Le bordate di «The Donald» per rassicurare i conservatori
Il presidente fa le prove generali del Discorso all’unione di martedì
«Cannonate» di prova. Dalla politica estera a quella domestica, dallo spettro di una nuova guerra fredda atomica con la Russia fino all’affermazione indiscussa e nazionale dei valori di un nuovo movimento populista-conservatore, ancorato dal primato dei “nostri” cittadini protetti da un muro con il Messico - che verrà innalzato a tempo di record - e dall’espulsione di “bad dudes”, di clandestini-brutta gente. «Uomini e donne dimenticati d’America non saranno più dimenticati». E il partito repubblicano «diventerà il partito dei lavoratori americani».
Bordate di prova perché Trump le ha scagliate, in gran parte, davanti al pubblico fedele del consesso annuale dei conservatori, in preparazione del discorso sullo stato dell’Unione di martedì prossimo. O per essere più corretti, visto che è il suo primo intervento del genere, il discorso al Congresso a Camere riunite sullo stato delle sue promesse. Proprio per questo le sue ampie prese di posizione sono riecheggiate ovunque, vero battesimo del fuoco della nuova e inedita leadership americana, nonché conferma delle incognite che gravano sulla sua identità e i suoi programmi.
Trump ieri ha passato in rassegna promesse e rivendicazioni come un’armata pronta alla lotta politica dentro e fuori i confini per rafforzare la sua autorevolezza, messa finora in discussione soprattutto da passi falsi, faide e confusione nella neonata amministrazione. Ha sfoderato gli artigli contro critici interni e avversari esterni, contro l’Fbi e i media come al cospetto dell’amico-nemico che siede a Mosca. A Putin, nonostante sia in gioco un “reset” dei rapporti bilaterali per migliorarli, ha fatto sapere che non prende alla leggera la sua aggressività bellica e che Washington intende riaffermare la supremazia negli arsenali nucleari. Sarebbe «magnifico» se nessuno avesse armi ato- miche, ha detto a Reuters prima ancora di salire sul palco del Conservative Political Action Committee. Visto che così non è, gli Usa devono essere «alla guida dal branco» mentre oggi «sono scivolati indietro nel militare nucleare». Questo sarebbe avvenuto nonostante gli Usa - con 6.800 testate contro le 7mila del Cremlino - abbiano in corso un piano da mille miliardi di modernizzazione di missili e sottomarini nucleari scattato sotto Obama. E con la Russia siano tenuti a limitare gli arsenali dall’accordo New Start, inviso però a Trump.
Ma il presidente ha fatto la voce grossa anche e soprattutto contro le «fronde» nel suo stesso governo e contro i critici americani della sua Casa Bianca. Il Federal Bureau of Investigation è stato aggredito per «soffiate» ai suoi danni; i media quale simbolo di un’opposizione «disonesta», che deve smettere di ricorrere a fonti anonime ed è «nemica del popolo» che lo ha portato alla vittoria. Su Twitter aveva scandito fin dall’alba: «L’Fbi è totalmente incapace di fermare fughe di notizie sulla sicurezza nazionale che hanno permeato a lungo il governo». Ancora: «Informazioni classificate vengono date ai media e potrebbero avere effetti devastanti per gli Usa. TROVATE I RESPONSABILI». Sicuramente le ultime «soffiate» sono state imbarazzanti per Trump, mantenendo vive le polemiche su potenziali scandali: la rete tv Cnn - che ha apostrofato come Clinton News Network - e l’agenzia di stampa Ap hanno separatamente riportato che la Casa Bianca - compreso il capo di staff Reince Priebus - aveva chiesto all’Fbi di negare l’esistenza di contatti, o di indagini sui possibili rapporti, tra emissari di Trump e la Russia. L’Fbi aveva rifiutato.
Il presidente ha replicato alle polemiche rivendicando piuttosto le promesse già mantenute o che intende mantenere rapidamente. «Sto rispettando gli impegni che avevo preso», ha dichiarato. Promesse che ha elencato nell’intervento al CPac, una audience in passato ostile a un leader
considerato “spurio” ma ora grata per il suo successo e che ha allontanato dal convegno sostenitori di Trump giunti del mondo dal Alt Right, dalla destra estrema, che ne avrebbe turbato l’immagine. Ecco, nelle parole di Trump, la lotta agli immigrati clandestini perché «i nostri cittadini vengono prima di tutti». Nessuna menzione delle crisi diplomatiche aperte dalla sua strategia: il difficile viaggio di due giorni in Messico appena concluso dal Segretario di Stato Rex Tillerson e da quello della Homeland Security John Kelly, costretto a smentire Trump sulla natura “militare” e di massa delle retate anti-immigrati che minaccerebbero di spedire a sud del Rio Grande molti cittadini non messicani. Sul grande muro di confine ha assicurato che «verrà costruito prima del previsto».
Ed ecco l’impegno a cancellare e rimpiazzare Obamacare, la riforma sanitaria che definisce «un disastro». La decisione di far sparire il 75% delle regolamentazioni, quelle considerate nocive alla crescita economica e al business, alla quale ha dato seguito firmando in serata un ordine esecutivo che prescrive a tutte le agenzie federali di dar vita a una task force che riesamini le normative e raccomandi il da farsi. Un «disastro» sarebbe anche l’eredità di politica commerciale e estera con la quale ha a che fare. «Quando è l’ultima volta che abbiamo vinto qualcosa? Non preoccupatevi, ora vinceremo e vinceremo alla grande», ha sottolineato. Sull’interscambio ha rilanciato le denunce contro quelli che considera pessimi accordi di libero scambio da riscrivere. E sul Medio Oriente, in particolare, ha fustigato una spesa di seimila miliardi di dollari in pochi anni che ha lasciato una situazione peggiorata, tanto che sarebbe stato meglio «se il presidente americano fosse andato tutti i giorni in spiaggia» e i soldi fossero stati investiti in un’altra ricostruzione. La ricostruzione, è il messaggio che risuona nella sala del Cpac e fuori da quelle mura, della sua America.