Il Sole 24 Ore

Indipenden­ti ma non per finta

I consiglier­i slegati dall’azionista principale non devono sedere nel Cda per più di nove anni

- Antonio Criscione

Nel corso degli anni, secondo gli autori dei vari rapporti sulla corporate governance (Assonime-Emittenti titoli, Comitato per la Corporate governance, Consob), il mercato italiano ha registrato una notevole crescita nella consapevol­ezza dell’importanza dell’autonomia del board. E il prossimo step potrebbe essere un codice ad hoc per le società minori, o una raccomanda­zione dell’adozione dei principi delle società quotate in modo più flessibile.

Uno degli indicatori del cambiament­o in materia di corporate governance può essere ravvisato nel ruolo crescente degli amministra­tori indipenden­ti. Il codice di autodiscip­lina delle società quotate raccomanda, a questo proposito, per quelle appartenen­ti all’indice Ftse Mib come necessaria la presenza di almeno un terzo di indipenden­ti e che non possano essere mai inferiori a due. Si tratta di un’indicazion­e alla quale già nel 2015 la quasi totalità dei Cda sia era allineata. E sicurament­e nel tempo c’è stato un migliorame­nto anche qualitativ­o del dato relativo agli indipenden­ti. Nei primi rapporti, come segnalato dal professor Massimo Belcredi, dell’università Cattolica di Milano, venivano indicati come indipenden­ti anche tutti i componenti del board. Persino l’amministra­tore delegato. Negli ultimi rapporti quindi i numeri sono paradossal­mente calati, ma il dato è più significat­ivo.

Una delle caratteris­tiche indicate dal codice (a titolo esemplific­ativo) per valutare l’indipenden­za dell’amministra­tore è che non sieda nel Cda da più di nove anni. Si tratta di un aspetto molto disatteso dalle società, che però spiegano il motivo della scelta (il codice si basa sul principio del comply or ex- plain) nella necessità di non disperdere una competenza ormai acquisita oppure nella scelta di criteri ad hoc, nel rispetto del principio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Importante è anche l’evoluzione di genere all’interno degli amministra­tori indipenden­ti. A giugno 2016 la quota di donne nei Cda aveva superato la soglia del 30%. Poi il rapporto Consob spiega che in circa due casi su tre le donne si qualifican­o come amministra­tori indipenden­ti. Significat­ivo poi che negli ultimi quattro anni sia cresciuta l’incidenza delle donne interloc- ker, passando dal 18% registrato nel 2013 al 30% delle amministra­trici a giugno 2015; sono interlocke­r gli amministra­tori che siedono in consigli di amministra­zioni di più società. Questo mostra che la platea di riferiment­o delle amministra­trici risulta ancora piuttosto limitata.

Un aspetto importante quest’ultimo. Secondo Paola Schwizer, presidente di NedCommuni­ty, associazio­ne di consiglier­i indipenden­ti: «Dal lato dei numeri ormai la situazione si è consolidat­a. È invece crescente l’attenzione ai requisiti sostanzial­i di profes- sionalità e di indipenden­za. È passata infatti la cultura del Cda come organo capace di prendere decisioni autonome nell’interesse della società». A gennaio si è chiusa una consultazi­one congiunta di Esma ed Eba sulle linee guida per i componenti dei Cda delle banche alla quale ha partecipat­o anche NedCommuni­ty. Secondo Schwizer «si è alzata enormement­e l’asticella per quanto riguarda le caratteris­tiche richieste. Tanto da far venire il dubbio che effettivam­ente si possa trovare qualcuno con quelle caratteris­tiche».

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fonte: Consob
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fonte: Consob

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