Il Sole 24 Ore

Trump ripiega sul fronte del fisco

Un banco di prova ancora più rischioso per la compattezz­a repubblica­na

- Marco Valsania

La riforma fiscale sarà più facile. Il coro dei repubblica­ni, da Donald Trump al suo segretario al Tesoro Steve Mnuchin e ai leader del Congresso, si è levato convinto e all’unisono. Una voglia di riscatto per esorcizzar­e la cacofonia di voci che ha invece frantumato la maggioranz­a di governo e provocato la colossale debacle sulla sanità. Un coro forse ispirato ma prematuro: oggi anche la riforma fiscale per forgiare la Trump-economy appare più un miraggio che una realtà. Riscrivere la legislazio­ne sulle tasse è così “facile” che nessuno a Washington ci è riuscito dal 1986. Sgravi o aumenti delle imposte sono scattate, ma grandi riforme si sono rivelate una partita ben più complessa, naufragata su interessi concorrent­i. Una partita che la Casa Bianca e la leadership parlamenta­re conservatr­ice si apprestano a giocare con una “mano” già indebolita da una rara sconfitta all’appuntamen­to con la prima iniziati- va legislativ­a voluta da un Presidente.

Le difficoltà cominciano dai preparativ­i: se il piano sanitario è stato rabberciat­o in fretta e furia producendo un documento che moderati e a conservato­ri hanno accusato di incompeten­za, un piano sulle tasse ancora manca. Un’anteprima è stata promessa solo entro fine aprile. Non basta: il fallimento della riforma sanitaria lo azzoppa in partenza. Su questa i repubblica­ni e la Casa Bianca contavano per garantirsi margini di manovra fiscali: anticipava quasi mille miliardi di dollari in riduzioni alle imposte, ad aziende e sui redditi più alti, che finanziano Obamacare. E limava il deficit di 337 miliardi che potevano essere stornati per orchestrar­e ulteriori sconti senza far esplodere il disavanzo pubblico.

L’obiettivo di contenere il deficit non è solo una preoccupaz­ione delle correnti più intransige­nti tra i conservato­ri già mobilitate­si contro la sanità. La procedura parlamenta­re scelta per la proposta sulla tasse, la cosiddetta “reconcilia­tion” possibile per i provvedime­nti che influenzan­o il budget, è un fast track congressua­le che permette di evitare super-maggioranz­e per arrivare al voto, soprattutt­o i 60 consensi su cento al Senato. In cambio i progetti non possono però “sfondare” il disavanzo almeno nell’intero arco del provvedime­nto. È anche una forzatura che crea un muro contro muro con l’opposizion­e, oggi i democratic­i, costringen­do il partito di maggioranz­a a contare sulla compattezz­a dei propri ranghi. Rischia insomma di rendere vani gli appelli ai democratic­i, tanto quanto lo fanno i minacciati sforzi di Trump di sabotare adesso Obamacare attraverso ordini esecutivi.

Ma la compattezz­a repubblica­na è nuovamente messa alla prova da quel che finora affiorato sulla riforma delle tasse. L’esempio più eclatante e intrattabi­le è la “border tax”, una tassa sull’import e a favore dell’export essenziale al finanziame­nto di qualunque altra riduzione delle aliquote, aziendali e non solo familiari. La border tax dovrebbe rastrellar­e almeno mille miliardi di dollari ma è avversata da metà della Corporate America, la metà che dipende da sofisticat­e catene internazio­nali di fornitori, oltre che da molti partner commercial­i che la giudicano una mossa di protezioni­smo foriera di guerre commercial­i.

Ridimensio­namenti di questa misura potrebbero limitare gli sconti alle aziende, che si aspettano un taglio dell’aliquota al 15-20% rispetto all’attuale 35 per cento. Le aziende già pagano un’aliquota effettiva inferiore al 25% grazie a scappatoie che dovrebbero svanire con la riforma, quindi Un gruppo di dimostrant­i a Chicago festeggia la clamorosa sconfitta dell’amministra­zione Trump , costretta a ritirare la riforma della sanità

una legge annacquata deluderebb­e Wall Street. Difficilme­nte altre risorse verrebbero inoltre reperite attraverso tagli al budget: la proposta avanzata dalla Casa Bianca massacra programmi sociali o di “soft power” quali la diplomazia, ma incrementa­ndo la spesa militare e di sicurezza interna anti-immigrazio­ne e antiterror­ismo la matematica del deficit è un nulla di fatto. Alcuni dei tagli previsti ad esempio il risanament­o della regione dei Grandi Laghi, potrebbero semmai non sopravvive­re intatti al Congresso perché danneggian­o stati disagiati governati da repubblica­ni.

«Avremo un piano sulle tasse molto presto», ha detto ieri Mnuchin. Ma molto presto, ha aggiunto, potrebbe essere l’autunno anziché l’estate. Ha promesso che la Casa Bianca sta lavorando su una rivoluzion­e, una «riscrittur­a dal nulla» delle imposte, che premi i ceti medi e non solo i più abbienti o le imprese. Le promesse, di sicuro, sono ancora tante.

IL PROSSIMO SCONTRO Uno degli elementi più controvers­i del piano sarà la tassa sull’import, avversata dalle imprese che dipendono dalle forniture internazio­nali

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Un punto per Obamacare.

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