Le muraglie cinesi sono piene di crepe
È polemica a Londra dopo lo scoop del Times sulle attività di Iss
È sempre un problema di muraglie cinesi. Sospettate di essere un po’ troppo fragili, un po’ troppo porose a un’acustica che rischia di compromettere la tenuta stagna di business destinati a restare separati. La metafora questa volta non riguarda le banche, ma i proxy advisors, al centro di una polemica che è esplosa in queste ore in Gran Bretagna sulla scia di uno scoop del Times. La vicenda chiama in gioco Iss, leader mondiale, con Glass Lewisnell ’advisory di azionisti che s’af- fidano alle società di consulenza per indirizzare il loro voto in assemblea.
Talvolta, gli shareholders delegano tutte le funzioni, lasciando ai proxy advisors non solo il compito di formulare un parere, ma anche di presentarlo. Una pratica diffusa soprattutto negli Stati Uniti, ma che cresce in Europa e in UK in particolare, spingendo i consulenti a creative evoluzioni per far ingrandire il business originale. Iss ha generato anni fa Iss corporate solutions (Isc) per offrire servizi di consulenza non più solo agli azionisti, indicando quali politiche siano opportune in nome delle best practices e, quindi, per non sbattere contro il “no” in assemblea. Secondo la ricostruzione accreditata dal Times, Iss «ha avvicinato società britanniche quotate precisando di poter individuare potenziali problemi sui pacchetti salariali esi- stenti e suggerendo come aggirarli per garantire il “sì” dell’assemblea». Tanto è bastato per sollevare il sospetto del potenziale conflitto d’interessi.
«Un esterno potrebbe dire – ha commentato al Sole24Ore Chris Hodge di Governance Institute – che la contraddizione è intrinseca, al di là del chinese wall». Che è un po’ come fare i compiti in classe e poi darsi il voto. L’approccio di Iss – sempre affidandosi alla ricostruzione del Times smentita con decisione dalla società di consulenza – sarebbe stato piuttosto pesante, con Cda di società Ftse messi sotto pressione indebita. Come dire: o prendete i nostri servizi al board o rischiate di andare a sbattere in assemblea. «Il presidente del comitato remunerazione di una società quotata ha detto al Times – ha scritto il quotidiano britannico – che l’approccio di Iss era di stampo mafioso».
Parole grosse. Per Iss è un «falso» rappresentare il suo operato come una sorta di minaccioso ricatto, ma ha riconosciuto il potenziale conflitto d’interessi fra l’advisory al board e il servizio agli azionisti. Sostiene di essersi protetta dal rischio innalzando un solido «firewall» – variante «architettonica» del chinese wall – fra segmenti di business confliggenti. In altre parole, dicono, i compiti li fa lo studente e i voti li dà il professore. È possibile, forse probabile, ma la delicatezza del tema retribuzione nella Gran Bretagna della Brexit indica che la remuneration policy sarà sotto attento scrutinio nelle assemblee prossime venture. In attesa che sia varata l’imminente direttiva europea sui proxy advisors che dovrà regolare il tema del conflitto d’interessi anche nel Regno Unito. Fino a quando Londra ne farà parte.
Più che ergere muraglie cinesi, secondo altri osservatori, basterebbe un poco più di attivismo degli azionisti. È la tesi – non disinteressata–che sostiene date mpoJa mie Dim on. Il numero uno diJpM organda anni va dicendo chela crisi finanziaria avrebbe avuto effetti diversi se gli azionisti fossero stati meno pigri. Troppe deleghe ai consulenti a cominciare dai proxy advisors. «C’è del vero – precisa Chris Hodge – anche se solo una frazione minima dell’azionariato del Ftse 350 ha in assoluto votato contro le proposte del board. D’altro canto la stagione delle assemblee è concentrata e gli shareholders istituzionali non sono sempre nella posizione di poter scrutinare direttamente le po lici es proposte dal board ». Delega dunque? Forse, maso los esi sarà del tutto dissolta ogni ombra di conflitto di interessi.