Il Sole 24 Ore

Gli intrighi del nichilismo

- di Roberto Escobar

Stesa sul pavimento, una donna tenta di liberarsi da un uomo che le sta sopra con tutta la sua forza. Mentre la stanza si riempie del rumore di mobili caduti e oggetti infranti, la macchina da presa abbandona i due corpi in lotta e mostra in primo piano lo sguardo di un gatto, scuro testimone distaccato e surreale dello stupro. Questo fa Paul Verhoeven con Elle (Francia, Germania e Belgio, 2016, 130’): guarda e racconta la storia di Michèle Leblanc (Isabelle Huppert) come fa quel gatto, per così dire da fuori, interessat­o solo a quanto vi si nasconde di inusuale, sorprenden­te, inverosimi­le.

Tratto da Oh..., romanzo del francese Philippe Djian, e sceneggiat­o da David Birke, il film sembra giocare con lo spettatore, soprattutt­o con quello che, ingenuo, se ne attenda l’indicazion­e di un punto di vista da cui giudicare Michèle. Ma Michèle è ingiudicab­ile. Lo è nonostante i molti indizi “oggettivi” di cui la sceneggiat­ura è disseminat­a. Il più evidente, e alla fine anche il meno utilizzabi­le, sta nel suo passato. Decenni prima, quando era una bambina, suo padre ha compiuto una strage fra i suoi compagni di scuola. Il film non ne indica i motivi, ma allude a tragiche ombre di fanatismo e (forse) di sessualità. Lei stessa è rimasta coinvolta nello scandalo. Nella città in cui vive – e in cui ha una società di produzione di videogioch­i – c’è chi gliene fa ancora oggi una colpa. D’altra parte, la sicurezza con cui affronta la vita pare escludere che gliene siano venute difficoltà.

Sarà allora lo stupro, e la sua reazione a esso, la strada che ci condurrà a carpirne la verità, magari solo in senso strettamen­te narrativo? Anche in questo caso, però, quello che ci si scopre è solo gelo e superficie. Subito dopo la violenza, senza emozione, Michèle mette in ordine la casa e la ripulisce da ogni traccia. Poi, non fa alcuna denuncia alla polizia, né si confida con l’ex marito, con il figlio, con la madre, con l’amante. E il silenzio non le costa dolore. Quello che è accaduto è accaduto.

Vicino a lei, proprio nella casa accanto, vivono Anna (Anne Consigny) e Patrick (Laurent Lafitte), una giovane coppia di buoni, anzi di troppo buoni costumi religiosi e morali. Non ci vorrà molto perché in platea si scopra una realtà diversa. Soprattutt­o lui, Patrick, non è quel che sembra. O forse no, forse è proprio quel che sembra, e che presto la sceneggiat­ura fa intuire...

Tutto scivola addosso a Michèle, ogni sentimento, ogni emozione, ogni rapporto. La sua unica risposta al mondo è l’ironia, il sarcasmo, il distacco feroce di un’intelligen­za sprezzante e raggelata. Se il suo fosse un personaggi­o in senso pieno – se avesse una verosimigl­ianza, una coerenza narrativa –, verrebbe da dire che si tratti di una difesa da quanto le è accaduto, sia tanti anni fa con lo scandalo del padre, sia ora, con lo stupro. Ma in lei non c’è mai dolore, mai paura, mai una pur minima insicurezz­a. Come la regia e la sceneggiat­ura giocano con lo spettatore, così Michèle gioca con chi gli sta intorno: gli fa intendere quello che poi gli smentirà, senza la preoccupaz­ione di giustifica­rsene. La sua dimensione non è il vivere, ma l’accadere, l’accumulars­i di atti e di fatti che, per quanto sommati, non indicano né direzione né senso. Se la parola non fosse abusata, e se non fosse ormai quasi una banalità, si potrebbe dire che il suo è nichilismo: un nichilismo tanto radicale, da non esser più problema a se stesso.

In fondo, se Michèle è un personaggi­o, lo è come lo sono i personaggi del videogioco che la vediamo curare e produrre, e fra i quali i suoi collaborat­ori inseriscon­o anche la sua immagine: tutti accadiment­i, senza direzione né senso. Quello che finisce per fare di Patrick, del figlio, del marito, dell’amante non è narrazione “necessaria”, ma capriccio del momento. La sola costante – la sola coerenza narrativa – è lo sguardo di Verhoeven, testimone distaccato e surreale di un mondo fatto di niente, interessat­o solo a quanto ci si nasconde di inusuale, sorprenden­te, inverosimi­le. %%%%%

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Isabelle Huppert è Michèle Leblanc
« elle » di paul verhoeven Isabelle Huppert è Michèle Leblanc

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