Indipendenti ma non per finta
I consiglieri slegati dall’azionista principale non devono sedere nel Cda per più di nove anni
Nel corso degli anni, secondo gli autori dei vari rapporti sulla corporate governance (Assonime-Emittenti titoli, Comitato per la Corporate governance, Consob), il mercato italiano ha registrato una notevole crescita nella consapevolezza dell’importanza dell’autonomia del board. E il prossimo step potrebbe essere un codice ad hoc per le società minori, o una raccomandazione dell’adozione dei principi delle società quotate in modo più flessibile.
Uno degli indicatori del cambiamento in materia di corporate governance può essere ravvisato nel ruolo crescente degli amministratori indipendenti. Il codice di autodisciplina delle società quotate raccomanda, a questo proposito, per quelle appartenenti all’indice Ftse Mib come necessaria la presenza di almeno un terzo di indipendenti e che non possano essere mai inferiori a due. Si tratta di un’indicazione alla quale già nel 2015 la quasi totalità dei Cda sia era allineata. E sicuramente nel tempo c’è stato un miglioramento anche qualitativo del dato relativo agli indipendenti. Nei primi rapporti, come segnalato dal professor Massimo Belcredi, dell’università Cattolica di Milano, venivano indicati come indipendenti anche tutti i componenti del board. Persino l’amministratore delegato. Negli ultimi rapporti quindi i numeri sono paradossalmente calati, ma il dato è più significativo.
Una delle caratteristiche indicate dal codice (a titolo esemplificativo) per valutare l’indipendenza dell’amministratore è che non sieda nel Cda da più di nove anni. Si tratta di un aspetto molto disatteso dalle società, che però spiegano il motivo della scelta (il codice si basa sul principio del comply or ex- plain) nella necessità di non disperdere una competenza ormai acquisita oppure nella scelta di criteri ad hoc, nel rispetto del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.
Importante è anche l’evoluzione di genere all’interno degli amministratori indipendenti. A giugno 2016 la quota di donne nei Cda aveva superato la soglia del 30%. Poi il rapporto Consob spiega che in circa due casi su tre le donne si qualificano come amministratori indipendenti. Significativo poi che negli ultimi quattro anni sia cresciuta l’incidenza delle donne interloc- ker, passando dal 18% registrato nel 2013 al 30% delle amministratrici a giugno 2015; sono interlocker gli amministratori che siedono in consigli di amministrazioni di più società. Questo mostra che la platea di riferimento delle amministratrici risulta ancora piuttosto limitata.
Un aspetto importante quest’ultimo. Secondo Paola Schwizer, presidente di NedCommunity, associazione di consiglieri indipendenti: «Dal lato dei numeri ormai la situazione si è consolidata. È invece crescente l’attenzione ai requisiti sostanziali di profes- sionalità e di indipendenza. È passata infatti la cultura del Cda come organo capace di prendere decisioni autonome nell’interesse della società». A gennaio si è chiusa una consultazione congiunta di Esma ed Eba sulle linee guida per i componenti dei Cda delle banche alla quale ha partecipato anche NedCommunity. Secondo Schwizer «si è alzata enormemente l’asticella per quanto riguarda le caratteristiche richieste. Tanto da far venire il dubbio che effettivamente si possa trovare qualcuno con quelle caratteristiche».