Come gestire l’imponderabile
Èfin troppo nota l’affermazione di A. Einstein: «Quando Dio vuole restare anonimo si serve del caso».
Dal latino casus (caduta) e cad re (cadere), il termine italiano “caso” ricalca, come quello latino, la parola greca ptôsis che, oltre a riferirsi al “caso” grammaticale, dice anche riferimento a qualcosa che accade in maniera imprevista. Da qui la convinzione diffusa che chiama “caso” tutto ciò che è imprevedibile e non asseconda alcuna legge.
Al contrario di quanto si possa pensare, in realtà, il caso è fortemente legato a una regola o legge detta, appunto, “legge empirica del caso”. È una legge ancora non dimostrata (per questo, “empirica”), ma che vige ed è valida, in Statistica e in tutte le scienze che studiano eventi probabili ma non certi, per descrivere la frequenza del verificarsi di alcuni eventi. La legge empirica del caso, quindi, è una regola che si applica, anzi è l’unico sostegno, per misurare la probabilità di certi eventi, quando nessuna altra legge intervenga. È una regola che parte dall’osservazione del comportamento degli stessi eventi accaduti nel tempo (sotto quali condizioni e quante volte si verificano). Dall’osservazione di tale comportamento, la “legge del caso” ci suggerirà come, quando e se si verificherà – con un certo livello di probabilità – l’evento in questione.
Con un banale anagramma alcuni fra i più illuminati filosofi hanno sostenuto che il caso interviene per organizzare il caos. È questo il contesto nel quale va collocata e interpretata la celebre espressione di Einstein che attribuisce a Dio il ruolo di organizzatore del caos generalizzato.
Sul piano più strettamente esistenziale capita spesso di invocare il caso come alibi deresponsabilizzante. Tale viene ritenuto un evento esterno che può rimettere in piedi un’ esistenza compromessa o far ritrovare una strada da percorrere in piena consapevolezza. Si fa invece sempre più strada la convinzione del tasso di responsabilità personale che va riconosciuto in tanti eventi considerati “un caso”. «Il caso? – affermava T. Terzani - Difficile dire che non esiste, ma in qualche modo mi andavo convincendo che gran parte di quel che sembra succedere appunto “per caso”, siamo noi che lo facciamo accadere; siamo noi che, una volta cambiati gli occhiali con cui guardiamo il mondo, vediamo ciò che prima ci sfuggiva e per questo credevamo non esistesse. Il caso, insomma, siamo noi». Dovremmo spendere più tempo per meditare sulle nostre azioni quotidiane, sulle nostre reazioni periodiche, sugli apparenti misteri che ci circondano. Potremmo scoprire che invece di affidare al caso il bene che desideriamo per noi e per gli altri, vale la pena mettere buone premesse e accompagnare responsabilmente i nostri progetti e quelli degli altri. Piuttosto che attribuire al caso le colpe dei nostri fallimenti, insuccessi e frustrazioni, potremmo “dare una mano al caso” per per trasformare il nostro caos in progetto di vita; dando retta a M. McLaughlin: «Per la più felice delle vite, pianifica rigorosamente i tuoi giorni e lascia le tue sere aperte al caso».