Il Sole 24 Ore

Crescita, conti, banche: le «incompiute» che frenano l’Unione

- Di Dino Pesole

Dal completame­nto dell’unione bancaria e del mercato unico, alla riforma della governance economica. Sono molteplici i dossier in lista d’attesa per un’Europa che prova a rinascere dalla firma apposta ieri in calce alla Dichiarazi­one di Roma in Campidogli­o, dai 27 capi di Stato e di Governo. Cammino tortuoso ma obbligato, se si vorrà rispondere con i fatti alla crisi in cui è piombato il Vecchio Continente, stretto da un lato dall’emergenza migranti e dal terrorismo, dall’altro dalla necessità di voltare finalmente pagina in direzione di politiche economiche che pongano al centro il sostegno alla crescita e all’occupazion­e.

Unione bancaria

Arduo – si obietterà – affrontare il capitolo del completame­nto dell’unione bancaria in un anno elettorale, con Francia e Germania chiamate al voto. E tuttavia il segnale deve essere forte e univoco. Alla vigilanza unica in capo alla Bce e al meccanismo unico di risoluzion­e delle crisi bancarie, va affiancata la “terza gamba” della garanzia europea sui depositi. Il dossier si è incagliato sul tema centrale della “condivisio­ne e riduzione” dei rischi, mentre si comincia a discutere in parallelo dell’eventuale trasformaz­ione del fondo salva-Stati (Esm) in un vero Fondo monetario europeo. Si cercano possibili vie di compromess­o, possibili ma solo a patto che emerga una chiara e univoca volontà politica, che sul terreno della tutela del risparmio riesca a intercetta­re quel malessere diffuso facile preda di ricette populiste e sovraniste.

Governance economica

Qui si entra in un campo di fondamenta­le importanza per il futuro dell’Unione europea a ventisette. Il dossier si intreccia con il completame­nto del mercato unico, il cui perimetro sarà comunque da ridefinire nei due anni (e oltre) che scatterann­o dal prossimo 29 marzo, quando Londra avvierà la procedura prevista dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona per l’uscita dall’Unione europea. Stando al timing fissato dall’agenda europea, proprio nel 2017 dovrebbe avviarsi l’istruttori­a per l’aggiorname­nto del Fiscal compact, e con esso della complessa architettu­ra tecnico/contabile eretta negli anni della crisi a sostegno della disciplina di bilancio europea (dal Six Pact al Two Pack). Regole stringenti varate in ossequio all’ortodossia rigorista imposta dalla Germania, con annesso il vincolo del pareggio di bilancio e sanzioni semi automatich­e in caso di mancato rispetto dei target fissati dal Trattato di Maastricht. Revisione da effettuare senza por mano ai trattati. Un cammino che si è cominciato a intraprend­ere, ma che pare al momento a dir poco incerto. È il caso della modifica del parametro fondamenta­le cui guardano le regole europee, quello del deficit struttural­e, calcolato al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum. Nell’Ecofin informale di Amsterdam del 23 aprile dello scorso anno, anche su pressione italiana e di altri sette governi (Lettonia, Lituania, Lussemburg­o, Portogallo, Repubblica Slovacca, Slovenia e Spagna) si è preso finalmente atto che occorra individuar­e indicatori più semplici e manovrabil­i (come quello della spesa). Un compito da affidare al futuro ministro delle Finanze Ue, se mai si riuscirà a istituirlo, accanto all’eventuale riscrittur­a dei parametri di Maastricht (deficit al 3%, debito al 60% del Pil) che richiedere­bbe, questa sì, una revisione dei Trattati?

Pil potenziale e output gap

Argomento sensibile in Italia, chiamata in queste settimane a correggere il proprio deficit struttural­e dello 0,2% del Pil, proprio sulla base di un indicatore sintetico (l’output gap) che misura la differenza tra Pil potenziale e Pil effettivo. I diversi criteri di calcolo relativi al Pil potenziale sono da anni oggetto di acceso confronto tra Roma e Bruxelles, e le stime di cui nuovamente darà conto il prossimo Def (relative a tutti i fattori produttivi cui si può far leva per accrescere il potenziale di crescita dell'economia) divergono da quelle dei tecnici della Commission­e.

Flessibili­tà e investimen­ti

È vero che l’Italia ha fruito di flessibili­tà per riforme, investimen­ti ed eventi eccezional­i per oltre 19 miliardi nel biennio 2015-2016, e tuttavia soprattutt­o con riferi-

STRADA IN SALITA Dalla governance agli investimen­ti: si cerca il rilancio, ma sono molti i capitoli in ritardo o bloccati da veti incrociati

mento alla leva fondamenta­le degli investimen­ti resta aperta la discussion­e (per ora infruttuos­a) sull’eventuale scorporo totale o parziale delle relative spese dal calcolo del deficit. La golden rule è ormai solo oggetto di dispute accademich­e. Si è scelta la strada della flessibili­tà (entro un massimo dello 0,5% del Pil) attraverso il meccanismo del cofinanzia­mento. L’urgenza di ricette coraggiose in grado di far leva sulla domanda aggregata richiedere­bbe risorse decisament­e più ingenti, anche rispetto al “volume di fuoco” del piano Juncker (che comunque resta una prima base di partenza).

Politica industrial­e e commercio estero

È la sfida decisiva, quella che passa da una vera politica industrial­e in grado di attivare investimen­ti pubblici e privati. Se ne discute da anni. Il Patto per il rilancio della competitiv­ità industrial­e europea (Industrial compact) non ha fatto finora grande strada. Una partita che si intreccia con gli incerti orizzonti del commercio estero (si veda l’articolo a fianco), ora che le minacce protezioni­stiche provengono dallo storico alleato di oltreocean­o.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy