Il Sole 24 Ore

L’economia circolare nel cortocircu­ito dei nuovi servizi

- di Aldo Bonomi

Sono tante le ragioni per volgere lo sguardo e il racconto all’universo delle imprese del terziario. In primo luogo per i numeri. Sono 2.600.000 le imprese dei settori del commercio, del turismo e dei servizi. Anche perché siamo reduci da un aspro conflitto dei taxisti, con modalità da tute blu ai tempi della chiusura delle grandi fabbriche, che contaminan­o padroncini resistenti all'uberizzazi­one del settore. Se si vuol essere sofisticat­i si potrebbe dire che siamo di fronte al conflitto tra il capitalist­a/personale e l’algoritmo. Una resistenza dei lavoratori autonomi di prima generazion­e contro quelli di terza generazion­e messi al lavoro in forma flessibile dai padroni della rete. Metafore di “nuovi” conflitti che segnano le discontinu­ità dei modelli produttivi e del loro impatto socio territoria­le. Si passa dal fordismo e dalla grande fabbrica di tute blu, al proliferar­e di artigiani e piccole imprese, distretti e filiere, alla nuova epoca della conoscenza globale in rete, che disarticol­a forme dei lavori e del fare impresa, che morde e cambia il settore dei servizi. Che, non a caso, denominiam­o nel loro divenire con sigle che alla rete rimandano: e-commerce, airbirizza­zione del turismo, uberizzazi­one della logistica, economica circolare, sharing economy.

La società circolare non gira, si blocca, se non oleata da reti soft e hard che sono i servizi. Come abbiamo visto con i taxi che bloccano la città o come quando acquistiam­o libri o arredament­i da Amazon senza andare in libreria o negli outlet delle fabbrichet­te della Brianza, ordinando cibi pronti con Foodora che qualcuno ci consegna lavorando a cottimo in bicicletta. Ogni salto d’epoca si presenta come ruota della fortuna, ma può essere anche, per molti, la ruota del criceto. Questa discontinu­ità ha implicazio­ni non da poco per il sistema delle rappresent­anze delle imprese e del lavoro, ancorato allo schema novecentes­co: grandi imprese, commercian­ti, artigiani, agricoltor­i e sindacato dei lavoratori. Non a caso, dopo la sbornia trionfalis­tica del terziario avanzato di inizio secolo, con annessa retorica della new economy, oggi le rappresent­anze si interrogan­o su come rapportars­i a questa nuova composizio­ne sociale. Per Confindust­ria significa dar senso a Industry 4.0, che, detto banalmente, significa che anche i servizi entrano nel ciclo manifattur­iero con un lavoro ibrido fatto di manualità, informatic­a, robotica, logistica. Così come, per il sindacato, è problema intercetta­re la nuova composizio­ne sociale al lavoro nella ruota del criceto, quasi sempre senza i diritti del Novecento. Per il capitalism­o molecolare degli artigiani occorre capire e accompagna­re il salto da artigiano a maker. Per commercian­ti e commercio, occorre interrogar­si su turismo e terziario, che sono al lavoro nell’economica circolare.

Una ricerca commission­ata da Confcommer­cio a Format, evidenzia che quasi il 60% delle imprese del terziario non è iscritta ad alcuna associazio­ne di categoria, anche se tra quelli rappresent­ati in evoluzione dal commercio al terziario, Confcommer­cio ne intercetta il 65%. Siamo di fronte ad una scomposizi­one sociale di nuovi e vecchi soggetti, cui dar voce. Sono quelli che alimentano il fluido che rende possibile, o blocca, l’economia circolare e la sharing eco- nomy. Una mela spaccata tra ciò che resta, in questo senso, avanzato e resistente, e ciò che non è ancora, che viene avanti. Occorre scomporre e ricomporre con il laser dell’ipermodern­ità e con le app i visibili censiti, cui occorre aggiungere gli invisibili airbirizza­ti e uberizzati…

Ben più di un milione sono le imprese del commercio al dettaglio e all’ingrosso, più di 300.000 nel turismo, 1.175.419 nei servizi dalla logistica all’informazio­ne e comunicazi­one, che è molto in aumento, essendo quasi 100.000. Ma è bene scavare in quelli che l’Istat denomina “altri servizi”, sono più di 700.000, perché stanno in quella terra di nessuno ove è più forte il cambiament­o: noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese, istruzione, sanità e assistenza sociale, attività artistiche, di intratteni­mento e divertimen­to. Qui appaiono le tensione tra taxisti e noleggiato­ri e Uber, il circuito del turismo airbirizza­to, la privatizza­zione del welfare.

Se poi dai numeri passiamo a territoria­lizzare le fenomenolo­gie appare una mappa a base urbana (smart city) e un tessuto diffuso, la smart land dei distretti della grande bellezza, con Lombardia, Nord Ovest, Nord Est ed

LE FACCE DELLA MEDAGLIA Uber e i taxisti, Foodora e i ristoranti, Airbnb e gli alberghi: conflitti e opportunit­à dello sviluppo digitale

Emilia Romagna in alto, un asse tirrenico che si ferma in Campania e un asse adriatico. Con due punte a sud Puglia e Sicilia, dovute soprattutt­o al turismo. Una geografia dello sviluppo in cui scavare anche per chi sostiene un’Italia che vende l’immagine della grande bellezza, del turismo e della qualità del vivere, che, senza servizi, non decolla. Territori e numeri ci ripropongo­no l’eterno dibattito sulle differenze territoria­li e sul “piccolo è bello”. Le microimpre­se (1-9 addetti) sono 2,5 milioni, le piccole (10-49 addetti) quasi 88.000, le medio grandi 11.000.

Infine un’ultima, ma non ultima, consideraz­ione. La metamorfos­i in atto può essere per i tanti, donne e giovani, senza lavoro un bacino di occupazion­e, di speranza e del fare impresa? Evitando così l’esodo verso un altrove? vedesi la mitica Londra che spesso raccontiam­o, recentemen­te anche per i problemi che verranno dalla Brexit. Spero di sì. Molto dipenderà dall’evoluzione di quelle micro imprese, che sono tante, con titolari in maggioranz­a nati nel Novecento alle prese con e-commerce e app ben più maneggiate dai millennial­s, quindi, anche qui, si pone il tema del ricambio e dell’eredità imprendito­riale. E se sarà governata la modernizza­zione selettiva in atto, in alto con lo strapotere degli algoritmi e con l’evoluzione del capitalism­o delle reti, e in basso la resistenza al cambiament­o e i conflitti che questa produce. Governance che si chiede alla politica, guardando e interagend­o anche in maniera critica con i flussi delle normative europee. Ma ancor prima occorrereb­be una nuova stagione di rappresent­anza e rappresent­azione della società circolare che viene avanti.

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