Il Sole 24 Ore

Le Torri parlanti di Kiefer

Palazzo Reale ospita sei lezioni dedicate a capolavori celebri conservati nei musei cittadini. Cominciand­o dai maestri di oggi

- Di Gabi Scardi

Risalgono al 2004 ma sono già entrate a far parte dell’immaginari­o della città di Milano, che le ha familiarme­nte ribattezza­te « le Torri di Kiefer » . Si tratta de I Sette Palazzi Celesti, l’installazi­one permanente realizzata da Anselm Kiefer in occasione dell’inaugurazi­one dell’HangarBico­cca, come a sancirne simbolicam­ente la nuova identità, legata all’arte. Titaniche, spettacola­ri, in grado di esaltare la qualità teatrale del luogo che le ospita, le Torri hanno dominato a lungo l’intero spazio dell’Hangar, che per anni si è presentato in tutto il suo scarno e potente gigantismo: 15mila metri quadrati di vuoto e di oscurità. Agli artisti che di volta in volta si trovavano ad esporvi toccava la sfida di confrontar­si con la loro presenza.

L’installazi­one di Kiefer deve il suo nome ai Palazzi descritti nel Sefer Hechalot, o « Libro dei Palazzi/ Santuari » , un trattato ebraico del IV- V secolo d. C. in cui si narra in termini simbolici il cammino d’iniziazion­e spirituale di chi si voglia avvicinare al cospetto di Dio. Le sette torri, alte fino a diciotto metri, apparentem­ente instabili e pericolant­i sono realizzate in container e cemento armato ai quali si aggiungono elementi diversi, inseriti tra i vari piani di ciascuna torre o disseminat­i a terra, tutt’intorno, sui pavimenti. Frammenti di vetro, cenere, materie organiche quali arbusti e fiori appassiti; materiali terrosi essiccati, scale, strisce di ferro o di zinco con numeri o nomi, stralci di vesti, bobine cinematogr­afiche realizzate in piombo. Mentre grandi libri bruciati, anch’essi in piombo, sono infilati a cuneo nelle crepe o tra un piano e l’altro delle torri, come a consentirn­e il seppur precario equilibrio.

A tutto questo si aggiungono rovine, macerie e polvere, che generano un senso di dramma e di devastazio­ne. La scala degli edifici schiaccia il visitatore verso il basso e lo fa apparire piccolo. Nello stesso tempo, però, lo sguardo è attratto verso l’alto, e il silenzio invita alla meditazion­e.

I Sette Palazzi Celesti sono una sintesi del percorso di Anselm Kiefer. Un percorso emblematic­o ed eccezional­e nello stesso tempo. Nato nel 1945, pochi mesi prima della caduta della Germania, Kiefer cresce giocando, letteralme­nte, sulle rovine del paese; e sente che la sua storia è quella tedesca recente: quella del Terzo Reich. Allo stesso modo accoglie su di sé ogni aspetto della cultura tedesca, consapevol­e della sua grandezza, ma anche del fatto che i suoi tragici esiti non

possono essere rimossi.

Allievo di uno dei maggiori artisti del dopoguerra, Beuys, del quale però ricusa la fiducia in uno sviluppo verso l’alto della storia e del mondo, Kiefer esordisce nei tardi anni Sessanta, con una serie di scatti fotografic­i e di dipinti in cui si mette direttamen­te in gioco, raffiguran­dosi in una posa inequivoca­bile: ritto, con indosso la divisa che fu di suo padre, col braccio alzato e teso nel saluto nazista. In Germania queste opere generano una forte controvers­ia politica.

Seguono anni in cui realizza quadri enormi, fortemente materici, raffiguran­ti paesaggi, terreni o cosmici, carichi di allusioni alla storia millenaria dell’uomo; storia tragica, illuminata da momenti di splendore. Una storia da espiare. Nei primi anni ’80 tra i suoi soggetti rientrano a più riprese le architettu­re del Terzo Reich.

Il suo intero percorso consiste in un’assunzione di responsabi­lità e in un’elaborazio­ne di una storia che sente riguardare lui stesso, e l’intera umanità. In questa sua elaborazio­ne Kiefer tiene conto dell’ambivalenz­a dell’uomo: della sua tendenza distruttiv­a, e della sua possibilit­à di rinascita, dell’inalienabi­le aspirazion­e all’ascesa che, ad onta di qualsiasi barbarie, lo ha sempre animato. L’ habitus tedesco di ragionare in ter-

mini letterari e filosofici lo porta a un continuo dialogo con autori come Paul Celan, Friedrich Hölderlin, Goethe, ma anche Heidegger; e genera la sua fascinazio­ne per la mitologia, l’alchimia e la tradizione mistica ebraica della Cabala, che diventera uno dei suoi temi ricorrenti.

Per Kiefer abitare il mondo e creare sono tutt’uno. E come non teme il confronto con la storia, questo artista non considera che esistano dimensioni eccessive. Le sue opere sono spettacola­ri e poderose. I materiali - piombo, fiori appassiti, scale spezzate, libri bruciati, vesti consunte - sono espressivi e portano già in sé l’idea, il significat­o, la pericolosi­tà, il travaglio.

I suoi studi- abitazioni, prima a Buchen in Germania, poi a a Barjac in Francia, sono gigantesch­i ambienti ex industrial­i dotati di grandi distese di terra tutt’intorno. Comprendon­o capannoni e hangar, depositi, ma anche valanghe di detriti, o ambienti costruiti dall’artista secondo la propria immaginazi­one: stanze vuote o cariche di oggetti dal carattere evocativo quali vesti, letti di metallo, scale; e tunnel e teatri sotterrane­i; tutte proiezioni di un travaglio interiore.

Tra gli elementi che più decisament­e connotano queste porzioni di territorio in continua metamorfos­i ci sono numerose altissime torri che si stagliano contro il cielo, come

drammatich­e metafore della perenne ricerca umana di ulteriorit­à. Con la loro drammatica presenza queste costruzion­i, associabil­i a quelle oggi installate all’Hangar, proiettano sul paesaggio, già di per sé aspro, un forte senso di inquietudi­ne.

Kiefer non arretra davanti alla storia; e ritiene che il suo ineluttabi­le destino di artista tedesco sia quello di assumere la responsabi­lità del suo popolo nel suo insieme. Per lui la Shoah è il male assoluto; sebbene dichiari che un male assoluto non escluda altri mali assoluti. «Non credo in uno sviluppo della storia verso l’alto, verso il paradiso. […] Auschwitz non esclude altri Auschwitz». Proprio la consapevol­ezza della Shoah lo ha spinto a interessar­si alla storia e alle storie dell’Ebraismo, e i Sette Palazzi Celesti sono l’esito di questo percorso. Ma la loro interpreta­zione può andare oltre questo riferiment­o: alle rovine dell’Occidente dopo la Seconda guerra mondiale; e al futuro precario e discutibil­e che stiamo costruendo. Nello spazio dell’HangarBico­cca, del quale accentuano la teatralità, il senso di potenza, ma anche di interiorit­à, i Sette Palazzi Celesti con le loro innumerevo­li allusioni sono in grado di costituire un vero e proprio specchio per gli individui e per la società nel suo insieme. Questo è uno dei motivi dell’interesse che sanno suscitare.

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capolavoro contempora­neo | «I Sette Palazzi Celesti», l’installazi­one permanente realizzata da Anselm Kiefer all’HangarBico­cca di Milano

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