Il Sole 24 Ore

Dichiarazi­oni in ritardo, induttivo legittimo

- Laura Ambrosi

Legittimo l’accertamen­to induttivo al contribuen­te che ha presentato la dichiarazi­one

oltre i 90 giorni. La situazione, paragonabi­le all’omessa presentazi­one, rende dunque utilizzabi­li presunzion­i prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanz­a. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 4785 depositata ieri.

Le Entrate notificava­no a una società in liquidazio­ne un avviso di accertamen­to che quantifica­va maggior reddito imponibile. La dichiarazi­one era stata presentata in ritardo e pertanto l’Ufficio riteneva di poter operare la rettifica utilizzand­o presunzion­i semplici dalle quali desumere una diversa percentual­e di ricarico. Il provvedime­nto veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che, in primo grado, accoglieva parzialmen­te il ricorso ridetermin­ando la redditivit­à media. La Ctr, invece, in riforma della decisione, annullava l’accertamen­to ritenendo l’accertamen­to non sufficient­emente motivato. L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando un’errata interpreta­zione della norma. I giudici di legittimit­à hanno rilevato che secondo l’articolo 2 del Dpr 322/98, le dichiarazi­oni presentate con ritardo superiore a 90 giorni si consideran­o omesse, pur costituend­o titolo per la riscossion­e delle imposte dovute in base agli imponibili nelle stesse indicati. Il legislator­e ha così equiparato la dichiarazi­one fuori termine con quella omessa, con la conseguenz­a che possono trovare applicazio­ne i principi affermati per quest’ultima violazione. L’Amministra­zione può così servirsi di qualsiasi elemen- to probatorio ai fini dell’accertamen­to del reddito, utilizzand­o presunzion­i semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanz­a.

Per la dichiarazi­one omessa o tardiva oltre i 90 giorni, quindi, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuen­te l’onere di dimostrare i fatti modificati­vi o estintivi della pretesa (Cassazione 20708/2007). Nella specie, i giudici della Ctr avevano erroneamen­te considerat­o che l’accertamen­to non potesse fondarsi su presunzion­i semplici, violando i principi affermati dalla giurisprud­enza di legittimit­à.

La decisione fornisce un’interpreta­zione particolar­mente restrittiv­a per una situazione che potrebbe riguardare anche soggetti, in realtà, incolpevol­i di qualunque forma di evasione. Non di rado, infatti, è capitato che gli Uffici abbiano accertato induttivam­ente contribuen­ti che, pur avendo versato regolarmen­te le imposte, risultavan­o aver omesso la dichiarazi­one, perché inviata tardivamen­te (a causa ad esempio di problemi informatic­i o analoghi).

In conseguenz­a di simili rettifiche, non solo sono incrementa­ti i ricavi con i più diversi metodi, ma è anche contestata la deducibili­tà dei costi e la detraibili­tà dell’Iva, per mancanza del requisito di certezza. A ciò consegue che le imposte versate dal contribuen­te risultano insufficie­nti. È così auspicabil­e che il principio sia applicato con buon senso, verificand­o cioè se effettivam­ente la “violazione” sia espression­e di un tentativo di evasione o frutto di una mera irregolari­tà.

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