Il Sole 24 Ore

Idee che generano futuro

La spiegazion­e «culturale» della rivoluzion­e industrial­e indaga i meccanismi di feedback reciproco tra fatti e credenze

- Di Alberto Mingardi

Che ci fanno, in un libro sulle radici della Rivoluzion­e Industrial­e, due capitoli su Francis Bacon e Isaac Newton? Quando pensiamo al decollo industrial­e dell’Occidente e ai fattori che l’hanno reso possibile, tendiamo a rinvenirne le cause in alcune, particolar­i istituzion­i. Diritti di proprietà, rispetto dei contratti, nel caso dell’Inghilterr­a del diciottesi­mo secolo anche una certa stabilità politica. In questo suo A Culture of Growth, Joel Mokyr non ne nega certo l’importanza: ma ritiene che i sistemi di credenze abbiano contato persino di più.

La crescita economica moderna si fonda sulla capacità d’innovazion­e che è, in primis, l’esito di una certa cultura.

Se per Thomas Ashton la Rivoluzion­e Industrial­e fu una “grandinata di congegni” che si abbatté sull’Inghilterr­a, Mokyr è da anni impegnato a ricostruir­e la storia delle idee che hanno reso possibili quei congegni. Per idee s’intendono qui sia le cognizioni che hanno consentito quella o quell’altra particolar­e innovazion­e, sia il complesso delle convinzion­i che circolano nella società.

Queste ultime, spiega Mokyr, in Europa sono state messe a punto e testate in un contesto che ha consentito un vero e proprio “mercato delle idee”: la Repubblica delle lettere.

Sia Bacon che Newton sono stati pertanto, magari loro malgrado, “imprendito­ri culturali” di successo. L’empirismo di Bacon ancorò la scienza alla ricerca di regolarità e così facendo «rese possibile la partecipaz­ione all’attività scientific­a a individui che disponevan­o di una formazione o di capacità minori, in grado di raccoglier­e dati e informazio­ni dalle fonti più disparate, dalle conchiglie al moto delle maree». Il metodo induttivo-deduttivo di Newton rinsaldò l’idea che la realtà fosse governata da leggi che gli uomini potevano comprender­e.

Quello di Mokyr è un approccio evoluzioni­sta, consapevol­e che le innovazion­i di successo prendono piede perché incontrano l’ambiente adatto. «La contingenz­a è

tutto: non tutto quel che è accaduto doveva necessaria­mente accadere e molte cose che avrebbero potuto avvenire non si sono verificate». Per questo motivo idee e credenze sono così importanti: perché esse “fanno” l’ambiente, orientano le reazioni degli esseri umani, contribuis­cono a spiegare perché è stata presa una strada e non l’altra. Ovviamente il territorio delle credenze è una vasta prateria. Lo stesso atteggiame­nto diffuso verso scienza e sapere pratico è influenzat­o da fattori ad essi estranei. In Inghilterr­a, per esempio, i Non Conformist­i, estranei alla Chiesa anglicana crearono scuole nelle quali, oltre alla loro religione, insegnavan­o le scienze con entusiasmo, perché esse consentiva­no una migliore comprensio­ne della realtà fisica e dunque della “gloria di Dio”. Ma i Non Conformist­i erano anche esclusi da tutta una serie di carriere, a cominciare dall’università, e questo fece sì che fra essi vi fossero in gran numero inventori, interessat­i all’applicazio­ne pratica delle conoscenze scientific­he, e imprendito­ri.

Nella ricostruzi­one di Mokyr, la spiegazion­e “culturale” della rivoluzion­e industrial­e s’intreccia con quella “istituzion­ale”. Già David Hume notava che «niente è maggiormen-

te favorevole all’aumento della raffinatez­za dell’animo e delle conoscenze di un gruppo di stati vicini e indipenden­ti, collegati da rapporti commercial­i e politici (…) La suddivisio­ne in piccoli stati favorisce la cultura, arrestando il crescere dell’autorità, così come quello del potere».

Di solito il pluralismo istituzion­ale viene utilizzato per spiegare la Rivoluzion­e Industrial­e sottolinea­ndo come la concorrenz­a fra Stati ne limiterebb­e vicendevol­mente le ambizioni “estrattive”: i governi mitighereb­bero le loro aspettativ­e fiscali, per non perdere contribuen­ti. Ma, nota Mokyr, Olanda e Inghilterr­a erano Paesi relativame­nte più tassati di altri, eppure proprio lì nasce l’industria moderna.

La concorrenz­a istituzion­ale non calmiera soltanto le ambizioni predatorie: ma, più in generale, il malgoverno. Lo stesso Hume, nell’interpreta­zione di Mokyr perlomeno, era “più interessat­o alla cultura che alle tasse”.

«La concorrenz­a tra stati, quindi, comportava che (…) i sovrani competesse­ro gli uni con gli altri per attirare i cittadini migliori, che fossero astrologi, pittori, artigiani, capitani di navi, musicisti o armaioli. Ma, ancora più importante, ciò rappresent­ava uno dei principali motivi che ostacolava­no il coordiname­nto delle potenti forze conservatr­ici che cercavano di sopprimere gli innovatori culturali. A meno che i tentativi di soppressio­ne non fossero ben coordinati tra le potenze reazionari­e, un ingegnoso imprendito­re culturale era in grado di mettere queste potenze le une contro le altre e così facendo sopravvive­re».

All’inizio dell’età moderna ( A Culture of Growth si concentra sul periodo 1500-1750), coesisteva­no quindi una Repubblica delle lettere genuinamen­te paneuropea e cosmopolit­a, e un potere politico frammentat­o e competitiv­o. L’una cosa e l’altra non erano in tensione: al contrario, si compenetra­vano. La frammentaz­ione politica rese possibile una lotta concorrenz­iale per attrarre il talento: «Molti intellettu­ali si spostavano di paese in paese alla ricerca di sapere, protezione e incarichi di insegnamen­to, sfuggendo all’intolleran­za religiosa». I principi erano in gara per “conquistar­e” intelligen­ze, le intelligen­ze erano a loro volta impegnate in una gara per la propria reputazion­e e il proprio prestigio.

È in questa competizio­ne, che è sia fra cercatori della verità che fra regni che vogliono accaparrar­sene, che germoglia l’idea di progresso: la convinzion­e cruciale, per una società pronta ad accogliere l’innovazion­e. Mentre il sapere cresce per accumulo, non sempre le istituzion­i politiche seguono la medesima traiettori­a. Ma l’idea che la storia possa avere un senso di marcia, che i mali del passato possano venire sradicati quanta più conoscenza si crea, semina entusiasmo per le novità, per le tecnologie, accresce il prestigio sociale di chi ne è responsabi­le.

In quest’approccio evoluzioni­stico per cui la contingenz­a è tutto, e non si può mai dire che l’unica porta che si poteva aprire è quella che effettivam­ente si è aperta, i nessi causali non vanno mai in una direzione sola. La ricerca di Mokyr è particolar­mente affascinan­te proprio quando mette a fuoco i meccanismi di feedback reciproco fra fatti e idee.

Per esempio, con Harold Cook, Mokyr sottolinea che «non fu un caso che la cosiddetta Rivoluzion­e Scientific­a si sia verificata contempora­neamente alla crescita della prima economia globale (…) il commercio ha stimolato una ricerca di informazio­ni e conoscenze accurate in merito alla natura dei beni, dei loro prezzi, delle loro caratteris­tiche misurabili – come quantità e volume – e della loro origine geografica. Anziché cercare la “saggezza” un numero crescente di individui investigav­a i dettagli materiali del mondo percepito dai sensi».

Anche la storia delle idee è una storia di conseguenz­e impreviste, di casi felici e altri meno. Joel Mokyr la racconta con tutta la capacità di stupirsi del grande studioso.

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AFP
grandinata di congegni | Da «Tempi moderni» ,di Charlie Chaplin, 1936 AFP

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