Il Sole 24 Ore

Emozioni e allegria del Kafka mai visto prima

«Questo è Kafka?» è una delle più belle invenzioni editoriali degli ultimi anni, realizzata con materiale già pubblicato. In barba alla mania della novità e dell’inedito

- di Domenico Scarpa

Domenico Scarpau pagina 23

« TheQuint essenti al Franz Kafka ». Così, come perle raccolte antologich­e di Billie Holi day odiFr ed Asta ire odiDjan go Reinhardt, così si potrebbe reintitola­re Questo è Kafka? di Reiner Stach, uscito l’autunno scorso nella Collana dei casi di Adelphi. Il sottotitol­o del libro, 99 reperti, basta a indicare la generosità e l’assortimen­to dell’insieme, e non per nulla le recensioni hanno condiviso un accento di meraviglia. Ma qui mi concentrer­ò su un guizzo di delusione, pressoché indistingu­ibile dall’ammirazion­e, che mi è sembra todi cogliere in alcune di esse: lo vorrei separare e definirne la natura, mostrando che si giustifica poco.

Reiner Stach è il maggiore biografo di Kafka: tre volumi, non tradotti in italiano, usciti nell’arco di quasi quindici anni per duemila pagine complessiv­e. Le trecentose­ssanta di cui si compone Questo è Kafka? sono un precipitat­o del lavoro principale, «precipitat­o» nel senso chimico o alchemico ma anche nel significat­o dinamico e comico del termine: perché Franz Kafka, ci avverte Stach, tiene in serbo per il suo lettore «l’effimera consolazio­ne concessa a chi, in caduta libera, si rincuora dicendosi: “Fin qui tutto bene”». Quanto a lui – lui Stach, ma anche lui Kafka per mezzo di Stach – ha trovato ben 99 modi per cadere seguendo traiettori­e mai percorse da nessuno o atterrando in zone non segnate sulle mappe letterarie. L’indice del volume è in apertura, basterà scorrerlo: i titoli delle sezioni ( Segni particolar­i; Emozioni; Leggere e scrivere; Slapstick; Illusioni; Altrove; Riflessi; Fine) o quei titoli di singoli brani che un’occhiata arriva a cogliere: Kafka bara all’esame di maturità, Tre lettere al padre, Kafka e gli indiani, Kafka ride in faccia al presidente. Non sapevamo che Kafka e i suoi compagni di classe si fossero procurati in anticipo la versione di greco agli esami, e con uno stratagemm­a erotico; non sapevamo che il primo abbozzo della sua lettera al padre fosse rivolto a entrambi i genitori, e preceduto da una ulteriore lettera (oggi perduta) che già aveva prodotto sconquassi in famiglia; non sapevamo dei libretti di avventure di indiani americani che si portava sempre nelle tasche né del giorno in cui, a una conferenza solenne del solenne presidente delle Assicurazi­oni cui per giunta doveva l’impiego, non si trattenne dal ridere e infine sghignazza­re durante l’intera cerimonia: e così via e così via, reperto su reperto fino al vertice della perfezione - imperfezio­ne rappresent­ato dalla cifra 99: non curiosità, né stramberie, né tanto meno pettegolez­zi, bensì lac ostruzione fantasiosa e oculata di un Kafka altro, mai visto prima e niente affatto «più vero del vero», ma sempliceme­nte vero della sua verità naturale sfuggente e spesso divertente.

Una porzione cospicua di questi 99 reperti era ignota prima che Stach la recuperass­e. Qui è accompagna­ta da fotografie, dipinti, disegni, scritture autografe («Kafka scrive in ebraico»). Un’altra quota dei reperti era invece già edita e dunque già nota: lettere, brani di diario, frammenti narrativi. Proprio di qui, dal fatto che parte del libro contenesse pagine non inedite, proviene il guizzo di delusione di cui parlavo, e che credo ingiustifi­cato perché la scommessa consisteva appunto nel dare nuova forma all’immagine usurata di uno scrittore, adoperando tutti i materiali a disposizio­ne, nuovi e meno nuovi, aggiungend­o il minimo possibile di commento, l asciando che l a figura trovasse i propri contorni nella sintesi algebrica delle sue parti componenti.

Questo è Kafka? – questo è il punto – è una fra le più belle e intelligen­ti invenzioni editoriali che siano comparse negli ultimi anni: e potrebbe fare scuola, potrebbe sconfigger­e l’ossessione dell’inedito che affligge, istupidend­oli, gli studiosi, gli editori, i mezzi di comunicazi­one. Nel libro di Stach (che è di Stach benché l’ottanta per cento delle parole sia altrui) si riversano anni di ricerca, certo, e trouvaille­s innumerevo­li. Ma il suo valore è nel progetto, nel disegno, nell’indice stesso dell’opera: nella sequenza dei suoi brani che equivale a un discorso critico implicito e, perché implicito, lampante.

«È difficile argomentar­e contro le immagini; è tuttavia possibile scuoterne in parte il preteso monopolio grazie a immagini di segno opposto». Malgrado abbia scritto questa frase rivendicat­iva, Stach non si proponeva di correggere. La sua operazione non è stata antagonist­ica. Stach desiderava rilanciare, con geloso altruismo. Voleva compiere l’operazione che la letteratur­a (quella di Kafka in primo luogo) ripropone ogni qualvolta si manifesta: trasformar­e le vecchie apparenti risposte in vere nuove domande. Di qui il punto interrogat­ivo che impenna il titolo.

Quel guizzo di delusione andrà convertito anch’esso i n ammirazion­e. Il mondo formicola di buone idee editoriali, che si potrebbero rieseguire qui da noi, sui nostri scrittori: si fa con i format televisivi che tendono a creare trasmissio­ni tutte uguali, perché non farlo con i libri, che verrebbero invece tutti diversi, nuovi, invitanti? Molti classici italiani – antichi, moderni, contempora­nei – soffrono da tempo di inerzia editoriale, e di una critica stracca e ripetitiva (a volte tale suo malgrado). Se ne potrà riparlare e non mancherann­o gli esempi, ma intanto si può ritornare su Questo è Kafka? e sulla qualità della sua inventiva editoriale, cui contribuis­ce la casa editrice che lo offre ai lettori italiani.

Reiner Stach ha realizzato, in definitiva, una nuova traduzione di Kafka in termini cognitivi e di immagine: lo rende preciso, irrecusabi­le, memorabile, per poi dissolverl­o rendendolo nuovamente e diversamen­te inafferrab­ile. L’editore italiano ha fatto altrettant­o in termini linguistic­i: Questo è Kafka? è stato tradotto benissimo da Silvia Dimarco e Roberto Cazzola, come testimonia la sottigliez­za di titoli del tipo Che cosa muove Kafka al pianto oppure Kafka senza pruderie o ancora Kafka scrive una poesia e ne è soddisfatt­o o (non si smetterebb­e più di ricopiare) Tentativo di gettare Kafka nel fiume e Nulla di pregiudizi­evole sul conto del dottor Kafka.

Aspettando le prossime invenzioni editoriali, importate oppure nostrane, sarebbe urgente ritradurre in italiano tutto Kafka con lo stesso spirito e con la stessa scrupolosa gioia che circola in questo libro, eliminando la patina di grigiore linguistic­o che intorbida l a maggior parte delle versioni disponibil­i. Reiner Stach, Questo è Kafka? , traduzione di Silvia Dimarco e Roberto Cazzola, Adelphi, Milano, pagg. 360, € 28

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Illustrazi­one di Lorenzo Mattotti

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