Tra penale e amministrativo incostituzionalità con peso diverso Esecuzione delle sanzioni, regge il doppio binario
Regge il doppio binario penale-amministrativo anche per quanto riguarda gli effetti di una norma dichiarata incostituzionale. La Consulta, con la sentenza n. 43 depositata ieri, ha infatti giudicato infondata la questione di legittimità sollevata dal tribunale di Como che contestava proprio una delle norme della legge sul funzionamento della Corte costituzionale, l’articolo 30 quarto comma della legge n. 87 del 1953. La disposizione stabilisce che «quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali». Una norma che sarebbe viziata da illegittimità perchè esclude la propria applicabilità alle sentenze con le quali è stata inflitta una sanzione amministrativa qualificabile come penale sulla base dei principi della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Riecheggia, è evidente, il tema dell’afflittività delle sanzioni amministrative e del loro intreccio con quelle penali per le stesse condotte. Tema di grande attualità dopo che, nel 2014, la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Grande Stevens ha considerato come sia possibile un caso di bis in idem quando la sovrapposizione della misura amministrativa a quella penale, e viceversa, conduce a un trattamento troppo penalizzante.
In questo caso, tuttavia, la Corte costituzionale ricorda che la norma contestata rappresenta uno dei casi di incrinatura del principio di intangibilità del giudicato proprio in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà e altri diritti fondamentali della persona. Inoltre, avverte la Consulta, Va tenuto presente come la Corte europea ha previsto che le garanzie della Convenzione devono essere applicate a tutte quelle sanzioni che, anche se non qualificate come penali dagli ordinamenti nazionali, sono rivolte alla generalità dei cittadini; puntano a uno scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo; hanno una connotazione afflittiva, potendo raggiungere un rilevante grado di severità. Le ulteriori forme di tutela previste dal diritto nazionale rientrano invece nel perimetro di valutazione di ciascuno Stato.
E allora, prosegue la sentenza, a dovere essere verificato è se nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si può trovare un principio analogo a quella dell’articolo 30 della legge 87/53. La risposta della Corte costituzionale è negativa: tutti i precedenti che il tribunale di Como aveva utilizzato per corroborare la tesi dell’incostituzionalità vengono, a vari titolo, considerati incoerenti. Tanto che la sentenza ne conclude che «nella giurisprudenza della Corte europea non si rinviene, allo stato, alcuna affermazione che esplicitamente o implicitamente possa avvalorare l’interpretazione dell’articolo 7 della Cedu nel significato elaborato dal giudice rimettente, tale da esigere che gli Stati aderenti sacrifichino il principio dell’intangibilità del giudicato nel caso di sanzioni amministrative inflitte sulla base di norme successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime. Ne consegue la non fondatezza della denunciata violazione degli obblighi internazionali, di cui all’articolo 117, primo comma, della Costituzione».
Giudizio di i nfondatezza poi anche per la richiesta, sempre avanzata dal tribunale di Como, di un’estensione della portata applicativa della norma alle ipotesi di sanzioni che, anche se qualificate formalmente come amministrativa, sarebbero invece nei fatti penali. La Consulta ritiene che sia scorretto il presupposto e cioè che le garanzie previste dal diritto nazionale per la pena devono valere anche per le sanzioni amministrative “parapenali”.