L’età dei Lumi pontifici
La grande ricognizione storica sull’istituzione è giunta al Settecento: il secolo in cui, a latere della biblioteca, sorsero raccolte enciclopediche
Ivolume – quarto della monumentale collana che, voluta e condotta dal Prefetto monsignor Cesare Pasini, ha per argomento la storia della Biblioteca Apostolica – è dedicato al XVIII secolo; secolo difficile (ci racconta nel saggio introduttivo Ambrogio M. Piazzoni) per non dire infausto nella storia della Chiesa. Il cattolicesimo è obbligato a fare i conti con i demoni della Modernità: lo storicismo, il relativismo, l’individualismo, tendenze tutte che stanno sotto la più generale epigrafe dell’Illuminismo.
La politica della Santa Sede è ondivaga, sussultoria, ora filofrancese, ora filospagnola, più raramente filoimperiale. L’elezione di un nuovo pontefice è sempre un evento di internazionale rilievo ma a dare le carte, più dei cardinali riuniti in conclave, sono le cancellerie delle grandi potenze europee: Parigi, Madrid, Vienna. Va anche detto che i papi del secolo, da Innocenzo XI Albani a Pio VI Braschi, sono di caratura non molto più che modesta. Nessuno, con la sola eccezione del bolognese Prospero Lambertini, papa col nome di Benedetto XIV, ha avuto una idea veramente alta della politica, della storia e soprattutto della cultura. Non c’è da meravigliarsi quindi se, nel secolo, la Chiesa conosce sconfitte e ripiegamenti. Come nel caso dei cosiddetti “riti cinesi”. La grandiosa e lungimirante opera di inculturazione condotta in Cina dal gesuita Matteo Ricci (adattare i principi del cattolicesimo ai valori e alle attese di una civiltà straordinariamente antica e raffinata) viene prima bloccata e poi interdetta. Con conseguenze che, tre secoli dopo, ancora pesano nei rapporti fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese. Perché lunga è la memoria dei popoli.
Non diversamente andarono le cose con le reduciones gesuite in Paraguay. Quel « cristianesimo felice » che piaceva a Ludovico Antonio Muratori, non piaceva affatto ai colonialisti spagnoli e portoghesi. E le reduciones furono brutalmente liquidate, non senza il consenso di Roma.
Il punto più basso della storia della Chiesa nel XVIII secolo, lo si toccò nel 1773 quando un francescano romagnolo diventato papa con il nome di Clemente XIV Ganganelli, uomo colto e per bene, però debole e disarmato di fronte alle pressioni dei governi d’Europa, firmò l’atto di soppressione della Compagnia di Gesù.
Poi le cose andarono come sappiamo, precipitando verso il fatale ’ 98, il 1798 del
Trattato di Tolentino, della rapina francese delle opere d’arte, del saccheggio del monetiere vaticano, della fondazione della Repubblica Romana, della fine anche ufficiale dell’Antico Regime.
Nel secolo XVIII Roma è ancora un centro di alta cultura (saggio di Mario Rosa), soprattutto nel settore dello studio e della valorizzazione dell’antichità classica. È il secolo di Mengs, di Winckelmann, del grande archeologo G. Battista Visconti che con i figli Ennio Quirino e Filippo, allestisce il Museo Clementino, la più grande, la più bella collezione d’arte antica d’Europa ed è, nel suo ultimo scorcio, il secolo del Goethezeit, il tempo di Angelica Kaufmann, di Hamilton, del giovane Canova, di Piranesi.
Quanto alla Biblioteca Apostolica, essa è una tappa obbligata del voyage d’Italie (saggio di Pier Andrea De Rosa). Si viene in Italia, nella magic land amata da Thomas Jones, il più grande paesista inglese del ’700, per le cupole del Correggio a Parma, per i Tiziano e i Veronese di Venezia, per gli Uffizi di Firenze e, una volta a Roma, per l’Ap ollo del Belvedere, per il Laocoonte per il Raffaello delle Stanze e delle Logge, ma anche per avere accesso ai rariora della celebre Biblioteca del papa.
Della Biblioteca Apostolica nel Settecento si parla dunque in questo libro curato da
Barbara Jatta. Un’opera di grande impegno e di lunga lena: poco meno di 500 pagine di testo, grande corredo iconografico, una ventina di autori specialisti che firmano i vari saggi, apparati sterminati di note, di materiali bibliografici e documentari.
A me interessa la parte del volume dedicata ai Musei della Biblioteca, a quelle collezioni d’arte e di storia che, nate nella Biblioteca e per la Biblioteca, in tempi relativamente recenti, regnando Giovanni Paolo II, sono stati consegnati alla responsabilità amministrativa e scientifica della Direzione dei Musei. La Biblioteca wunderkammer che ospitava i libri e le cose di cui parlano i libri ( vetri dorati e argenti, avori e manufatti in terracotta, in marmo, in bronzo, lapidi e iscrizioni) non esiste più, almeno come realtà istituzionale.
Si è rotta una unità che durava da secoli. Ragioni di razionalizzazione amministrativa, forse di più efficace gestione e di migliore tutela, hanno giustificato il provvedimento. Resta il dispiacere per il vulnus che ha manomesso un ordine antico oggi, come il libro insegna, recuperabile solo per via storico- documentaria.
Ed ecco, affidati nel libro ai saggi di Giovanni Morello e di Guido Cornini, i Musei della Biblioteca. Il Museo Cristiano, voluto nel 1756 da Benedetto XIV. L’epigrafe lati- na che sovrasta l’ingresso alle collezioni è un vero e proprio programma di politica culturale. Quel museo esiste – fa scrivere il papa – ad augendum Urbis splendorem et asserendam religionis veritatem. Per battere le contestazioni di protestanti e di volterriani occorre dimostrare l’antichità dei culti e la storicità dell’ordinamento ecclesiale. A questo servono i materiali (vetri dorati, argenti, iscrizioni) che il Museo raccoglie. È la prima volta che lo storicismo, l’analisi delle fonti documentarie, vengono utilizzati con criteri scientifici anche se per fini apologetici.
Dieci anni dopo, al termine del Corridoio della Biblioteca, al tempo del veneziano Clemente XIII Rezzonico, apre il Museo Profano, uno dei luoghi più affascinanti del percorso Vaticano. Al punto di incrocio fra le ultime nostalgie rococò e il chiaro ordine neoclassico, lì sta il Museo Profano, capolavoro del collezionismo di età illuminista. Con gli affreschi allegorici che celebrano la filologia, l’archeologia, la scienza documentaria, con i mirabili armadi disegnati dal Valadier gremiti di avori e di bronzi.
Fra tutti i settori museali della Biblioteca resta indimenticabile la Galleria Lapidaria, normalmente chiusa al pubblico e visitabile solo su richiesta. Allestita dal grande archeologo ed epigrafista Gaetano Marini negli anni di Clemente XIV ( il saggio è a cura di Rosanna Barbera e di Marco Bonocore) ospita sulle due pareti una sterminata antologia di iscrizioni. È la storia che si è fatta pietra e ci parla attraverso le pietre. In alto epigrafi in latino indicano gli argomenti di cui le lapidi sono testimonianza ( consules , magistratus et dignitates, milites, documenta veterum christianorum, ecc....). Tutto è raccontato nelle lapidi: la politica e la guerra, i culti e i riti funerari, la famiglia, la società, il mercato. Un criterio elencatorio e classificatorio governa l’insieme. L’impressione è quella di entrare nell’Encic lopedia di Diderot e di D’Alambert. C’è, per esempio, una parete ( stavo per dire una pagina) che raccoglie le memorie funebri dei milites singulares quei pretoriani a cavallo, reclutati nel Norico e in Pannonia, truppe d’élite a difesa dell’Imperatore, che avevano la loro caserma dove è oggi la basilica romana di San Giovanni in Laterano.
Fra costanti arricchimenti per acquisizione di fondi manoscritti greci e latini, sotto il governo di grandi bibliotecari, crescono nel secolo le dimensioni e il prestigio della Apostolica Vaticana, arricchendosi di collezioni, di servizi e di spazi oggi purtroppo perduti. Penso in particolare alla deliziosa Stanza delle Stampe, al Gabinetto delle stampe sciolte aperto al pubblico colto, di cui parla Barbara Jatta. Esempio perfetto di come la conoscenza e la diffusione delle stampe, l’equivalente delle nostre fotografie, fosse nel « secolo del rame » ( così definiva il suo tempo il grande storico e conoscitore Luigi Lanzi) obiettivo e premura di un colto sovrano come Pio VI Braschi. Storia della Biblioteca Apostolica Vaticana. La Biblioteca Vaticana e le Arti nel secolo dei Lumi ( 1700- 1797) , a cura di Barbara Jatta, Città del Vaticano, pagg. 510, € 120