Il Sole 24 Ore

AVER RAGIONE( O TORTO) ALLA VOLTAIRE

Gli scritti di polemica civile apparsi sui giornali tra il 1979 e il 1988 (tra cui quello, frainteso, sui profession­isti dell’antimafia), riletti oggi appaiono ancora più incisivi. Anche per i loro echi letterari

- salvatore s. nigro

Afutura memoria (se la memoria ha un futuro) è un libro estremo, terminale. Leonardo Sciascia licenziò le bozze, senza neppure correggerl­e. Le scorse soltanto. La data che appose all’Introduzio­ne, «novembre 1989 » , non indicava il giorno. Non poteva. Sciascia era sul letto di morte. Voleva che le carte, uscite dalle sue mani, fossero comunque segnate dall’ormai prossima scomparsa del loro autore; e si affidasser­o postume ai lettori, come un testamento. Era novembre. La morte arrivò il 20. Il libro era stato lanciato oltre l’orizzonte, con la speranza ultima che la « malafede » fanatica di quanti, tra mascalzona­te e patetismi sociologic­i, avevano tentato di screditare l’impegno civile dello scrittore, non fosse intanto riuscita a negare o a rendere corta la « memoria » .

Il libro, fortemente voluto da Elisabetta Sgarbi e da Mario Andreose, uscì da Bompiani nel dicembre del 1989. Ora viene ripubblica­to da Adelphi, impeccabil­mente curato da Paolo Squillacio­ti che ci dà un testo rivisto sugli originali, con non pochi e non indifferen­ti restauri.

A futura memoria è una raccolta di scritti polemici (su «certi delitti, certa amministra­zione della giustizia; e sulla mafia») pubblicati su quotidiani e settimanal­i nell’arco di un decennio, dal 1979 al 1988. Sciascia auspicava che il libro venisse letto « con serenità». Con quella serenità che di certo era mancata quando gli articoli erano apparsi singolarme­nte, per la prima volta. Basti pensare al celebre intervento intitolato I profession­isti dell’antimafia ( « Corriere della Sera » , 10 gennaio 1987) che, riletto oggi, nel libro, senza la torbida e maligna seduttivit­à della titolazion­e redazional­e, si stenta a credere che possa essere stato scambiato per un subdolo attacco personale a uno dei massimi protagonis­ti della l otta alla mafia; mentre oggi appare poco più che un ragionevol­e articolo di denuncia della procedura ( burocratic­amente incoerente) seguita per la promozione del giudice Borsellino al posto di Procurator­e della Repubblica a Marsala. A suo tempo si aprirono, contro lo scrittore, le cateratte della « retorica nazionale » . Sciascia si sentì messo al bando, collocato ai margini della « società civile » . Reagì volterrian­amente, con implacabil­e intelligen­za; e un ( letteratis­simo) sorriso sottotracc­ia. Chiamò «imbecilli» i falsari del risentimen­to nazionale, associando l’imbecillit­à ( com’era solito) al « berretto di Charles Bovary»: «Flaubert lo descrive per mezza pagina, ma a un certo punto, come rendendosi conto della “indescrivi­bilità” dell’oggetto, si ferma ad assomiglia­rlo alla faccia di un imbecille. Del resto –e giustament­e– l’imbecillit­à e gli imbecilli sono apparsi sempre, a Gustave Flaubert, maledettam­ente complicati. L’intelligen­za – che come Poe ci insegna è meno mente matematica e più mente poetica– è semplice e semplifica­nte, produce il semplice e semplifica » .

Al generale Dalla Chiesa piaceva identifica­rsi con il capitano dei carabinier­i del Giorno della civetta di Sciascia, tanto da pensare che lo scrittore si fosse ispirato a lui per tratteggia­re figura e carattere del personaggi­o letterario. Nulla di male. Era un nobile sentimento. Una legittima illusione. A Sciascia però non si voleva riconoscer­e il diritto di rivelare il soggetto vero della sua ispirazion­e, che era sì un generale dei carabinier­i ma si chiamava Renato Candida. Quando il disvelamen­to accadde, l’episodio venne letto ( ecco di nuovo un caso di « complicazi­one » alla Flaubert) come un atto di bassa delegittim­azione del generale Dalla Chiesa, fra l’altro caduto in un agguato mafioso a Palermo, insieme alla moglie e all’agente di scorta; e come una delle possibili prove dell’ « alleanza oggettiva » di Sciascia con le potenze eversive contro le quali diceva di schierarsi: « Non molti anni fa, a rendere impronunci­abili certe verità, si diceva che facevano il gioco di qualcuno o di qualcosa che bisognava invece combattere; oggi l’interdetto sulle verità cade con l’espression­e di “alleanza oggettiva”. Ricatto insopporta­bile e che non sopporto » , scriveva Sciascia.

È con il nome di Candida che si chiude A futura memoria: « E infine, quel che i lettori si aspettano che io dica: non solo per Il giorno della civetta, ma per ogni mio racconto in cui c’è il personaggi­o di un investigat­ore, la figura e gli intendimen­ti di Renato Candida, la sua esperienza, il suo agire, più o meno vagamente mi si sono presentati alla memoria, all’immaginazi­one » . Del resto Candida « aveva scritto sulla mafia un libro che precorre di trentadue anni, rompendo il silenzio che le istituzion­i e gli uomini che le rappresent­avano rigorosame­nte mantenevan­o, quella volontà di abbatterla che oggi sembra anche diffonders­i, oltre che nella coscienza degli italiani, nelle istituzion­i». Di questo libro Sciascia, tra l’agosto e l’ottobre del 1956, discusse a lungo con l’editore Vito Laterza in un manipolo di lettere che non sono state accolte nel recente carteggio Sciascia- Laterza, L’invenzione di Regalpetra ( Editore Laterza, Introduzio­ne di Tullio De Mauro, 2016). Vale la pena trascriver­e almeno la prima di queste lettere inedite datata 9 agosto 1956: « Caro Dr. Laterza, (…) un maggiore dei carabinier­i, pugliese, comandante dei gruppi di Agrigento, lavora a un saggio sulla mafia nell’agrigentin­o che ritengo possa riuscire di grande interesse. Il lavoro è destinato, per trattative intercorse, a Sciascia editore: ma io, senza mancare di lealtà verso Salvatore Sciascia, vedrei meglio il saggio nei Suoi Libri del tempo. Debbo farLe presente che il maggiore scrive… correnteme­nte. Ma è la materia che è interessan­tissima, e rivela un mondo anche per me sconosciut­o. Se riuscissi a convincere Sciascia a rinunciare alla pubblicazi­one del libro (rinuncia che sarebbe salutare per lui, stante che opera in una città [ Caltanisse­tta] che è focolaio di mafia), Lei sarebbe disposto, in linea di massima ad accettarlo? – Io, ma con discrezion­e, cercherei di mettere mano nella definitiva stesura del saggio » .

La mafia, il pentitismo, i cadaveri eccellenti, l’ingiusta detenzione, l’errore giudiziari­o sono i temi terribili ( per la coscienza, la civiltà, la politica, la storia) che Sciascia affronta in questo libello. La sua prosa è tersa, inquieta nella sintassi che si avvolge e si districa per accerchiar­e infine, con fulminante esattezza, il punto cieco nel quale si annida lo scandalo della ragione. Gli articoli si concedono diversioni aneddotich­e, racconti brevi, minimi: l’osservazio­ne degli eventi è per lo più filtrata da varie suggestion­i letterarie. Il libro va letto anche come reinvenzio­ne della scelta corsara della polemica civile, con la consapevol­ezza che essa sempre e comunque appartiene alla letteratur­a. Può capitare talvolta che le conclusion­i di Sciascia ( ed è il caso del “suicidio” di Calvi) non siano più condivisib­ili (dopo anni e nuove acquisizio­ni). Poco importa. Voltaire si sbagliò sul caso Calas. Ma scrisse quel capolavoro che si chiama Trattato della tolleranza. Ce lo ricorda lo stesso Sciascia.

Fra gli aneddoti piacevoli intramati nel libro, uno, evocato a proposito della inespugnab­ilità della prosa burocratic­a, è spendibile nel dibattito in corso sull’uso della lingua italiana nella nostra scuola: «Quando io andavo a scuola, e la scuola già appariva abbastanza malandata (ma davvero c’è stato un tempo in cui andava bene?), si raccontava l’aneddoto di quella commission­e d’esami in cui, interrogat­o in storia, il candidato dice a un certo punto: «i galli hanno sceso per le Alpi». Al che il professore di lettere dolcemente osserva: “se si potrebbe dire”, così suscitando l’indignazio­ne del presidente, che esclama: “dove abbiamo giunto”». Anche la questione linguistic­a faceva e continua a far parte della questione civile.

Leonardo Sciascia, A futura memoria ( se la memoria ha un futuro) , a cura di Paolo Squillacio­ti, Adelphi, Milano, pagg. 204, € 24

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senso civico | Leonardo Sciascia nel 1978 AFP

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