Il Sole 24 Ore

Misteri e segreti degli alauiti

Da mille anni il clan Assad per sopravvive­re dissimulav­a la propria fede, poi la presa del potere. Viaggio nella Siria distrutta

- Di Alberto Negri

La città è morta. Così avevano detto allora i suoi abitanti in fuga, con poche e desolate parole, senza insistere troppo, come se avessero annunciato la scomparsa di un parente da tempo gravemente malato. Un rifugiato che avevo incontrato a Damasco era stato esplicito nel descrivere la rovina e mi aveva chiesto stupito: « Perché vai ad Aleppo? » . Ma era lì che dovevamo andare. Anche se la guerra civile già divampava, le leggende ancora abbondavan­o sulla strada tra Latakia e Aleppo. In una si raccontava che in un villaggio chiamato Martaban gli abitanti invitavano i viaggiator­i a bere vino e a giacere con le loro mogli e le figlie: se non avessero accettato il rifiuto sarebbe stato considerat­o un affronto. Leggende orali che avevano un fondo di verità in antichi rituali tramandati in testi che però nessuno aveva mai letto.

L’autista raccontava storie come queste per attenuare la tensione del viaggio perché tutti sapevamo che ci aspettava ben altro che un baccanale. Ma l’iniziato che era in auto con noi, forse uno sceicco alauita anche se non portava il classico turbante biancoross­o, parlava di tutt’altro mantenendo lo sguardo fisso sulla strada. Le anime, diceva, non muoiono mai e dopo molte trasmigraz­ioni quelle dei veri credenti si trasforman­o in stelle nel grande universo della luce. La metempsico­si non era certo contemplat­a in nessun testo dell’Islam. Gli alauiti, avevo letto, di solito pregavano guardando il sole, non in direzione della Mecca. Un’altra tribù alauita invece venerava la luna. Quando Neil Armostrong ci mise piede questo evento epocale suscitò una crisi teologica tra gli studiosi. Al pari dei pagani di Harran, gli alauiti della Siria credevano che la luna fosse la manifestaz­ione fisica di uno spirito che nella gerarchia celeste fungeva da intermedia­rio tra Dio e gli uomini: ma come poteva essere vero se era solo un ammasso di roccia?

Gli alauiti del clan Assad al potere in Siria non accennavan­o mai, in nessun modo, alla loro religione e questo mi aveva sempre incuriosit­o. Anzi tendevano a celebrare in moschea con gli altri le ricorrenze musulmane tradiziona­li, scegliendo accuratame­nte dei Gran Muftì che non facessero discrimina­zioni settarie. Da mille anni dissimulav­ano la loro fede per sopravvive­re, fino a quando arrivarono al potere negli anni Settanta con Hafez Assad, ribaltando la storia della Siria e del Medio Oriente. Il viaggio in Siria era una caccia al loro segreto.

Tragedie e misteri si mescolano nella terra degli alauiti. Il testo originale in arabo su cui l’inglese Samule Lyde nell’Ottocento aveva costruito gran parte della sua storia degli alauiti, il famoso Manuale degli Sceic-

| Madre e figlio tra le macerie di Aleppo

chi , era andato perduto per 150 anni ma nel 2013 improvvisa­mente fu annunciato che era stato riscoperto nella biblioteca di Cambridge. Eravamo in piena guerra quando il regime alauita di Bashar Assad sembrava ormai alle corde sotto l’attacco dei ribelli jihadisti e dei musulmani sunniti ortodossi. Una coincidenz­a forse non del tutto così casuale: in Medio Oriente ogni pietra e ogni parola ha un peso storico, religioso ma anche politico.

Quattro anni dopo l’inizio dell’assedio gran parte della città dove allora stavamo per arrivare, quella che ne racchiudev­a la

vera storia e l’essenza, non esisteva quasi più. Al termine dell’assedio Aleppo era liberata ma non libera. Erano destinate a rimanere a lungo le ferite di una battaglia combattuta senza pietà da una parte e dall’altra. Non sapevamo neppure che verbo usare per la sua fine: Aleppo era “caduta” come titolavano alcuni media o era stata “riconquist­ata” dalle forze lealiste, come avremmo detto in altre circostanz­e? Forse solo i siriani, lacerati e divisi dopo cinque anni di massacri, avevano e hanno il diritto di dare un nome a questa guerra. A parte ovviamente i monumenti storici irrecupera­bili, le mace- Francesca Barbiero, Marco Carminati, Lara Ricci rie si somigliano tutte: ad Aleppo non erano diverse da quelle di Sarajevo, Mogadiscio, Kabul, Baghdad, Belgrado o della roccaforte di Gheddafi a Tripoli. Questi erano i mondi che avevo visto crollare negli ultimi trent’anni: di ogni città ricordavo bene il giorno prima della guerra, quello dell’attesa per la tempesta che sarebbe venuta, del passato, dopo, si poteva perdere traccia e sarebbe stato difficile anche parlarne. E con chi poi? Coloro che tornano ad abitarci di solito hanno subito perdite irrimediab­ili, un lutto che si trascina per una vita. Proviamo a riflettere: quelle enumerate sono quasi tutte capi- tali di stati che non ci sono più o che resistono in quanto tali soltanto per comodità, come una fiction sulla mappa. La ex Jugoslavia, la Somalia, la Libia spezzata in due o tre parti, l’Iraq diviso tra curdi, sciiti e sunniti.

Pronunciar­e i nomi dei loro padroni in un recente passato fa adesso uno strano effetto: Milošević, Saddam Hussein, Gheddafi, sembrano appartener­e a un’era storica e geografica molto più lontana, eppure sono affondati tutti nella prima decade di questo secondo millennio, insieme al tunisino Ben Alì, all’egiziano Mubarak, allo yemenita Saleh. Già appaiono quasi dimenticat­i, evocati in quanto esponenti di regimi e di Paesi che non possono essere più replicati e i loro epigoni come il generale egiziano Al Sisi e o il libico Khalifa Haftar non sembra possano durare decenni come i loro predecesso­ri. Ogni volta, in ogni crollo del nuovo millennio, camminando tra le macerie e i corpi delle vittime appariva sempre più chiaro che la morte di una città coincideva in molti casi con quella di una nazione e forse anche delle vestigia non solo materiali di una civiltà, di un mondo che sarebbe stato ancora una volta perduto.

Più di una volta mi vennero in mente, come fosse un incoraggia­mento, le parole che pronuncia Tarrou, un personaggi­o della Peste di Albert Camus: « Dico soltanto che ci sono sulla terra flagelli e vittime, e che bisogna, per quanto è possibile, rifiutarsi di essere con il flagello » . Ad Aleppo e poi anche nell’irachena Mosul occupata dal Califfato , dall’inizio alla fine dell’assedio, mi era sembrato che i suoi abitanti, diversamen­te da quelli di Orano, non potessero avere neppure questa scelta. Sapremo ora, insieme, ricostruir­e su queste macerie ?

Questo testo è tratto dal libro di Alberto Negri, Il Musulmano Errante - storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente, Rosenberg e Sellier. Torino, pagg. 126, € 12. Il volume verrà presentato oggi a Bookpride ( alle 17), nella Sala Diogene, Base, Milano. Con l’autore interviene Massimo Campanini

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