Sfuma l’effetto Trump sul dollaro e sui Treasury
Crescono i dubbi sui tempi e l’efficacia delle r iforme economiche promesse dal Presidente Usa e si riducono le aspettative di inflazione Solo la Borsa di Wall Street resta vicina ai livelli record, ma a prezzo di un crescente nervosismo
Parrebbe che le prospettive di medio lungo periodo siano migliori di quelle a breve per le borse e in particolare per Wall Street. Quanto meno, spiegano gli investitori suggestionati dai positivi effetti della reflazione, il futuro dei mercati sarà più coerente con il reale andamento dell’economia: che, ovviamente, si presume migliore dell’attuale. Non avendo una pallida idea di come sarà l’economia nel 2028 o nel 2019, e tanto meno di come si saranno comportati i mercati, si può solo osservare che Wall Street ha marciato fino adesso a gonfie vele, proprio scontando i miracoli promessi da Donald Trump, mentre Treasury e dollaro, entrambi in fase di evidente correzione dai livelli toccati nell’euforia di novembre e dicembre, sembrano essere stati colti dai dubbi. Su una cosa si può concordare: che il presente è indecifrabile, poiché le ragioni che da qualche mese muovono i mercati sono quasi solo di natura politica o, se si preferisce, di come la politica è percepita nella psicologica dei diversi attori.
Se in America prevale un ostinato ottimismo per la presunta «rivoluzione Trump», in Eurozona il tema dominante è la scommessa su una relativamente prossima disgregazione dell’euro. A scandire e a dosare le probabilità di un tale evento sono i sondaggi sulle intenzioni di voto alle prossime presidenziali francesi e, in Italia, l’incomprensibile attrazione verso il disastro nel partito di governo. Mentre al di là delle Alpi si nota qualche allentamento della tensione, come è avvenuto qualche giorno fa con il ritiro del candi- dato Bayrou, cosa che irrobustirebbe un poco la coalizione centrista, da noi non c’è nemmeno la speranza di una resipiscenza negli uomini di quello che un tempo era il partito di maggioranza relativa. E l’allargamento dello spread tra Btp e Bund sopra i 200 punti, ne è la prova; mentre quello dell’omologo titolo francese ha visto calare significativamente il differenziale di rendimento.
Nel medio periodo le cose andrebbero meglio è il succo di una interessante analisi di Massimo Figna di Tenax Capital. La tesi è statisticamente dimostrabile osservando che, con tassi d’inflazione compresi tra 1% e 3%, l’S&P è cresciuto mediamente tra l’8,6 e il 10,6%, nettamente meglio che in altre condizioni. Ora, è la conclusione, con la politica di Trump, capace di generare inflazione e accelerazione della crescita, il futuro della borsa è assai più brillante, in particolare per i titoli finanziari e i multipli sugli utili possono salire ulteriormente.
A parte il fatto che questi multipli sono già ai massimi storici, se li si misura sugli utili conseguiti, mentre quelli attesi sono gonfiati dall’ottimismo, non è detto che la rivoluzione economica promessa da Trump possa davvero generare una crescita superiore al 3% e che il rialzo dell’inflazione sia il genuino risultato di un nuovo boom economico, piuttosto che l’effetto di misure protezionistiche. E non è detto che gli utili societari possano significativamente crescere senza quell’aumento della produttività che caratterizzava le fasi d’espansione nei precedenti cicli economici.
I dubbi sul futuro sono ancor più giustificati se si considera che, già ora, stanno montando le perplessità sulla promessa rivoluzione Trump. Come s’è capito dalle parole del segretario al Tesoro Steven Mnuchin, l’attesa riforma fiscale difficilmente vedrà la luce quest’anno e parrebbe alquanto mitigata rispetto alle aspettative. Lo stesso piano per le infrastrutture, secondo alcuni analisti, potrebbe essere approvato dal Congresso nel corso del 2018 e il dibattito attorno alla border tax (tassa sulle importazioni) non sta prendendo la piega che avrebbe desiderato il nuovo presidente. Il calo dei rendimenti dei Treasury (il decennale è sceso al 2,32%, il minimo dal 18 novembre) e un dollaro che s’è rimangiato metà del rialzo accumulato, sembrano segnalare che anche le scommesse inflazionistiche del «rialzo Trump» si stanno ridimensionando. Di pari passo si sono pure ridotte le aspettative di rialzo dei tassi Fed. Per tenere vivi i successi di Wall Street, non sarà sufficiente il crescendo di aggettivi con cui il presidente ha annunciato la riforma fiscale.
Il Treasury Usa a 10 anni rende il 2,31%. A dicembre aveva toccato il 2,6%. Il rendimento è tornato ai livelli del 18 novembre
Rendimento Treasury 10 anni
Gli indici
Stoxx