La Ue e le paure dei cittadini
L’istinto di sopravvivenza aleggiava ieri nella sala degli Orazi e Curiazi al Campidoglio. Nononostante le ultime divisioni, che hanno indotto Grecia e Polonia a togliere solo all’ultimo momento la riserva alla firma della Dichiarazione di Roma, e nonostante le tensioni che segnano qualsiasi riunione ministeriale, la cerimonia ha messo in luce quanto la salvaguardia dell’Unione sia ormai un interesse nazionale per ciascun paese membro.
Il destino ha voluto che il 60°anniversario dei Trattati di Roma cadesse meno di un anno dopo la decisione britannica di lasciare l’Unione. Con tutte le sue conseguenze, Brexit ha provocato in numerosi paesi la drammatica consapevolezza di come il progetto comunitario abbia creato tanti e tali legami giuridici, economici, politici che la sola ipotesi di abbandonare l’Unione si è rivelata oltre a un’impresa colossale anche un danno probabilmente enorme.
La constatazione di quanto siano vincolanti tali legami si è concretizzata in questi mesi in due circostanze. La prima è legata proprio alla decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione. In attesa della notifica di Londra, prevista il 29 marzo, i Ventisette sono rimasti fedeli alla decisione presa dopo il referendum britannico del 23 giugno di evitare qualsiasi negoziato prima di avere ricevuto la notifica del governo inglese: la scelta di “no negotiation without notification” è stata rispettata da tutti. Pesa lo stato in cui versa la Gran Bretagna. La decisione di indire il referendum è stata impulsiva e la scelta di lasciare l’Unione è stata presa alla leggera. Una recente audizione parlamentare a Londra ha messo in luce quanto il paese sia in balia della sua decisione. Non passa giorno senza che scopra con sgomento la rivoluzione che sarà chiamata a compiere. Dinanzi alla situazione in cui versa il Regno Unito, i Ventisette hanno capito che la disintegrazione dell’Unione sarebbe contraria al loro interesse nazionale.
La seconda circostanza nella quale l’unità dei Ventisette si è concretizzata è stata proprio la Dichiarazione di Roma, firmata ieri. Il negoziato sul testo è stato difficile, lungo, ma ha portato frutti. In occasione del 50° anniversario dell’Unione, nel 2007, la Dichiarazione di Berlino fu firmata solo dalle tre istituzioni europee. Quella di ieri a Roma è stata sottoscritta anche dai capi di Stato di governo dei paesi membri. Il sentimento dei governi sembra essere anche quello delle pubbliche opinioni. L’euro è vissuto come una costrizione, e in al- cuni casi con rancore nei paesi in grave crisi . Al tempo stesso, l’Unione come tale è ancora popolare. Proprio in questi giorni, un sondaggio in Germania ha mostrato che la popolarità dell’Unione tra i tedeschi è ai massimi degli ultimi 25 anni. Nell’ultimo Eurobarometro, il 50% dei cittadini è ottimista sul futuro dell’Europa.
In Italia, il dato è peggiore: appena il 42% degli italiani è ottimista sul futuro dell’Unione. Eppure, secondo una ricerca di Deloitte, il 57% degli italiani (contro il 53% dei cittadini europei) ritiene che l’Unione sia uno strumento cruciale per aiutare i singoli paesi ad emergere nel difficile contesto internazionale, purché, come richiede il 79% degli europei e l’85% degli italiani, si «cambi passo» e ci si concentri su temi chiave: immigrazione, crescita economica, lotta contro il terrorismo. Sempre secondo l’ultimo Eurobarometro, il 66% degli europei considera che l’Unione è un «luogo di stabilità»; l’81% è a favore delle quattro libertà di circolazione; il 70% sostiene l’euro. Insomma, preservare l’Unione è diventato negli ultimi mesi, complice paradossalmente la perfida Albione, un sentimento condiviso.
LE PRIORITÀ Secondo l’Eurobarometro i problemi più importanti che l’Europa deve affrontare sono immigrazione, terrorismo e crisi economica