Perché i condannati in Italia restano a Dubai
Il trattato di cooperazione bloccato da Palazzo Chigi per approfondimenti sull’applicazione della pena capitale negli Emirati Arabi
L’ultimo a finire, il 21 marzo, nelle mani della Squadra catturandi dei Carabinieri di Milano, è stato Manuel Ros, lo “sceicco cuneese delle truffe”, che da quattro anni aveva scelto come quartier generale della sua società finanziaria Dubai, capitale degli Emirati Arabi Uniti. Ros è stato condannato in via definitiva a 10 anni 1 mese e 16 giorni per un cumulo di pene per i reati di bancarotta fraudolenta, insolvenza, indebito di titoli di credito e ricettazione.
Non è dato al momento sapere se resterà in carcere, tornerà libero o sarà estradato, fatto sta che Dubai negli ultimi anni è diventato il porto franco di molti italiani nei guai con la legge. Prima di Ros e più o meno nelle stesse ore, Dubai era assurta agli onori della cronaca nazionale perché la procura di Roma aveva spiccato un ordine di arresto per Giancarlo Tulliani, cognato dell'ex presidente della Camera Gianfranco Fini. Il provvedimento restrittivo non è stato eseguito perché Tulliani da anni risiede a Dubai.
L’elenco è lungo. A mo’ di esempio citiamo Amedeo Matacena, rampollo di una ricca famiglia imprenditoriale siciliana, ex parlamentare del Pdl, condannato in via de- finitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Sverna dal 2013 a Dubai Marina. Sempre Dubai ospita Raffaele Imperiale da Castellammare di Stabia, ritenuto da investigatori e inquirenti uno dei narcotrafficanti più po- tenti del pianeta.
È bene sapere che se nessuno torna in Italia è perché manca ancora un tassello all’accordo-quadro firmato il 16 settembre 2015 tra Italia (ministro della Giustizia Andrea Orlando) e gli Emirati Arabi. Ebbene, questi ultimi hanno ratificato il traArabi ttato di cooperazione giudiziaria con l’Italia ma il nostro Paese no. Il 3 marzo 2016 la ratifica dell’accordo è stata presentata in Consiglio dei ministri per ottenerne l’approvazione, passaggio che sembrava una pura formalità, essendo stato preceduto dal placet dei ministeri interessati (Interno, Giustizia, Economia e Finanze) ma il punto all’ordine del giorno venne rinviato e il trattato rimandato per ulteriori approfondimenti.
Che cosa blocca il ddl di ratifica italiano? Le spiegazioni ufficiali fornite dal Governo da un anno a questa parte ruotano intorno alla necessità di una «più accurata ponderazione» del trattato «in ordine alla possibilità concessa dalla legge emiratina di applicare, all’esito del processo, la pena di morte». Eventualità che ostacolerebbe il via libera del Parlamento stante l’assolutezza del principio costituzionale che sancisce il ripudio della pena capitale. E di riflesso, dopo la sentenza della Consulta 223/1996 sul caso Venezia, vieta estradizioni regolate da trattati che non prevedano garanzie assolute e non «discrezionali» sul fatto che all’esito del giudizio l’eventuale pena di morte non venga eseguita. Da qui la necessità di «approfondimenti», da parte del ministero della Giustizia, per «meglio specificare la portata applicativa» dell’articolo 3 del trattato di estradizione con gli Eau, e in particolare la clausola sui “Motivi di rifiuto obbligatori”.
La versione i niziale, secondo fonti di via Arenula che seguono il dossier, offriva però già sufficienti garanzie contro il rischio che una persona potesse essere consegnata a Dubai e sottoposta a pena capitale. In particolare, il trattato ora “congelato” escludeva ogni margine «discrezionale» alle autorità giudiziarie e politiche ita- liane chiamate a valutare la condizione di non applicazione della pena capitale, nel caso sia irrogata. A frenare l'iter, sempre secondo fonti ministeriali, sono state le obiezioni di Palazzo Chigi, preoccupato dell’impatto sul testo della legge 149/2016 (ratifica Convenzione di Bruxelles su estradizioni extra Ue e delega per modifiche al Cpp) approvata nel frattempo nel luglio scorso. La norma detta infatti condizioni più stringenti, vincolando l’estradizione per fatti punibili con la morte «all’accertamento da parte di un giudice che è stata adottata una decisione irrevocabile» su una pena alternativa a quella capitale. Il nuovo paletto impone dunque una modifica e di fatto la rinegoziazione del trattato con gli Emirati (che peraltro a febbraio hanno già ratificato il trattato prima maniera) ma certo non spiega l’eccezionale ritardo del dossier.
I CASI Nell’emirato vivono, tra gli altri, Amedeo Matacena, ex deputato condannato per associazione mafiosa, e il narcotrafficante Imperiale
TEMPI LUNGHI Secondo fonti della Giustizia a preoccupare sono i paletti della nuova legge sulle estradizioni: con le modifiche l’accordo va rinegoziato