Ipo Snapchat, una scommessa
Tra gli analisti c’è molto scetticismo: la forc hetta è alta, meglio puntare su società come Facebook, care ma in crescita
Dopo Facebook e Twitter, arriva il turno del “fantasmino”. Snap, la società che realizza il servizio di messaggistica istantanea Snapchat, si prepara al debutto a Wall Street con l’obiettivo di raccogliere 3 miliardi di dollari. Ma c’è chi teme che la Ipo, attesa per marzo, possa essere effimera come le chat che hanno reso famosa la app creata dal 26enne Evan Spiegel.
I dettagli? La forchetta è di 14- 16 dollari per azioni senza diritto di voto, per una capitalizzazione di mercato compresa tra i 19 e i 22 miliardi di dollari ( un picco mai toccato dai tempi della Ipo da 25 miliardi del gigante cinese dell’e- commerce Alibaba). Il market cap che ne risulta proietterebbe Snap a metà via tra le valutazioni raggiunte da altri colossi social come Facebook ( 104 miliardi) e Twitter ( 14,4 miliardi), i termini di confronto che ricorrono di più a pochi giorni dall’operazione. Se il colosso di Zuckerberg si è consolidato nell’impero miliardario di oggi, la crisi aperta di Twitter alimenta il timore di una “bolla social” sui listini globali. Un’ipotesi che potrà essere confermata o smentita proprio dal futuro di Snap. Il business dell’azienda dipende quasi per intero dalla pubblicità online, mercato dato i n ascesa a quasi 800 miliardi di dollari nel 2020. Ma basterebbe un rallentamento del settore, o l’incapacità di rinnovare i servizi, a sgonfiare il fenomeno prima di quella data.
Per ora i conti sono in rosso. Snap vanta un fatturato in crescita a 404,5 milioni di dollari nel 2016 contro i 58,7 milioni del 2015, ma a fronte di perdite nette per 515 milioni (erano 373 milioni del 2015). L’obiettivo è di crescere a 1 miliardo di dollari di ricavi entro il 2017 e arrivare a 2 miliardi nel 2018. « Gli investitori devono continuare a cre- dere in questo tasso di crescita. Ma non sono sicuro che si fidino troppo del modello. E il vero punto è la capacità di Snap di generare profitti» dice Bill Fischer, analista della società di ricerca britannica eMarketer. Quanto a fondi e gestori, l’orientamento è unanime: prudenza. Johan Van Der Biest, senior fund manager di Candriam Investors Group, si dice «abbastanza cauto » sulla quotazione di Snap. La società preferisce investire su colossi come Alphabet ( la holding di Google) e Facebook, perché già « collaudati » nelle capacità di offrire profitti e una crescita organica. Garanzie che non possono essere offerte dal colosso di Spiegel, almeno nel breve periodo: « Snapchat ha un rapporto prezzo/fatturato per azione di circa 40 contro i 20 offerti all’epoca da Facebook, c’è molta competizione e stanno accumulando enormi perdite – dice Van Der Biest - Preferiamo investire nei gruppi già detti, più che partecipare all’Ipo di Snapchat » .
Una posizione analoga a quella sposata da Columbia Threadneedle Investments, che non commenta il debutto in borsa di Snap ma rende noto che la tecnologia «rappresenta il 30% del fondo. Le nostre posizioni principali sono in Alphabet, Amazon e Facebook: società che offrono maturità dei rendimenti unitamente a forti tassi di crescita». Alessandro Ambrosetti, amministratore delegato di Ambrosetti Asset Management sim, ammette che l’investimento in aziende hi tech «presenta sempre una certa aleatorietà rispetto alle prospettive di guadagno». Secondo Ambrosetti, la sfida di Snap sarà rinforzare l’azienda con operazioni di aggregazione e acquisizione, come nel caso degli accordi già siglati da Facebook per inglobare le chat di Whatsapp (19 miliardi di dollari) e da Microsoft per fare suo il sociale network professionale Linkedin (26,2 miliardi di dollari). Facebook si era fatta avanti nel 2013 proprio per l’acquisizione di Snapchat, con un’offerta da 3 miliardi di dollari rifiutata da Spiegel. Oggi, dopo la Ipo, il suo “fantasmino” potrebbe valere sette volte di più.