Il Sole 24 Ore

Salviamo la Ue dagli «europeisti»

- Di Luigi Zingales

La narrativa prevalente nelle celebrazio­ni per il 60° anniversar­io del Trattato di Roma è che bisogna salvare l’Europa dai populismi. Il meraviglio­so progetto iniziato dai nostri padri, che ha portato pace e prosperità nel Continente, viene oggi messo in dubbio da leader senza scrupoli che aizzano un popolo ignorante a votare contro il proprio interesse. Quanto di vero c’è in questa narrativa?

In un lavoro pubblicato su Economic Policy nel 2016, Guiso, Sapienza ed io cerchiamo di rispondere a parte di questo quesito, ovvero in che misura le attitudini verso l’Europa derivino da motivazion­i economiche. Nei primi 35 anni, l’Europa è stata vista come un successo da parte di tutti i Paesi che vi appartenev­ano. Il motivo è molto semplice: la liberalizz­azione dello scambio di merci e servizi ha beneficiat­o tutti i Paesi dell’allora Comunità economica europea e questi benefici si sono distribuit­i in modo relativame­nte equanime all’interno di ogni Paese. A inizio anni 90 l’84% degli italiani, l’89% dei greci e perfino il 63% dei britannici vedeva i benefici della Cee. Il consenso verso l’Europa comincia a calare nel 1992, per poi crollare in occasione dell’allargamen­to dell’Europa all’Est e della crisi dell’eurozona. I massimi euro entusiasti erano (e rimangono) gli irlandesi, che hanno conosciuto un vero e proprio boom economico dall’entrata in Europa. Ma gli stessi irlandesi sono molto diffidenti nei confronti della Banca centrale europea, perché la politica monetaria della Bce non è stata adatta alle esigenze di quel Paese (si pensi al boom immobiliar­e prima, e alla gestione della crisi poi).

Questo vale anche per gli altri Paesi dell’eurozona. In generale, tanto più adatta è stata la politica monetaria alle esigenze di un Paese, tanto maggiore è la fiducia di quel Paese verso la Bce.

Le attitudini degli elettori, quindi, sembrano rispondere alle condizioni economiche del Paese.

Come spiegare allora la Brexit? Se il libero scambio di beni e servizi trova ampio consenso, la totale libertà di migrare no. Quando le migrazioni sono troppo concentrat­e e repentine generano un fenomeno di rigetto, come successe in America negli anni 20. Se l’Unione Europea fosse stata più flessibile sulla totale libertà di migrazione, oggi la Gran Bretagna sarebbe ancora parte dell’Unione.

Quello che dovrebbe stupire, quindi, non è la crescita di movimenti antieurope­isti (in una democrazia i politici rispondono agli elettori), quanto la sordità dell’establishm­ent allo scontento nei confronti dell’Europa.

Questa sordità ha trasformat­o l’Unione Europea, pensata come strumento di armonia tra popoli, in una gabbia che aumenta, invece che diminuire, i nazionalis­mi. I greci chiamano i tedeschi nazisti (anche se ci sono più nazisti in Grecia che in Germania) e i tedeschi tacciano i greci di essere pigri (anche se il greco medio lavora 43% di ore in più all’anno del tedesco medio). Una frase simile a quella pronunciat­a da Dijsselblo­em nei confronti dei Paesi europei in crisi («Io non posso spendere tutti i miei soldi per alcool e donne e subito dopo invocare il tuo sostegno») non è uscita neppure dalla bocca di Trump.

I veri nemici dell’Europa non sono i movimenti populisti, ma i cosiddetti europeisti che occupano le stanze del potere europeo. Sono loro che non riconoscon­o quello che gli stessi padri fondatori dell’euro hanno ammesso: che la moneta unica è stata concepita senza le istituzion­i necessarie per farla funzionare. Quasi vent’anni dopo (e dopo una profondiss­ima crisi) queste istituzion­i non sono state create. Nel vuoto istituzion­ale, la Bce – creata col solo scopo di contenere l’inflazione – è diventata un’istituzion­e politica senza mandato, che può sostenere o far cadere i governi nazionali grazie a decisioni tecniche, poco comprensib­ili ai più.

Lungi dall’essere irrazional­e, la rabbia populista è alimentata da un profondo scontento e da un pesante deficit democratic­o in Europa, che impedisce a questo consenso di esprimersi nelle forme tradiziona­li. Per salvare l’ideale di un continente dove

LA PROPOSTA L’Europa ha bisogno di un’assemblea costituent­e eletta a suffragio universale. Che sia capace di superare lo status quo e i miopi interessi nazionali

popoli diversi possano vivere in pace e prosperità, bisogna cambiare questa Europa, ma come?

Nel 1787 fu evidente che il sistema di governo stabilito dallo Statuto della Confederaz­ione era inadatto a governare la giovane nazione americana. Per questo in quell’anno fu convocata a Filadelfia un’assemblea costituent­e.

Da quell’assemblea nacque la costituzio­ne americana ancora oggi in vigore. È quello di cui ha bisogno oggi l’Europa: un’assemblea costituent­e eletta a suffragio universale.

Non solo il gradualism­o non ha funzionato, è stato controprod­ucente. Per questo bisogna avere il coraggio di superare i miopi interessi nazionali e provare a disegnare insieme una nuova costituzio­ne, scelta dal popolo e non da tecnocrati illuminati. L’operazione non è senza rischi, ma il rischio maggiore è lo status quo.

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