L’Europa riparte da difesa e sicurezza
Mattarella: si apre una fase costituente - Gentiloni: ritroviamo il coraggio dei padri
Tra le manifestazioni di protesta degli uni e le dimostrazioni di sostegno degli altri, i Ventisette si sono riuniti ieri a Roma per celebrare il 60° anniversario dell’Unione, mentre si avvicina il “divorzio” da Londra. Capi di Stato e di governo hanno firmato la Dichiarazione che riafferma un’Europa «indivisa e indivisibile» e attenua il riferimento alle due velocità. Tra le priorità del rilancio europeo difesa e sicurezza. Mattarella: si apre una fase costituente. Gentiloni: ritroviamo il coraggio dei padri.
Riparte da Roma la storia dell’Europa. La «superpotenza tranquilla» vuole gettarsi alle spalle uno dei momenti più difficili della sua vita. Ma per frenare la Brexit e i rinascenti populismi occorrerà riprendere il cammino stringendo «cooperazioni rafforzate» tra gruppi di Paesi più “veloci” soprattutto per difesa comune e sistema europeo di welfare. È Paolo Gentiloni a spiegare il senso della dichiarazione di Roma dopo aver svolto con diligenza, ai margini del cortile del Campidoglio, i compiti che il protocollo gli ha affidato per accogliere tutti i leader europei insieme al presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk e al premier maltese (presidente di turno) Joseph Muscat.
«Per ridare spinta al progetto dell’Unione – dice Gentiloni prima del rito della firma - dobbiamo anzitutto restituire fiducia ai nostri concittadini». I problemi per i cittadini europei sono sempre gli stessi: crescita, investimenti, riduzione delle disuguaglianze, lotta alla povertà, politiche migratorie comuni, impegno per la sicurezza e la difesa. Su questi temi occorre, secondo il presidente del Consiglio italiano, dare risposte credibili. Occorre «restituire fiducia – aggiunge Gentiloni – serve il coraggio di voltare pagina, abbandonando una visione della nostra economia affidata a piccole logiche di contabilità, talvolta arbitrarie. Il coraggio di procedere con cooperazioni rafforzate, dove è necessario e quando è possibile». Questo il messaggio, frutto dell’inevitabile compromesso raggiunto dai 27: «Tutti abbiamo rinunciato a qualcosa in nome dell’interesse comune», spiega il premier. «L’Italia come palcoscenico d’Europa, un’Europa vera, viva, forte, solidale, sicura» è stato il commento del ministro degli Esteri Angelino Alfano.
Anche se si impone di tenere a freno la retorica, Gentiloni ripercorre comunque i risultati acquisiti in sessanta anni dalla Ue. «Ancora prima che la guerra finisse – ricostruisce il premer italiano – reclusi in una piccola isola del Mediterraneo, due uomini, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, assieme ad altri, sognavano un futuro diverso. Un futuro senza guerre, prospero e di pace». I padri dell’Europa erano tutti «accomunati da una stessa splendida ossessione: non dividere, ma unire, non schierarsi gli uni contro gli altri per il male di tutti, ma cooperare insieme per il bene di ciascuno».
«E noi oggi, qui riuniti – sottolinea Gentiloni – celebriamo dunque la tenacia e l’intelligenza dei nostri padri fondatori europei. E la prova visiva e incontestabile di quella coraggiosa scelta la offre il colpo d’occhio di questa sala: eravamo sei sessant’anni fa, siamo 27 oggi». Dai Trattati di Roma «siamo diventati il più ampio spazio commerciale al mondo e, insieme, la terra dei diritti sociali». Nel frattempo, il mondo cambiava e continuava a cambiare anche l’Europa. Gentiloni ricorda gli anni Settanta con Spagna, Portogallo e Grecia che uscivano dalle dittature. Ricorda gli anni ’80 con Kohl e Mitterand che nel 1984 si tengono per mano a Verdun, per rendere omaggio ai caduti tedeschi e francesi. E poi il 9 novembre di 5 anni dopo, il crollo del Muro, «la sensazione che quel sogno maturato negli anni della guerra si fosse finalmente avverato con la fine della divisione dell’Europa». Poi la globalizzazione coi suoi effetti positivi e i suoi squilibri: le minacce del terrorismo internazionale, la più grave crisi economica dal dopoguerra, i grandi flussi migratori e un ordine mondiale più instabile ci hanno dimostrato che «la storia è tutt’altro che finita». All’appuntamento con questo mondo cambiato, l’Europa si è presentata con troppi ritardi.