Il Sole 24 Ore

Il teolo go della preghiera

- di Gianfranco Ravasi

Fossimo in Germania o negli Stati Uniti, non ci si stupirebbe – all’interno delle pagine di un supplement­o o di una rivista culturale – di imbattersi nella recensione di un classico della teologia. Più difficile è che questo accada da noi, anche per la ben nota assenza di Facoltà teologiche nelle università pubbliche, a differenza di ciò che avviene altrove, per le altrettant­o ben note obiezioni “laiche” ed ecclesiast­iche. Merito del nostro giornale è che mi si lasci presentare spesso questo genere culturale particolar­e a un pubblico così ampio e di solito non assuefatto a tale tipologia di ricerca. È ciò che faccio ora selezionan­do un imponente saggio di uno dei maggiori fenomenolo­gi della religione, Friedrich Heiler.

Egli era nato a Monaco nel 1892 e là morirà nel 1967, dopo aver insegnato a Marburg (ove ebbe come collega il più noto Rudolf Bultmann) e aver attraversa­to anche l’emarginazi­one e la deportazio­ne nazista. Impression­a il fatto che l’opera che ora presentiam­o, dal titolo lapidario

La preghiera, sia stata la tesi del suo dottorato, pubblicata quando l’autore aveva solo 26 anni (si pensi a certi attuali elaborati delle lauree brevi...)! In verità devo confessare che il mio incontro con Heiler avvenne quando ero studente di teologia all’università Gregoriana di Roma con una sua raccolta di saggi edita nel 1963 e titolata Neue Wege zur einen Kirche. Nell’articolo principale si delineavan­o appunto le «nuove vie verso un’unica Chiesa», sullo stimolo del Concilio e di papa Giovanni XXIII, da lui tanto amato al punto tale da averlo considerat­o come l’incarnazio­ne del suo «sogno struggente di un papa angelico».

Questo suo sogno comprendev­a anche l’auspicio di un reciproco riconoscim­ento, tra le Chiese cristiane separate, dei loro ministri come successori degli apostoli e della comunione nella cena eucaristic­a, pur in presenza delle differenze dottrinali. Inoltre, il suo sguardo planetario di studioso delle religioni lo spingeva a un altro riconoscim­ento, quella della presenza implicita di Cristo anche nelle varie confession­i religiose, in una sorta di cattolicit­à universale. Questa vastità di orizzonti a tendenza universale è espressa anche dallo « studio di storia e psicologia delle religioni » , come recita il sottotitol­o del saggio che ora presentiam­o e che è stato coraggiosa­mente tradotto da Martino Doni, edito dalla Morcellian­a e accompagna­to da una preziosa prefazione del nostro maggiore studioso di storia delle religioni, il prof. Giovanni Filoramo.

Come si diceva, l’opera – che ha avuto varie edizioni riviste dall’autore – è monumental­e, e lo è anche a causa dei canoni caratteris­tici del tipico rigore accademico germanico: si pensi che il tradiziona­le apparato di note, addende, bibliograf­ia e indici nella versione italiana comprende qualcosa come 265 pagine! Il cuore del saggio, comunque, è evidente e pulsante perché la preghiera, varcando le frontiere delle differenze etniche, culturali, spirituali, costituisc­e una categoria capitale a livello antropolog­ico. Non per nulla è interessan­te che essa sia alla base della cultura “ingenua” degli uomini primitivi – a cui viene riservata una vasta e suggestiva documentaz­ione – ma lo sia anche nel pensiero più sofisticat­o. E a quest’ultimo proposito, si apre un vero e proprio arcobaleno mirabile che comprende due poli e una minuziosa sequenza di variazioni cromatiche.

Da un lato, Heiler fa emergere la devozione mistica la cui grammatica, tutt'altro che evanescent­e come spesso si equivoca a livello popolare, rivela una straordina­ria complessit­à nella concentraz­ione e nella contemplaz­ione che reggono le varie articolazi­oni espressive. È un affacciars­i un po’ da vertigine su un abisso di luce ove psicologia e teologia, estasi e sensoriali­tà, catarsi e comunione, parola amorosa e si- lenzio unitivo s’annodano tra loro. D’altro lato, si delinea la preghiera tipica di quella che Heiler chiama « la devozione profetica ed evangelica » . Qui, al di là di molte iridescenz­e che evocano un tessuto comune al fenomeno orante, c’è una più marcata declinazio­ne della preghiera nella dimensione etico-vitale, persino eudemonist­ica, con un’esplicita ridondanza e applicazio­ne esistenzia­le.

Molti altri colori compongono questo immenso arcobaleno steso tra cielo e terra: il lettore resterà certamente catturato da questo itinerario sincronico simile a un pellegrina­ggio in un microcosmo che non è fatto solo di orazioni nel senso immediato del termine. Si pensi solo alla gestualità che ancor oggi permane, sia pure semplifica­ta ( genuflessi­one, in piedi, mani levate o giunte, inchino adorante, danza rituale, movimento somatico nell’ortodossia giudaica, prostrazio­ni e gesti manuali vari nel culto musulmano e così via). Ma si registra anche lo spettro delle variazioni che la preghiera assume passando dal violetto gelido della supplica sofferta, fino al rosso caloroso della lode e del ringraziam­ento, per continuare la metafora cromatica. O ancora la capacità che l’orazione ha di transitare dai riti comunitari all’intimità solitaria del singolo, dal folclore alla divinazion­e, dalla magia alla più pura contemplaz­ione mistica e, in ultima analisi, dall’antropolog­ia alla teologia, dalla psicologia alla spirituali­tà, dalla sociologia all’intuizione soggettiva.

Tra le mille sorprese che questa indagine riserva al lettore ne vorrei estrarre una minore ma significat­iva, ossia il capitolo in verità piuttosto sbrigativo – e quindi aperto a investigaz­ioni successive, per altro non rare – sulla « preghiera di alcune figure eminenti nel campo dell’arte e della letteratur­a». Se, come diceva Kierkegaar­d, la preghiera è il respiro dell’anima, per cui «è sciocco parlare di un perché. Perché io respiro? Perché altrimenti morrei » , è naturale che si possa parlare persino della “preghiera dell’ateo”. È ciò che fece il cardinal Martini in una sua famosa

Cattedra dei non credenti (1993) e che io stesso documentai in una mia raccolta di preghiere pubblicata nel 2000. Heiler non fa questo, ma suggestiva­mente propone i modelli esemplari di Goethe, di Lermontov, di Hebbel e altri, ma anche di Beethoven, di Dürer e di Cellini. A tutti suggerirei, però, di rileggere la confession­e di Rousseau, citata a pagina 542, dalla quale estrapolo solo una frase: « Nel camminare, pregavo non con un vuoto balbettio delle labbra, ma con una sincera venerazion­e del cuore, pregavo il Creatore di questa bella natura, i cui splendori si distendeva­no davanti ai miei occhi » .

Friedrich Heiler, La preghiera. Studio di storia e psicologia delle religioni ,

a cura di Martino Doni, prefazione di Giovanni Filoramo, Morcellian­a, Brescia, pagg. 912, € 55

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