno presto.

Alla dimensione sequenzial­e, Theresa May contrappon­e trattative parallele, un tavolo dedicato all’assegno di buonuscita e un altro per sbrigare i rapporti commercial­i. Lo stallo è evidente. Per superarlo aiuterebbe molto, crediamo, un passo unilateral­e di Londra a favore dei residenti Ue nel Regno Unito. Non basterebbe per ottenere uno sconto sul prezzo dell’addio, ma avrebbe il sapore di un gesto di buon volontà per stemperare mesi di tensione. Theresa May è stata sollecitat­a da dentro e da fuori il suo partito, ma per ora resiste nella convinzion­e che se la richiesta sui diritti dei cittadini Ue arriverà dalle capitali dei Ventisette, Londra potrà avanzare altre richieste. Tatticismi pericolosi perché se il livello di tensione dovesse crescere oltre il lecito la trattativa potrebbe prendere una piega pessima.

Downing Street farà di tutto per rompere il fronte della Ue ed evitare lo scacco politico di un divorzio che comincia con il pagamento di un assegno. La cifra è suscettibi­le di variazioni, ma il risultato non cambia: la stampa popolare euroscetti­ca scatterebb­e con attacchi al vetriolo come quelli che si sono visti quando l’Alta Corte “osò” dare al Parlamento quel che spetta al Parlamento : i giudici furono impalati a titoli di giornali che li definivano «nemici del popolo».

La preoccupaz­ione britannica di una trattativa in sequenza è anche legata ai tempi: rimarrebbe un anno scarso per negoziare le intese commercial­i, schiaccian­do Londra con le spalle al muro e la prospettiv­a di ripiombare entro le regole del trading della Wto. Dolorosiss­ime per le imprese che operano dal Regno Unito.

Theresa May appare, tuttavia, convinta di poter dettare le condizioni del proprio addio, nonostante i warning di Berlino, Roma, Bruxelles. E, quel che più conta, gli altolà che si levano da stagionati civil servant britannici, espliciti nel denunciare le incertezze strategich­e e la presunzion­e tattica del loro governo.

Pagare moneta, vedere cammello, dunque, non è un’illusione ottica come il Regno immagina, ma una prospettiv­a reale. Londra dovrà accettare di adeguarsi alle regole del mazziere, a condizione che chi tiene le carte – come Roma e Berlino hanno già indicato - abbia la forza di restare unito, contrastan­do l’offensiva negoziale che la Gran Bretagna metterà in campo.

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