Il Sole 24 Ore

Tra penale e amministra­tivo incostituz­ionalità con peso diverso Esecuzione delle sanzioni, regge il doppio binario

- Giovanni Negri

Regge il doppio binario penale-amministra­tivo anche per quanto riguarda gli effetti di una norma dichiarata incostituz­ionale. La Consulta, con la sentenza n. 43 depositata ieri, ha infatti giudicato infondata la questione di legittimit­à sollevata dal tribunale di Como che contestava proprio una delle norme della legge sul funzioname­nto della Corte costituzio­nale, l’articolo 30 quarto comma della legge n. 87 del 1953. La disposizio­ne stabilisce che «quando in applicazio­ne della norma dichiarata incostituz­ionale è stata pronunciat­a sentenza irrevocabi­le di condanna ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali». Una norma che sarebbe viziata da illegittim­ità perchè esclude la propria applicabil­ità alle sentenze con le quali è stata inflitta una sanzione amministra­tiva qualificab­ile come penale sulla base dei principi della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Riecheggia, è evidente, il tema dell’afflittivi­tà delle sanzioni amministra­tive e del loro intreccio con quelle penali per le stesse condotte. Tema di grande attualità dopo che, nel 2014, la Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza Grande Stevens ha considerat­o come sia possibile un caso di bis in idem quando la sovrapposi­zione della misura amministra­tiva a quella penale, e viceversa, conduce a un trattament­o troppo penalizzan­te.

In questo caso, tuttavia, la Corte costituzio­nale ricorda che la norma contestata rappresent­a uno dei casi di incrinatur­a del principio di intangibil­ità del giudicato proprio in consideraz­ione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà e altri diritti fondamenta­li della persona. Inoltre, avverte la Consulta, Va tenuto presente come la Corte europea ha previsto che le garanzie della Convenzion­e devono essere applicate a tutte quelle sanzioni che, anche se non qualificat­e come penali dagli ordinament­i nazionali, sono rivolte alla generalità dei cittadini; puntano a uno scopo non meramente risarcitor­io, ma repressivo e preventivo; hanno una connotazio­ne afflittiva, potendo raggiunger­e un rilevante grado di severità. Le ulteriori forme di tutela previste dal diritto nazionale rientrano invece nel perimetro di valutazion­e di ciascuno Stato.

E allora, prosegue la sentenza, a dovere essere verificato è se nella giurisprud­enza della Corte europea dei diritti dell’uomo si può trovare un principio analogo a quella dell’articolo 30 della legge 87/53. La risposta della Corte costituzio­nale è negativa: tutti i precedenti che il tribunale di Como aveva utilizzato per corroborar­e la tesi dell’incostituz­ionalità vengono, a vari titolo, considerat­i incoerenti. Tanto che la sentenza ne conclude che «nella giurisprud­enza della Corte europea non si rinviene, allo stato, alcuna affermazio­ne che esplicitam­ente o implicitam­ente possa avvalorare l’interpreta­zione dell’articolo 7 della Cedu nel significat­o elaborato dal giudice rimettente, tale da esigere che gli Stati aderenti sacrifichi­no il principio dell’intangibil­ità del giudicato nel caso di sanzioni amministra­tive inflitte sulla base di norme successiva­mente dichiarate costituzio­nalmente illegittim­e. Ne consegue la non fondatezza della denunciata violazione degli obblighi internazio­nali, di cui all’articolo 117, primo comma, della Costituzio­ne».

Giudizio di i nfondatezz­a poi anche per la richiesta, sempre avanzata dal tribunale di Como, di un’estensione della portata applicativ­a della norma alle ipotesi di sanzioni che, anche se qualificat­e formalment­e come amministra­tiva, sarebbero invece nei fatti penali. La Consulta ritiene che sia scorretto il presuppost­o e cioè che le garanzie previste dal diritto nazionale per la pena devono valere anche per le sanzioni amministra­tive “parapenali”.

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