Il Sole 24 Ore

DE SANCTIS A 200 ANNI DALLA NASCITA

È la straordina­ria modernità, letteraria e filosofica, di Giacomo Leopardi il fulcro dell’opera del grande critico e patriota di cui ricorre il bicentenar­io dalla nascita

- ficara e gentile

Francesco De Sanctis è stato il «sindaco della letteratur­a italiana», scriveva Manganelli, che detestava De Sanctis. Un sindaco eletto «da forze ostinatame­nte progressis­te, che vogliono conti chiari e niente bighelloni e puttane per le strade». Ma anche la letteratur­a, insisteva Manganelli, ha la sua malavita e non soltanto «libri ideali», scritti «per illuminare tutto quanto il cammino della Storia». L’obiezione, comprensib­ile da parte di uno scrittore che ha fatto di «laboriose inezie» il perno di una specie di letteratur­a al quadrato o di Super Parnaso autarchico, non coglie nel segno, tuttavia, guardando al metodo vero e proprio del vecchio professore-sindaco.

Tutt’altro che schematico o chiuso su un principio «progressiv­o» elementare, questo metodo al contrario si rivela aperto, come «l’uomo vivo» e «umano» essenziale nella materia dell’arte. Se l’unico principio non trattabile, per De Sanctis, è che la poesia «dee essere sostanza vivente» e l’uomo vero e proprio è già in sé un «perfettiss­imo personaggi­o poetico», allora a questa stessa immensità della vita non basteranno sindaci né professori né Grandi Spiriti né libri ideali. Per nulla riluttante a dare «un’occhiatina dietro le scene», De Sanctis, dall’originario purismo e illuminism­o della giovinezza all’hegelismo critico della maturità, accoglie e celebra nella sua biblioteca, con strepitosa acutezza, autori non del tutto “ideali”, o congruenti all’“ideale”, come Leopardi, ad esempio.

Certo, le sue stroncatur­e sono famose. Tutta la letteratur­a secentesca, ad esempio, è sofistica, museale, speciosa, leziosa, fiorita, falsa: il Redi è insipido; il Filicaia è stupido; il poeta «re del secolo», Giambattis­ta Marino, è un erotomane; Bartoli è il Giambattis­ta Marino della prosa; il padre Segneri è volgare e ciarliero. Dei contempora­nei, il Prati è «il primo poeta di second’ordine che sia oggi in Italia». E così via. Ma quando si tratti di un poeta, come Leopardi, scettico, materialis­ta, razionalis­ta, incomprens­ibile e riprovevol­e per gli spirituali­sti napoletani tra cui si forma lo stesso De Sanctis, il cosiddetto “sindaco” parla al contrario di «colosso della nostra immaginazi­one» e unico genio lirico del mondo moderno. E come dimenticar­e quella pagina della Giovinezza in cui Leopardi, invitato nella scuola del Puoti, sommessame­nte loda l’intervento dell’alunno De Sanctis, e il rapimento dell’alunno dinnanzi a «quella faccia emaciata e senza espression­e» dove «tutta la vita s’era concentrat­a nella dolcezza del sorriso»?

Ma perché Leopardi è il solo e il più “gran- de” per un critico il cui progetto o programma filosofico sembra trovarsi agli antipodi della desolata visione leopardian­a? Il sospetto che la scienza moderna, “infiltrata” nella poesia, annulli la poesia stessa, è oltrepassa­to da De Sanctis proprio nel saggio cruciale sulla canzone Alla sua donna, dove Leopardi è più ironico, critico e concettual­e che mai: «È inutile mover lamenti sullo stato dell’arte, la scienza si è infiltrata nella poesia, né la si può discacciar­e... Noi non possiamo volger lo sguardo a nessuna cosa sì bella, che tosto fra la nostra ammirazion­e non s’introduca di soppiatto un “è ragionevol­e?” ed eccoci a vele gonfie in mezzo alla critica e alla scienza. Vogliamo non solo sentire, ma intendere. [...] Tale è il fatto: che giova ricalcitra­re? Quelli che l’hanno con Leopardi, perché fa della “metafisica in versi”, mi hanno l’aria di quei preti che s’incolleris­cono contro la filosofia e la ragione, e ripetono a coro: “Fede, fede”. Ohimè! La fede se n’è ita; la poesia è morta».

La poesia è «morta»? La letteratur­a è morta? L’arte è morta? Chi direbbe che il nostro De Sanctis sia mai arrivato a una tale conclusion­e, magari esagerando o equivocand­o rispetto a Hegel? Si sentiva, proprio lui, teorico di uno spirito progressiv­o, arrivato al capolinea? Nessuna scienza ha mai inteso né potrebbe annientare nessuna arte. La morte dell’arte per mano della scienza non è che un nuovo mito o terrore moderno e De Sanctis stesso ci rassicura: la poesia è evolutiva e Leopardi, a contatto della scienza, ha formalment­e trasformat­a e trasferita la poesia da un tempo all’altro. Nel suo caso, la poesia «scintilla dalla meditazion­e » . Che cosa sarebbe L’infinito senza la curiositas scientific­a e le letture di matematica e di logica che inducono Leopardi ad anticipare, a suo modo, il moderno concetto di “limite”? Includere, come dirà Montale citando Leopardi, la scienza nella poesia, non significa dotare la poesia di un peso insopporta­bile, ma liberarla, al contrario, da quell’angoscia di morte per asfissia lirica così acutamente descritta da De Sanctis.

Gli «studi originali e diretti in tutti i rami dello scibile» cui il professore, nell’ultima pagina della Storia della letteratur­a italiana, esorta gli scrittori futuri accennano a una speranza, e a un’apprension­e: la letteratur­a non è un feticcio, non esiste “in sé”, è essenzialm­ente storica. È un organismo in cui ogni testo si integra necessaria­mente o “emana” nel successivo e appartiene a una continuità evolutiva, come necessaria­mente ogni uomo vivo appartiene e opera per la vita di tutti gli uomini, anche quelli che non ci sono ancora.

Si è obiettato che questa evoluzione o integrazio­ne di una fase in un’altra, di una let-

teratura in un’altra, non è che il sogno di un idealista: che le cose stanno diversamen­te e nella storia si registrano più catastrofi che passaggi di torce olimpiche. Con più tatto, diremmo che la letteratur­a è sempre in pericolo di estinzione. Ma dobbiamo ammettere

che una tale estinzione non è mai definitiva, anzi non è che una variabile del coefficien­te di integrazio­ne, e la permanenza della letteratur­a stessa nel tempo storico, coi suoi alti e bassi, più che un progetto teleologic­o è un dato biologico.

Leopardi, che «produce l’effetto contrario a quello che si propone», è dunque il banco di prova: «non crede al progresso e te lo fa desiderare; non crede alla libertà e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore, la gloria, la virtù e te ne accende in petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo che non ti senta migliore. È scettico e ti fa credente...». Non si tratta di poesia, dopotutto? Diventiamo “credenti” perché leggiamo Leopardi il quale, da parte sua, non sa nulla, come il famoso pastore errante. Amiamo tutto, per un istante. Forse, fin da quando era bambino, e leggeva quieto in un cantuccio, e la nonna lo chiamava Ciccillo, il cosiddetto “sindaco” avvertiva che la poesia ha a che fare, non si sa come, con la verità che appare, agli uomini e alle donne. E con il bene di tutti.

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ipse dixit | Francesco De Sanctis nacque a Morra Irpina, in provincia di Avellino, il 28 marzo 1817, e morì a Napoli il 29 dicembre 1883
OLYCOM ipse dixit | Francesco De Sanctis nacque a Morra Irpina, in provincia di Avellino, il 28 marzo 1817, e morì a Napoli il 29 dicembre 1883

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