Dichiarazioni in ritardo, induttivo legittimo
Legittimo l’accertamento induttivo al contribuente che ha presentato la dichiarazione
oltre i 90 giorni. La situazione, paragonabile all’omessa presentazione, rende dunque utilizzabili presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Così la Corte di cassazione con la sentenza n. 4785 depositata ieri.
Le Entrate notificavano a una società in liquidazione un avviso di accertamento che quantificava maggior reddito imponibile. La dichiarazione era stata presentata in ritardo e pertanto l’Ufficio riteneva di poter operare la rettifica utilizzando presunzioni semplici dalle quali desumere una diversa percentuale di ricarico. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che, in primo grado, accoglieva parzialmente il ricorso rideterminando la redditività media. La Ctr, invece, in riforma della decisione, annullava l’accertamento ritenendo l’accertamento non sufficientemente motivato. L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando un’errata interpretazione della norma. I giudici di legittimità hanno rilevato che secondo l’articolo 2 del Dpr 322/98, le dichiarazioni presentate con ritardo superiore a 90 giorni si considerano omesse, pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili nelle stesse indicati. Il legislatore ha così equiparato la dichiarazione fuori termine con quella omessa, con la conseguenza che possono trovare applicazione i principi affermati per quest’ultima violazione. L’Amministrazione può così servirsi di qualsiasi elemen- to probatorio ai fini dell’accertamento del reddito, utilizzando presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Per la dichiarazione omessa o tardiva oltre i 90 giorni, quindi, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare i fatti modificativi o estintivi della pretesa (Cassazione 20708/2007). Nella specie, i giudici della Ctr avevano erroneamente considerato che l’accertamento non potesse fondarsi su presunzioni semplici, violando i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
La decisione fornisce un’interpretazione particolarmente restrittiva per una situazione che potrebbe riguardare anche soggetti, in realtà, incolpevoli di qualunque forma di evasione. Non di rado, infatti, è capitato che gli Uffici abbiano accertato induttivamente contribuenti che, pur avendo versato regolarmente le imposte, risultavano aver omesso la dichiarazione, perché inviata tardivamente (a causa ad esempio di problemi informatici o analoghi).
In conseguenza di simili rettifiche, non solo sono incrementati i ricavi con i più diversi metodi, ma è anche contestata la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’Iva, per mancanza del requisito di certezza. A ciò consegue che le imposte versate dal contribuente risultano insufficienti. È così auspicabile che il principio sia applicato con buon senso, verificando cioè se effettivamente la “violazione” sia espressione di un tentativo di evasione o frutto di una mera irregolarità.