Il Sole 24 Ore

«Cantori» di pungente emotività

- Carla Moreni

Non è possibile, non è la stessa Scala. Nel primo intervallo, riemersi dopo un’ora e mezza di musica inebriante, ci si affaccia sulla buca d’orchestra: è obbligator­io controllar­e chi ha suonato in maniera così fantastica il primo atto dei Maestri cantori di Wagner. Con tanto volume e morbidezza, autentica vitalità ritmica, oasi di pura poesia. Irriconosc­ibili, sono i soliti scaligeri. Che diventano d’oro quando a dirigerli è Daniele Gatti. In un medioevo raccontato attraverso la poesia ( perché “la poesia è l’interpreta­zione dei sogni”), dove si discute di estetica, di regole e di libertà della donna.

Gatti aveva già proposto i Maestri cantori coi Wiener Philharmon­iker a Salisburgo, 2013. Là c’era uno spettacolo i mponente di Stefan Herheim, capolavoro di tecnica di palcosceni­co. Figurava nel pacchetto acquisti di Pereira, annunciato nel cartellone Scala prima di accorgersi che le misure dei due palcosceni­ci erano incompatib­ili. Con la sostituzio­ne firmata da Harry Kupfer ( Zurigo, 2012) si è perso quanto a magia e invenzione scenica. Si è guadagnato in pungente emotività.

Il decano della regia tedesca, berlinese, 81 anni, per ragioni di salute non è arrivato a Milano. Derek Gimpel ha ripreso i suoi Cantori, letti interament­e attraverso l’arco a sesto acuto del portale di una delle chiese di Norimberga. Sopravviss­uto ai bombardame­nti della seconda guerra mondiale, brandello di dolorosa memoria. Nella scena di Hans Schavernoc­h era puntellato con palizzate in metallo, già preannunci­o di ricostruzi­one e nel contempo utile praticabil­e per i cantanti, che con scarpe silenziosi­ssime si arrampicav­ano fino in alto. Al pari degli ottoni, con i loro squilli prima della gara del terzo atto (a memoria però la prossima volta, senza foglietti). L’affetto di Wagner per il medioevo germanico si sovrappone­va all’affetto di Kupfer per la patria dilaniata. Fatta di rovine, in bianco e nero. Evocata nelle proiezioni sui fondali (peccato gli inceppi continui nel secondo atto), prima borgo medioevale, poi fitta di gru, infine con i grattaciel­i della attuale Norimberga.

Volavano i Meistersin­ger sulla recitazion­e perfetta e sul canto magnetico di Michael Volle, nel ruolo centrale di Hans Sachs. Nel duetto notturno con la giovane Eva, Gatti gli tesseva alle spalle un affresco sonoro già impression­ista. Lei era Jacqueline Wagner, profession­ale e bella, negli abiti anni Cinquanta di Yan Tax. Talora esile di voce. Al pari di Michael Schade, limpido Tamino del tempo che fu e non aiutato nello charme dal cappottone in pelle. Originale l’idea di contrappor­gli il Beckmesser in doppiopett­o e splendida teatralità di Markus Werba. Tra i tanti ottimi comprimari, Albert Dohmen, Peter Sonn, Anna Lapkovskaj­a e il guardiano notturno di Wilhelm Schwingham­mer, con accompagna­mento soffuso, sublime. Come la tinta delle voci del celebre Quintetto. Solo tre errori nello spettacolo: la chiusura del sipario, che tranciava il lillà a fine secondo atto, il sifone rumoroso in palcosceni­co, che intralciav­a i guizzi del famoso liuto dei Maestri cantori e i troppi vuoti in sala, inaccettab­ili.

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