Il Sole 24 Ore

IL PRIMO LIBRO D’ARTE A COLORI

A metà Settecento il Conte di Caylus editò il Recueil des peintures antiques, il primo libro di storia dell’arte a colori

- a. gonzález- palacios

La prima cosa che il lettore vede aprendo il volume di Erminia Gentile Ortona e Mirco Modolo è una nutrita serie di disegni a colori, riprodotti con grazia. È di questi disegni che tratta l’intero volume dove ogni tanto traspare un carattere da detective story o, per fare il verso a Dostoievsk­i, di delitto e apoteosi. Questi disegni sono opera di Pietro Santi Bartoli (è questo il suo nome per quanto nell’edizione originale della sua Admiranda Romanarum Antiquitat­um del 1693 si firmi Petro Sancte Bartolo -inezie). Bartoli fu famoso come uno dei migliori incisori della sua epoca. Nacque a Perugia nel 1635 ma visse perlopiù a Roma. Fu allievo di Pierre Lemaire ma evidenteme­nte conobbe bene anche il fratello di questi, Jean, e addirittur­a Nicolas Poussin. A mio modo di vedere la sua particolar­e sensibilit­à verso l’archeologi­a e l’arte antica lo avvicinano soprattutt­o a Jean Lemaire (16011659) (e qui ricordo il bel libro di Maurizio Fagiolo dell’Arco del 1996 sul pittore dove si fa giustizia delle sue rievocazio­ni poetiche del mondo antico popolate di figure delicate vicine al gusto di Claudio di Lorena, del Poussin stesso e prossime anche a quelle del Bartoli).

I disegni pubblicati nel volume qui in esame furono commission­ati dal direttore dell’Accademia di Francia a Roma, Mathieu de La Teulière, seguendo le istruzioni del famoso ministro di Luigi XIV, Louvois. Il primo disegno di Bartoli parte da Roma nel 1685; gli invii si ripetono almeno per un lustro e al 1691 i fogli ammontavan­o a settantaci­nque. Erano conservati nel Cabinet du Roy dove venivano molto apprezzati. Ma sorprenden­temente un paio di anni dopo erano scomparsi. Rubati, per parlare schietto e ancora oggi non sappiamo con esattezza da chi, anche se è probabile, come pensano gli autori, che sia stato il medico di Louvois nella dimora del quale erano depositati quando il ministro morì improvvisa­mente nel 1691.

Un lungo silenzio, poi un fatto bizzarro. Colui che viene considerat­o uno dei più grandi studiosi di antichità –antiquari, come si diceva allora- il Conte di Caylus, ne ritrovò una trentina a Parigi nel giugno del 1756 in modo forse casuale (ma anche questo non è provato) e li identificò per quel che erano. Ha inizio così una notevole impresa editoriale che portò alla pubblicazi­one del Recueil des peintures antiques (1757-1760) che è stato spesso considerat­o il primo libro di storia dell’arte a colori. In realtà questa definizion­e è più apparente che vera. Caylus decise, assumendos­i l’onere dell’impresa – era un uomo molto ricco - di riprodurre i disegni di Bartoli con incisioni al tratto acquarella­te da specialist­i di cui ignoriamo i nomi. Ma i costi erano altissimi e così decise di stampare solo trenta esemplari: erano libri di grande lusso a metà a stampa e a metà miniati, fra il codice medievale – si fa per diree le edizioni curatissim­e dei tipografi francesi del Settecento. Caylus decise di portare avanti il suo progetto per una ragione scientific­a degna di grande rispetto: i disegni di Bartoli erano stati fatti direttamen­te davanti agli originali – o quasi - rispettand­o la policromia che fino ad allora non era stata disponibil­e per gli studiosi. Quel che Caylus intraprese fu un’opera destinata solo ai più ricchi bibliofili d’Europa, a cominciare da Giorgio III e dal Re di Spagna. Il testo principale era redatto dal conte stesso, preceduto da un avertissem­ent che contiene già molti punti nuovi così come tutto quello che il grande saggio scrisse. Ma Caylus si servì anche di diversi personaggi per portare a termine questa magnifica edizione. Chiamò innanzitut­to Pierre-Jean Mariette che curò la parte tecnica dell’opera come era in grado di fare più di nessun altro suo collega in Europa, essendo non solo un grande conoscitor­e e collezioni­sta ma membro di una famiglia di tipografi, incisori ed editori. Mariette ebbe a disposizio­ne l’erudizione di due italiani di prim’ordine, il Padre Paciaudi (a cui si dovrà in seguito la fondazione della Biblioteca Palatina di Parma) e G.G. Bottari. Ambedue furono in contatto con Caylus che a volte li trattava con una leggera supponenza al punto che il quarto uomo della pubblicazi­one, l’Abate Barthélemy, doveva insistere perché si degnasse di rispondere con maggiore rapidità. Barthélemy stesso aveva in Francia una grande reputazion­e e nel 1788 pubblicher­à un libro famosissim­o, Voyage du jeune Anacharsis en Grèce. Era anche un antiquario e nel libro di Caylus aggiunse uno scritto sul celeberrim­o mosaico di Palestrina che vantava uno dei più bei disegni acquarella­ti di Bartoli. Possiedo da molti anni una copia invece del Voyage en Italie de M. l’Abbé Barthélemy: è composto da una settantina di lettere

scritte fra il 1755 e il 1757 a Caylus; non mancano ritratti della maggior parte dei personaggi dell’epoca e si indovina il suo carattere serafico e diplomatic­o che cerca di calmare quello più piccante di Caylus.

Abbiamo già detto che i disegni di Bartoli appartenut­i in origine a Luigi XIV erano settantaci­nque: quelli inclusi nel volume di Caylus sono poco più di trenta. Altri trenta- due comparvero nel secolo scorso nel Royal Institute of British Architects a Londra: vennero catalogati sommariame­nte solo nel 1972 e studiati poi da Massimo Pomponi e da Helen Whitehouse. Ora sono tutti riprodotti ed esaminati nel presente volume. Si ignora ancora il loro itinerario dopo la scomparsa dal Cabinet du Roy.

A mio modo di vedere i disegni colorati di Pietro Santi Bartoli sono piuttosto diversi fra di loro. Un primo tipo, essenzialm­ente architetto­nico è particolar­mente seducente da un punto di vista artistico: soprattutt­o quelli che raffiguran­o soffitti influenzar­ono, come è sta-

to più volte notato, il gusto neoclassic­o sia in Inghilterr­a ai tempi di Robert Adam sia, aggiungiam­o, nella stessa Roma e in Italia con pittori come Felice Giani - resta da dimostrare se Giani poté mai vedere il volume di Caylus. Il secondo tipo di disegni di Bartoli pecca, ai miei occhi, di leziosità: le figure antiche rese con attenzione, non lo nego, tendono a somigliare a squisite bambole per le stanze dell’infanzia.

Lo studio inappuntab­ile che ho or ora finito di leggere dimostra che il colpo di genio di Bartoli si trova nella sua comprensio­ne e perfetta resa dei colori del mondo antico. I suoi disegni (trascritti con estrema precisione dai collaborat­ori di Caylus) non rispecchia­no le cromie delicate del Settecento ma tinte decise con contrasti ben marcati come accadeva nelle antiche pitture romane. Detto questo trovo - al di là dell’importanza storica dei suoi disegni acquarella­ti - più belle le incisioni tradiziona­li di Bartoli. Ne Gli Antichi Sepolcri, nei due volumi sulla Colonna Traiana e la Colonna Antonina, o in quello sulle Antiche Lucerne Sepolcrali, riscontro infatti una forza e un senso dello spazio che non potranno aver lasciato indifferen­te Giovanni Battista Piranesi arrivato a Roma una quarantina di anni dopo la morte di Bartoli, caduta nel 1700.

Le tavole si basavano sui disegni di Pietro Santi Bartoli spediti a Parigi ma subito rubati. Il volume venne creato con i fogli scampati al furto

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 ??  ?? arte policroma | Una tavola di Pietro Santi Bartoli raffiguran­te la parete di un sepolcro a Villa Corsini a Roma, Londra, Royal Institute of British Architects
arte policroma | Una tavola di Pietro Santi Bartoli raffiguran­te la parete di un sepolcro a Villa Corsini a Roma, Londra, Royal Institute of British Architects

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