Regie per spettatori seriali
Immergendosi nel «mare magnum» delle serie tv, da «E.R.» a «Gomorra», Rossini definisce con chiarezza i tratti essenziali del genere
Che siate frequentatori assidui o avventori casuali, veterani dalla memoria di ferro o neofiti in balia della corrente, non c’è alcun dubbio: al giorno d’oggi non esiste i ndividuo che possa dirsi del tutto immune dalla dilagante mania delle serie tv. Avvincenti, tanto da compromettere una notte di sonno; articolate, tanto da costringerci a sforzi cognitivi degni di un’interrogazione di trigonometria; disseminate di colpi di scena, ribaltoni, trappole e tranelli, tanto da mettere a serio rischio la salute delle nostre coronarie; ripetitive, i nterminabili, uguali a se stesse, tanto da farci sperare in una rapida e possibilmente dolorosa morte violenta di tutto il cast, unica chance per forre fine all’implacabile strazio.
Le serie TV, recente saggio di Gianluigi Rossini, dottore di ricerca in Generi Letterari presso l’Università dell’Aquila, analizza il fenomeno da un punto di vista storico, disegnando un arco temporale a partire dai primi esperimenti degli anni ’40, fino ai giorni nostri, ma soprattutto narrativo, interrogandosi sui motivi testuali alla base delle diverse scelte di plot, intreccio, ambientazione, con una particolare attenzione al lessico, e all’evoluzione dello stesso.
Non è facile, infatti, orientarsi nella intricata rete semantica che imbriglia le serie tv: sceneggiati, soap opera, co m e d y , d r a - ma, telefilm, fiction descrivono prodotti diversi eppure accumunati dal carattere episodico e dal fatto che «chi ne veda una sola istanza, sia in grado di seguire e comprendere le vicende». Una fruizione, dunque, facilitata, “alleggerita” dai vari orpelli di trama e di visione.
Ma è ancora questa la vocazione delle serie televisive? È su questi dettami che le produzioni degli ultimi decenni strutturano le loro proposte? Ovviamente no, e da molto tempo. Rossini propone una suddivisione in tre macro-aree per illustrare l’evoluzione delle serie tv, dai primi tentativi fino alle derive più recenti: innanzitutto incontriamo “l’età classica”, caratterizzata da centralità, scarsità, domesticità e gratuità del mezzo televisivo. Questa va dall’origine – le prime stazioni televisive negli Stati Uniti aprirono nel luglio del 1941, ma è solo con la fine degli anni ’60 che ebbero una vera diffusione di massa – all’inizio degli anni ’70, e si specializza in «ritrarre le emozioni umane, i dialoghi a due, la quotidianità». Si tratta per lo più di prodotti altamente digeribili, premasticati, perfetti per una fruizione distratta e disimpegnata.
Si passa poi alla “età multicanale”, dagli anni ’70 agli anni ’90, conosciuta come quel momento in cui «la televisione minacciò di diventare adulta», con il fondamentale scarto da una tv generalista, indirizzata a una moltitudine indiscriminata di spettatori, alla tv targettizzata, destinata a pubblici specifici, con programmazioni diversificate.
Complice anche la fioritura dei cosiddetti “television studies”, le pubblicazioni dedicate all’argomento, in questa fase il tubo
catodico si afferma autonomamente, non più come medium residuale nei confronti degli altri prevalenti, ma come strumento dotato di una vera e propria estetica. Non a caso, in questi anni assistiamo all’insorgenza di fenomeni atipici quali il capolavoro di David Lynch e Mark Frost Twin Peaks e, successivamente, esperienze originali quali E.R. Medici in prima linea – fortemente segnata dall’utilizzo quasi maniacale della Steadicam che segue i personaggi nei corridoi fenetici del pronto soccorso, entrando e uscendo dalle sale operatorie, con tanto di schizzi di sangue in primo piano – ma anche prodotti diventati cult quali X Files o Beverly Hills 90210, o ancora in auge quali Una mamma per amica.
Sbarchiamo infine nella “età digitale”, il periodo in cui siamo immersi ancora oggi. Se da un lato, la rivoluzione digitale ha portato alla crescita esponenziale dei canali, gratuiti o a pagamento, dall’altro, la diffusone capillare di internet ha ulteriormente moltiplicato supporti e modalità di fruizione. Dal pun- to di vista dei contenuti, prevale una forte istanza di realismo «contro l’ipocrisia della televisione normale», portata avanti da creativi del settore che ci mettono la firma, attingendo a uno stile e un immaginario del tutto originali. Ai generi tradizionali, dunque, si affiancano altri grandi filoni tematici: il mondo sovrannaturale/fantascientifico; il mistery high concept (erede diretto della fortunata e pioneristica Lost); la soap “liberata” e aggiornata, non più patinata ed eterea, ma graffiante e provocatoria ( Desperate Housewives, Scandal, Empire); le miniserie antologiche ( Fargo, True Detective), i kolossal (su tutti: Games of Thrones) e molte altre.
Dopo un breve, ma puntuale, excursus sul Made in Italy, sulle esperienze di serie televisive nostrane, dai primi sceneggiati a Gomorra, Rossini conclude il suo interessante saggio, ricchissimo di riferimenti, con una sintesi panoramica su tutte le forme della serialità televisiva, con un puntiglio e un’accuratezza lessicale davvero pregevoli, soprattutto perché riferiti a un mare magnum eterogeneo e in continua evoluzione, come è, appunto, la televisione. Che cos’è, dunque, un racconto seriale? Non è semplicemente una storia divisa in parti, bensì «una modalità narrativa specifica che nasce con la modernità, il cui tratto distintivo è la pianificazione della suddivisione in unità discrete da pubblicare in intervalli di tempo successivi e regolari».
Sarebbe bello trovare la stessa chiarezza definitoria per descrivere lo spettatore di oggi – il “drogato” di serie tv – l’aspettativa che anima la fruizione, la rete impalpabile che sorregge e fidelizza il suo sguardo, o che, viceversa, ne sancisce il tradimento.
Certo, possiamo sempre leggere e interpretare i fluttuanti dati degli ascolti (ma è impresa ardua, soprattutto oggi con la proliferazione di canali e device), ma siamo lontani dall’averne inquadrato il profilo, la ragione che sta dietro quel cambio repentino di canale, o quella devozione acritica.
Che possa diventare una nuova, suggestiva, frontiera di indagine?