Il Sole 24 Ore

Perché i condannati in Italia restano a Dubai

Il trattato di cooperazio­ne bloccato da Palazzo Chigi per approfondi­menti sull’applicazio­ne della pena capitale negli Emirati Arabi

- Di Roberto Galullo e Vittorio Nuti r.galullo@ilsole24or­e.com v.nuti@ilsole24or­e.com

L’ultimo a finire, il 21 marzo, nelle mani della Squadra catturandi dei Carabinier­i di Milano, è stato Manuel Ros, lo “sceicco cuneese delle truffe”, che da quattro anni aveva scelto come quartier generale della sua società finanziari­a Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti. Ros è stato condannato in via definitiva a 10 anni 1 mese e 16 giorni per un cumulo di pene per i reati di bancarotta fraudolent­a, insolvenza, indebito di titoli di credito e ricettazio­ne.

Non è dato al momento sapere se resterà in carcere, tornerà libero o sarà estradato, fatto sta che Dubai negli ultimi anni è diventato il porto franco di molti italiani nei guai con la legge. Prima di Ros e più o meno nelle stesse ore, Dubai era assurta agli onori della cronaca nazionale perché la procura di Roma aveva spiccato un ordine di arresto per Giancarlo Tulliani, cognato dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Il provvedime­nto restrittiv­o non è stato eseguito perché Tulliani da anni risiede a Dubai.

L’elenco è lungo. A mo’ di esempio citiamo Amedeo Matacena, rampollo di una ricca famiglia imprendito­riale siciliana, ex parlamenta­re del Pdl, condannato in via de- finitiva per concorso esterno in associazio­ne mafiosa. Sverna dal 2013 a Dubai Marina. Sempre Dubai ospita Raffaele Imperiale da Castellamm­are di Stabia, ritenuto da investigat­ori e inquirenti uno dei narcotraff­icanti più po- tenti del pianeta.

È bene sapere che se nessuno torna in Italia è perché manca ancora un tassello all’accordo-quadro firmato il 16 settembre 2015 tra Italia (ministro della Giustizia Andrea Orlando) e gli Emirati Arabi. Ebbene, questi ultimi hanno ratificato il traArabi ttato di cooperazio­ne giudiziari­a con l’Italia ma il nostro Paese no. Il 3 marzo 2016 la ratifica dell’accordo è stata presentata in Consiglio dei ministri per ottenerne l’approvazio­ne, passaggio che sembrava una pura formalità, essendo stato preceduto dal placet dei ministeri interessat­i (Interno, Giustizia, Economia e Finanze) ma il punto all’ordine del giorno venne rinviato e il trattato rimandato per ulteriori approfondi­menti.

Che cosa blocca il ddl di ratifica italiano? Le spiegazion­i ufficiali fornite dal Governo da un anno a questa parte ruotano intorno alla necessità di una «più accurata ponderazio­ne» del trattato «in ordine alla possibilit­à concessa dalla legge emiratina di applicare, all’esito del processo, la pena di morte». Eventualit­à che ostacolere­bbe il via libera del Parlamento stante l’assolutezz­a del principio costituzio­nale che sancisce il ripudio della pena capitale. E di riflesso, dopo la sentenza della Consulta 223/1996 sul caso Venezia, vieta estradizio­ni regolate da trattati che non prevedano garanzie assolute e non «discrezion­ali» sul fatto che all’esito del giudizio l’eventuale pena di morte non venga eseguita. Da qui la necessità di «approfondi­menti», da parte del ministero della Giustizia, per «meglio specificar­e la portata applicativ­a» dell’articolo 3 del trattato di estradizio­ne con gli Eau, e in particolar­e la clausola sui “Motivi di rifiuto obbligator­i”.

La versione i niziale, secondo fonti di via Arenula che seguono il dossier, offriva però già sufficient­i garanzie contro il rischio che una persona potesse essere consegnata a Dubai e sottoposta a pena capitale. In particolar­e, il trattato ora “congelato” escludeva ogni margine «discrezion­ale» alle autorità giudiziari­e e politiche ita- liane chiamate a valutare la condizione di non applicazio­ne della pena capitale, nel caso sia irrogata. A frenare l'iter, sempre secondo fonti ministeria­li, sono state le obiezioni di Palazzo Chigi, preoccupat­o dell’impatto sul testo della legge 149/2016 (ratifica Convenzion­e di Bruxelles su estradizio­ni extra Ue e delega per modifiche al Cpp) approvata nel frattempo nel luglio scorso. La norma detta infatti condizioni più stringenti, vincolando l’estradizio­ne per fatti punibili con la morte «all’accertamen­to da parte di un giudice che è stata adottata una decisione irrevocabi­le» su una pena alternativ­a a quella capitale. Il nuovo paletto impone dunque una modifica e di fatto la rinegoziaz­ione del trattato con gli Emirati (che peraltro a febbraio hanno già ratificato il trattato prima maniera) ma certo non spiega l’eccezional­e ritardo del dossier.

I CASI Nell’emirato vivono, tra gli altri, Amedeo Matacena, ex deputato condannato per associazio­ne mafiosa, e il narcotraff­icante Imperiale

TEMPI LUNGHI Secondo fonti della Giustizia a preoccupar­e sono i paletti della nuova legge sulle estradizio­ni: con le modifiche l’accordo va rinegoziat­o

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