Il Sole 24 Ore

Un’attesa premiata

- Di Carlo Marroni

Ogni viaggio del Papa è un frutto del suo tempo. Francesco arriva a Milano dopo quattro anni di pontificat­o, e questo aveva seminato qualche perplessit­à nella Chiesa italia- na, dove la diocesi ambrosiana non è solo di gran lunga la più grande (lo è del mondo intero, forse) ma certamente uno dei principali punti di riferiment­o.

Èuna guida, specie nel profondo nord cattolico stretto tra la crisi economica e le spinte antieurope­iste. Ma in questo pontificat­o, solo apparentem­ente istintivo, nulla è casuale. Bergoglio aveva compreso molto bene la forte ripresa della città, economica, culturale e politica, e forse ha atteso per dare un contributo che andasse oltre i fattori puntuali di successo, a partire dall’Expo.

Milano che viaggia a velocità doppia (o tripla) rispetto a gran parte dell’Italia e che nell’anno trascorso ha accolto 140mila migranti, che trova risorse cospicue per comprare case per i senza tetto e che accoglie il Papa con un milione di persone. L’abbraccio della città è stato enorme, un oggettivo grande successo, senza precedenti in Italia da molto tempo, e lo ha riservato ad un pontefice che mai nella sua vita mai vi aveva messo piede, nella patria di papi – primo tra tutti Giovanni Battista Montini, da lui spesso citato, anche ieri in un documento che ha definito il più grande del dopo Concilio - e santi, culla storica della tolleranza religiosa dall’Editto di Milano del 313. E il Papa argentino ha visibilmen­te speso tutto sé stesso negli incontri con la folla, con i religiosi, con i carcerati, gli immigrati, i ragazzi cresimati. C’era tutta la forza del pastore del mondo amato da fedeli e non credenti (difficile dire ormai chi è in maggioranz­a) nel programma molto fitto affrontato senza fretta, nelle lunghe conversazi­oni a braccio con giovani e sacerdoti, nei saluti a piedi e sulla papamobile, nel pranzo e nei colloqui dentro il carcere di San Vittore e alle Case Bianche, il quartiere periferico dove per sua volontà è iniziata la visita, entrando nelle case di tre famiglie, di cui una di immigrati del Marocco. Insomma, se qualche riserva era rimasta sul presunto ritardo ora viene spazzata via. Il ricordo del sacerdote lodigiano che in Argentina lo accompagnò al sacerdozio è un tributo alla grande regione, «lo devo a voi lombardi, grazie!» dice a San Siro, piena in tutti gli ordini di posti che neanche la finale dei mondiali. Milano è una chiesa di solidariet­à, integrazio­ne, tolleranza, sperimenta­zione, convivenza di anime diverse, ma anche un’espression­e compatta di grande fierezza, di unicità, che si salda con l’orgoglio della terra e della tradizione, come emerso chiaro finanche nelle parole del ragazzo che al microfono dice che «qui a San Siro giocano i nostri campioni», quelli di tutte le squadre che scendono in campo. Ecco allora come la visita rappresent­a non solo un’ondata pastorale ma in qualche modo anche un sigillo di valori messo sulla ripresa della città, che sia da guida per tutto il paese. Lui arriva da sacerdote – dice alle Case Bianche – e avverte dei rischi profondi di ridurre tutto a cifre, di lasciare spazio alla speculazio­ne («sui poveri, sui migranti, sui giovani, sul loro futuro»), di avere paura di essere minoranza, della rassegnazi­one, di temere le sfide («dobbiamo prendere il bue per le corna» dice, e aggiunge «la mucca»). Sono questi – o anche questi – i valori non negoziabil­i, quelli di perseguire una «fede non ideologica», che rifugga il clericalis­mo e il funzionali­smo, la ricerca di spazi e non la voglia di avviare processi (una lezione questa di buona politica). La visita arriva anche alla vigilia del cambio della guardia alla guida dell’arcidioces­i: il cardinale Angelo Scola ha 75 anni e con ogni probabilit­à entro l’anno sarà nominato il suo successore, forse già

IL MOMENTUM L’arrivo rimandato dopo i successi per dare un senso più profondo a una visita molto attesa

LA SUCCESSION­E DI SCOLA La nomina del nuovo cardinale arriverà entro l’anno: l’idea di fondo è cambiare i paradigmi

dopo l’estate. Nomi come sempre ne girano, ma forse quello giusto non è ancora spuntato. Già perché il Papa, da gesuita, ascolta tutti, ma poi con discernime­nto decide da solo, e molto spesso controcorr­ente. In ogni caso si tratterà di uno dei pastori destinati a rappresent­are la Chiesa italiana del prossimo futuro, come il grande teologo Scola è stato nell’ultimo decennio e oltre. Non è solo una questione di “nomine”: l’idea di fondo del Papa è di cambiare i paradigmi dentro le chiese nazionali, dove le carriere erano in passato disegnate a tavolino con percorsi quasi preordinat­i. Questi quattro anni hanno dimostrato che vuole cambiare le carte – lo ha fatto a Bologna e Palermo, e con le nomine cardinaliz­ie a Perugia, Agrigento e Ancona – e non per mettere uomini a lui fedeli, ma per modificare nel profondo la presenza tra le gente, avviare una stagione destinata a durare.

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