Rbs, nove bilanci consecutivi di maxi-perdite
Rosso 2016 a 7 miliardi di sterline
pLa liquidazione del proprio passato spinge Royal bank of Scotland verso il fondo per la nona volta di fila. È dal 2008 che la banca, un tempo reginetta d’Europa, infila risultati annuali in perdita, ma quella del 2016 è da record, o quasi: 7 miliardi di sterline. A determinarla è stata soprattutto la liquidazione di partite one off, penali dei regolatori e i ndennizzi per aver piazzato prodotti tossici sul mercato americano. Tuttavia i numeri sono peggiori delle previsioni dopo i 2 miliardi di perdita dello scorso anno e il consenso degli analisti che indicava il rosso 2016 a quota 6 miliardi. La ricaduta sul titolo è stata immediata con uno scivolone del 2% nonostante alcuni analisti riescano a leggere i numeri in chiaroscuro. «La storia pesa – ha dichiarato Sandy Chen di Cenkos al Financial Times – ma la performance (underlying n.d.r.) della banca è solida e la patrimonializzazione è forte». Punto questo incontestabile anche se il Cet1 è ora passato dalla soglia del 15,5% al 13,4 per cento. I costi di ristrutturazione ammontano a circa 2 miliardi di sterline di cui 750 vanno imputati al nuovo piano per risolvere la querelle della controllata Williams Glynn che in base alle intese con Bruxelles sugli aiuti di stato avrebbe dovuto essere ceduta. Operazione che non si è mai concretizzata, un nuovo piano di Rbs è stato ora messo a punto e il costo, o parte di esso, pesa sull’esercizio del 2016. A guardare bene, l’analista Sandy Chen non ha tuttavia torto: in fondo al tunnel c’è un’utile operativo dell’area commerciale e retail al netto delle partite straordinarie. Nell’ultimo trimestre Rbs ha registrato in queste attività core un attivo di 1 miliardo di sterline.
Ross Mc Ewan, ceo dell’istituto, non vede, tuttavia, un’uscita immediata dalla congiuntura che appesantisce Rbs da tanti anni. Un ritorno al profitto non è previsto fino al 2018 se non emergeranno, naturalmente, altre sorprese. Nel 2020 il rapporto fra costi e income dovrebbe scendere al di sotto del 50% e il roe arrivare al 12 per cento.
Royal bank of Scotland è ancora controllata per il 72% dal Tesoro che nel 2008 iniettò 45 miliardi per evitare il fallimento e dopo di allora molte altre decine – 60 circa – per far fronte ai deficit d’esercizio. Una storia del tutto diversa da quella di Lloyds che pure fu salvata dal Tesoro allo zenith della crisi Lehman (in quel caso la mano pubblica arrivò però al 45% circa del capitale) e che oggi è risanata. I risultati diffusi nei giorni scorsi hanno evidenziato – lo ricordiamo – profitti record in coincidenza con un’ulteriore cessione della quota in carico al Tesoro che oggi ha poco meno del 4 per cento. Royal bank dovrà attendere molti altri anni prima di potersi affrancare del tutto dallo Stato. Uno scacco per i governi conservatori di questi anni che su privatizzazione delle banche nazionalizzate e risanamento della finanza pubblica avevano incardinato il manifesto elettorale del 2010 e del 2015.