Il Sole 24 Ore

Chitarrist­a crossove r

«Silent Light» di Dominic Miller è un album fantasma Attraversa i muri delle convenzion­i e non si lascia rivelare

- r.piaggio@me.com di Riccardo Piaggio

Tre piccoli bluebird, precari e solitari, sono sospesi a un cavo elettrico. Aspettano, o ascoltano. Oltre, solo l’azzurro della notte, senza profondità. Sono rondini e arrivano al momento giusto, a smentire il celebre proverbio. Il nuovo album del chitarrist­a dai natali argentini e domicilio britannico, Dominic Miller, impone da subito all’ascoltator­e il confronto con la vera materia di cui è fatta la musica (il sentimento di qualcosa che anticipa la ragione), a cominciare dalla cover, che ci dice molto di quello che ascolterem­o.

Silent Light è un’opera sempre pronta a prendere il volo; però la musica resta lì, sospesa, in attesa di nuovi pattern, nuove soluzioni armoniche, brano dopo brano. Silent Light è un album che porta, bene in vista, tre firme: la prima è quella della maison editrice ECM, la seconda quella di Miller, uno dei più solidi e crossover chitarrist­i contempora­nei. La terza, quella di Sting (vedremo perché). Il fondatore delle Editions of Contempora­ry Music, Manfred Eicher, vivace volpe nel deserto discografi­co europeo, ha insegnato a tre generazion­i di musicomani una cosa: si possono superare etichette (jazz, folk), barriere sociali (musica colta e musica popolare), estetiche (musica scritta e improvvisa­ta) o temporali (musica antica e contempora­nea) e perfino il sentimento fondamenta­lista (tradizione sufi e canto liturgico), con coerenza e onestà, senza appunto propinare all’ascoltator­e pasticci musicali e opere posticce; anche Silent Light è un album fantasma, nel senso che attraversa i muri delle convenzion­i e non si lascia facilmente rivelare. Così, il catalogo ECM lievita con un ulteriore classico per nulla mainstream.

Per la cronaca, in queste settimane escono altre cose preziose ed esteticame­nte coerenti con i bluebird di Miller, come l’esecuzione del violinista Gidon Kremer (con tanto di Kremerata baltica), in assoluto il più versatile al mondo e dunque arruolato da Eicher. Come le sinfonie da camera composte nell’anno dell’insurrezio­ne di Varsavia (1944) dal compositor­e sovietico-polacco Mieczys aw Weinberg. E come le folk songs scandinave rilette dal trombettis­ta Arve Henriksen con il Trio Mediaeval. Quanto all’album di Miller, la première live è prevista a Parigi, il 14 aprile, allo Studio de l’Ermitage, nel cuore del quartiere crossover di Belleville, mentre in Italia il chitarrist­a arriverà il 19 (Bologna, al Bravo Café), poi dal 3 al 5 agosto a Carpi (al Mundus Festival), ad Agrigento (nella Valle dei Templi) e a Palermo (nel Complesso monumental­e dello Spasimo).

Gli undici brani di Silent Light sono ovviamente dominati dalla chitarra dell’abile sarto musicale di artisti del pop, del rock e del folk come The Chieftains, Bryan Adams, Tina Turner, Rod Stewart, The Pretenders, Paul Young, Sheryl Crow, Peter Gabriel, Phil Collins, Richard Wright e, soprattutt­o, Sting, di cui Miller offre una rilettura di Field of Golds, successo pop ispirato dalla visione di un campo d’orzo al tramonto, registrato dal cantante inglese nel 1993 (accompagna­ndone l’esecuzione con una cornamusa) per il suo quarto album da solista Ten Summoner’s Tales e nuovamente nel 2006 (suonata con il liuto) come bonus per l’album Songs from the Labyrinth.

Sting sposa il progetto con una certa convinzion­e, arrivando a scrivere nel booklet che il chitarrist­a, evocatore di sinestesie, crea connession­i tra «onde sonore e luce», dando vita ad intuizioni che sono la perfetta rappresent­azione di una Luce silenziosa. Che accompagni l’ascoltator­e al termine della luce o della notte, il viaggio di Miller ha uno scudiero, il percus- sionista e batterista Miles Bould (solido turnista per Billy Ocean, Sting, Micheal Jackson, Beyonce, Tina Turner, Cher, Joe Cocker, i Simply Red e Julian Lennon): insieme, il chitarrist­a e il percussion­ista danno vita alla classica formazione eretica ECM. Insieme, i due sembrano non chiedersi in quale scaffale (esistono ancora?) andrà a disporsi questo album (si può parlare di folk-jazz, addirittur­a di musica contempora­nea, ma l’impasto crea qualcosa di nuovo, unico). Ecco la rivoluzion­e da campagna inglese di Miller (con gite frequenti nella letteratur­a musicale del novecento francese, in particolar­e incontro a Satie e a Debussy).

Sui brani preferiamo non dire nulla, accompagna­ndoci al pensiero dello stesso Miller: meglio tacere, «perché penso che la musica strumental­e dovrebbe parlare per sé stessa». Diremo solo che Il folk è al centro di Valium, brano assai evocativo (che cosa evoca? «Is my own folky pain killer») e Tisane, caratteriz­zata dall’ambiguità dell’accento metrico, mentre l'universo world si manifesta in brani come Urban Waltz, di carattere venezuelan­o e Baden, un omaggio al chitarrist­a brasiliano Baden Powel de Aquino . Per il resto, spazio all’ascolto. A cominciare da quelli dichiarati da Miller: avete mai sentito un chitarrist­a jazz innamorars­i dei Grateful Dead, di Jacques Brel e di Barbara? A volte si deve essere poco free, per essere davvero liberi.

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abile sarto musicale | Il chitarrist­a Dominic Miller

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