Società partecipate, per la riforma arriva il terzo rinvio
Altri tre mesi in più per i piani di razionalizzazione delle partecipate pubbliche, che andranno approvati entro il 30 settembre e fino al 2020 potranno salvare le aziende con fatturato fra 500mila euro e un milione dal momento che la soglia ordinaria, un milione appunto, è rinviata al 2020. Le società degli enti locali, poi, potranno partecipare a gare anche fuori dal territorio dell’amministrazione proprietaria, a patto di non avere bilanci in perdita strutturale (4 anni degli ultimi 5) e, di fatto, di non essere titolari di affidamenti in house.
Ieri la Conferenza unificata ha dato l’intesa ai decreti correttivi della riforma Madia sulle società pubbliche e sui licenziamenti sprint per gli assenteisti colti in flagrante a timbrare l’entrata e disertare l’ufficio. A rendere necessari i correttivi, si ricorderà, è la sentenza 251/2016 della Corte costituzionale, che ha imposto appunto l’«intesa» e non il più semplice «parere» di Regioni ed enti locali quando i decreti attuativi interessano le loro competenze.
Sull’ anti-assenteismo si è trattato nei fatti di un passaggio formale, che non ha modificato l’obbligo di sospendere in 48 ore e licenziare in 30 giorni i falsi timbratori, mentre sulle partecipate il rimbalzo offerto dalla Corte costituzionale ha riaperto il confronto politico sui contenuti dei piani di razionalizzazione che, in base agli slogan iniziali, avrebbero dovuto ridurre «da 8mila a mille» le società pubbliche.
La prima conseguenza pratica è nella catena delle proroghe per l’avvio vero e proprio dei tagli. I piani di «razionalizzazione», che avranno poi un anno di tempo per essere attuati con la dismissione o la chiusura delle partecipate fuori regola, andranno approvati entro il 30 settembre. La scadenza scritta nel decreto originario era il 23 marzo, giovedì prossimo, ma è diventata ingestibile per la sentenza costituzionale e il conseguente riavvio della discussione sui parametri per individuare le partecipazioni da chiudere. Nel correttivo approvato in prima lettura si è quindi indicata la data del 30 giugno, che però in oltre mille Comuni si sarebbe incrociata con le elezioni, e ieri il calendario è slittato ancora fino al 30 settem- bre. Nel frattempo, una soluzione ponte (anche se non arriverà in tempo in Gazzetta Ufficiale) eviterà la sanzione che blocca i diritti sociali degli enti che non scrivono i piani di razionalizzazione entro il 23 marzo, cioè entro la scadenza indicata nell’unico decreto oggi formalmente in vigore.
Nell’intesa di ieri governo e amministratori hanno poi deciso di chiarire l’intrico normativo sul tema aprendo alle società locali le gare su tutto il territorio nazionale nei «servizi di interesse economico generale a rete» (trasporti, igiene urbana, energia eccetera). La mossa è stata chiesta con insistenza soprattutto dai Comuni, con l’obiettivo di evitare penalizzazioni rispetto ad altri operatori di mercato (per esempio nel trasporto locale, dove il confronto si giocherà anche con grandi società straniere), riguarda le
LE ALTRE NOVITÀ La soglia minima di fatturato scende a 500mila euro fino al 2020. Le società locali potranno partecipare a gare bandite in tutta Italia
aziende che hanno già vinto una gara, perché l’apertura non potrà essere utilizzata dai titolari di affidamenti diretti. Le in house hanno infatti un 20% di attività “libera”, che però deve essere collegata a «economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società», cioè sull’affidamento ottenuto in via diretta.
La terza novità di peso (anticipata sul Sole 24 Ore di mercoledì) riguarda invece l’abbassamento delle soglie minime di fatturato necessarie a sopravvivere alla tagliola. Il livello minimo viene abbassato a 500mila euro fino al 2019, mentre dal 2020 bisognerà raggiungere il milione. Le mini-aziende a rischio, quindi, hanno tre anni di tempo per crescere o aggregarsi ed evitare così la «razionalizzazione». L’obbligo di abbandonare le partecipate che hanno chiuso in rosso quattro degli ultimi cinque bilanci, infine, esclude le case da gioco, con una mossa che permette in particolare alla Valle d’Aosta di salvare il casino di Saint Vincent (ma i conti sono in crisi anche a Campione d’Italia, Sanremo e Venezia).