Credito, garanzia anche per i fondi
Nella manovrina potenziamento del «direct lending» sui finanziamenti alternativi alle banche
C ome un filo che si allunga tra una manovra e l’altra e tra i vari decreti per la crescita, torna in campo il piano per liberare le imprese dalla morsa del bancocentrismo. Proprio allo sviluppo dei canali di credito alternativi, che il governo ha battezzato “Finanza per la crescita”, punteranno alcune norme della manovrina in arrivo dopo l’approvazione del Def.
Misure di manutenzione, di affinamento regolamentare le descrivono i tecnici impegnati sul dossier. Ma forse significative abbastanza per sbloccare alcune i niziative di grande potenzialità ma ancora non decollate. È il caso del «direct lending», il finanziamento diretto alle imprese (è escluso il credito al consumo) da parte di fondi di credito, assicurazioni, società di cartolarizzazione. Una delle i potesi allo studio è l’estensione dell’istituto della garanzia statale anche alle operazioni di finanziamento effettuate da soggetti diversi dalle banche (sulla carta il Fondo centrale potrebbe essere uno dei veicoli utili).
Secondo stime Deloitte i dieci principali operatori europei del direct lending hanno mobilitato nel 2015 circa 13 miliardi, una cifra nel complesso ancora contenuta ma data in rapida crescita. Ma l’interesse del governo verso questi nuovi soggetti si può legare anche al ruolo che - ol- tre che nei prestiti diretti alle piccole imprese - potrebbero svolgere nello smaltimento degli Npl bancari (Non performing loans).
Per il pieno sviluppo di questo particolare mercato come detto c’è però bisogno di alcuni chiarimenti normativi/regolamentari sulla garanzia e su altri aspetti. I due decreti che hanno normato la materia (il 91/2014 e il 18/2016), quest’ultimo intervenendo in particolare sui Fondi di investimento alternativi, sembrano richiedere una manutenzione, anche per un allineamento sempre più completo con il Tub (Testo unico bancario).
La manovrina, «che presenteremo entro metà aprile» ha detto ieri il premier Paolo Gentiloni, alla voce crescita dovrebbe contenere anche una norma “acchiappa fondi” che guarda con particolare attenzione al private equity e al potenziale di investimenti finanziari che l’ondata Brexit può convogliare in Paesi diversi dal Regno Unito, tra cui l’Italia si candida in prima fila. La misura i n questione i nterverrebbe sul “carried interest”, cioè la remunerazione del management di una Sgr che investe esso stesso almeno l’1%: i proventi verrebbero tassati come capital gain al 26% e non come reddito da lavoro al 43%.
Il focus sull’attrazione di investimenti potenzialmente in fuga da Londra è sempre più evidente come ha dimostrato mercoledì scorso la missione londinese del ministro dell’Economia Padoan. Sotto questo aspetto da parte dei tecnici del ministero c’è grande fiducia nelle tre norme già varate per attrarre il capitale umano e anche su questo fronte potrebbe arrivare un intervento gene- rale di chiarimento, probabilmente in questo caso nella forma di una circolare che nell’arco di un paio di settimane sarà firmata dall’Agenzia delle entrate. Tre le categorie interessate. Per professori e ricercatori che vengono in Italia, sia europei sia italiani di ritorno, la tassazione sui redditi si ferma al 10%. Un’ulteriore norma riguarda il middle management e il personale altamente qualificato, come tecnici It o personale paralegal: l’esenzione arriva in questo caso al 50%.
Infine l’imposta sostitutiva di 100mila euro annui che consente alla fascia più alta, ad esempio il senior management di fondi o grandi banche d’affari e studi di consulenza, di trasferire la propria residenza in Italia senza vedersi tassare i redditi prodotti all’estero .
LE MISURE ALLO STUDIO Tra i canali non bancari anche assicurazioni e società di cartolarizzazione. In chiave «post Brexit» incentivo fiscale per i manager delle Sgr