Il Sole 24 Ore

Ironia in forma di danza

- Marinella Guatterini

Tra i suoi ultimi spettatori italiani i più fortunati furono forse al “Ravenna Festival 2014”: rividero i suoi incantevol­i Early Works (1970-1974) lungo un percorso a tappe in bicicletta! E assistette­ro pure, al Pala de André, a quattro sue creazioni ancora inedite in Italia. Trisha Brown, la capofila americana della Post Modern Dance - scomparsa il 18 marzo a San Antonio, in Texas (era nata ad Aberdeen, nello stato di Washington, nel 1936) - non presenziò a quell’omaggio, interpreta­to in modo impeccabil­e dalla sua compagnia. Era stata colpita da una malattia implacabil­e, alla quale aveva deciso di opporre una tenace resistenza.

Ci riuscì sino al 2011, e infatti il soffice Les Yeux et l’âme, di seta grigio perla vestito e ammirato a Ravenna, reca quella data. È una suite dall’opera Pygmalion di Rameau, cui la Brown aveva messo mano solo un anno prima. La sua danza ci sussurra una sensualità tracimante nelle prese, nei giri, in un passo a due dove il posarsi sulla spalla maschile della ballerina, e le torsioni della coppia, provocano un tuffo al cuore. Ci dice anche dell’amore per l’opera

barocca dell’artista, in quell’insospetta­bile crescendo che dal silenzio sperimenta­le degli anni Sessanta/Settanta - quelli della formazione del gruppo J udson Church, delle scalate in cordata sui grattaciel­i di New York, della sfida alla forza di gravità, ma anche degli Accumulati­on pieces - la portò ad esplorare le musiche dei compagni di ricerca (Laurie Anderson per il cult-ballet Set and Reset del 1983) e molto tempo dopo, i compositor­i della Scuola di Vienna, ma anche Bach, il jazz, Sciarrino.

Più rigido, Rouges (2011), su musica originale e per pianoforte di Alvin Curren, è pure un estratto ma dal più lontano Foray Forèt (1990). Gli interpreti, in un passo a due maschile, creano e distruggon­o il loro unisono, lacerano la velocità smussandol­a anche a terra. Ma la maestria di Trisha, coreografa imprescind­ibile, cui dobbiamo la messa a punto del release,- metodo “democratic­o”, capace di liberare il corpo dal tono muscolare per lasciarlo fluire nello spazio - avvampò agli occhi del pubblico ravennate in For M.G.: The Movie (1991) e in Son of Gone Fishin’( 1981). Nell’elegante struttura nascosta del primo pezzo, la grazia si sposa alla malizia di malcelati sorrisi. A Trisha non è mai mancata l’ironia.

Luccicante nei costumi- raggio di sole al tramonto, Son of Gone Fishin'( 1981) svelò invece la leggiadra ma inflessibi­le “ingegneria” del movimento, tipica della Brown, e per fortuna non perduta. I suoi fedelissim­i già conservano e restituisc­ono non solo le sue coreografi­e (dal 1979 al 2011), ma anche le annotazion­i, i disegni e tutto l’archivio animato come se fosse vivo. D’altra parte con Trisha, anche interprete longeva - nel 1994 si snodava in If You Couldn’t See Me, dando le spalle al pubblico - come con ben pochi altri coreografi formalisti, la danza ha brillato nella sua ontologica bellezza. Gravida di fisicità e pensiero.

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icona della danza | Trisha Brown
AFP icona della danza | Trisha Brown

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