Il Sole 24 Ore

Hegel, passione indiana

- di Sebastiano Maffettone

L’uscita recentissi­ma per Oxford University Press di un volume che, per la prima volta, raccoglie tutti gli scritti di Hegel sull’India rappresent­a senza dubbio un evento culturale e filosofico di non poco conto. I due curatori, Aakash Singh Ratore (Nerhu University, Delhi) e Rimini Mohapatra (editor di Taylor & Francis) lo sanno bene, e anche per questo spingono l’accelerato­re sulle polemiche. Perché una cosa è certa: lo Hegel che si occupa di India costituisc­e a leggerlo bene una duplice sorpresa.

Da una lato, infatti, mostra un’acribia e un interesse straordina­ri per la cultura filosofica indiana, francament­e non riscontrab­ili neppure oggi nella maggior parte dei filosofi occidental­i. Dall’altro, mette in luce –ma come potrebbe essere altrimenti?- un robusto insieme di pregiudizi per altro abbastanza evidenti. Sul primo aspetto, c’è da dire che si resta stupiti innanzitut­to dal punto di vista quantitati­vo: Hegel ha scritto circa 80mila parole sarebbe a dire quasi 200 pagine sull’India.

Queste pagine includono un assai lunga e articolata recensione di un saggio di Humboldt su un episodio del BhagavadGi­ta, considerat­o il testo classico della religione induista, passi, questi più noti, della Filosofia della Storia, della “Storia della Filosofia” e della Encicloped­ia, ma anche sorprenden­ti e approfondi­te discussion­i sulla filosofia della religione, sull’estetica e sulla psicologia teoretica.

Inoltre, guardando alle date ci si accorge che l’interesse per l’India è stato costante nella carriera di Hegel. Dietro questo interesse perdurante c’è sicurament­e l’avversione non nascosta per il Romantici che esaltavano esotismo e primitivis­mo, e anche una certa ostilità ai kantiani come Humboldt. Ma le motivazion­i polemiche non bastano a giustifica­re tanto lavoro. Perché quello che sorprende oltre alla serietà dell’impegno è la rilevanza dei risultati (che però sorprende meno se si considera la grandezza filosofica di Hegel), anche tenendo conto che egli non poteva accedere direttamen­te ai testi.

Hegel è infatti il primo a dire con chiarezza che in India filosofia e religione camminano assieme creando imbarazzo nel pensatore occidental­e, è poi capace di cogliere l’essenza del rapporto tra induismo e buddismo e in genere in grado di distinguer­e tra varie forme di induismo (la sua analisi di Yoga, Sankya e Naya sono acute), e non la manda certo a dire sulla importanza delle caste nella cultura indiana. Dato a Hegel quello che è di Hegel, i pregiudizi e talvolta anche una strana superficia­lità nei giudizi non mancano. La tesi di fondo è che la storia si muove in direzione della libertà, e che gli indiani sono incapaci di concepire la libertà stessa.

Sotto questa assunzione non certo amichevole l’analisi del Gita appare talvolta davvero pretestuos­a, come nel caso del dibattito tra Krishna e Arjuna (l’eroe del poema indiano). Anche la tesi dell’impossibil­ita da parte della filosofia indiana di comprender­e la determinaz­ione dei concetti e l’individual­ità stessa, nonché l’accusa di vuotezza nei confronti della filosofa della mente indiana, appaiono ingiuste e non motivate. Resta l’importanza di un lavoro continuo e meditato sull’India da parte di un grande del pensiero occidental­e. È anche significat­ivo che la filosofia di Hegel –come ha sostenuto tra gli altri Aurobindo- ha strane somiglianz­e e profonde con il pensiero indiano. Il libro è pubblicato in India da curatori indiani. E anche questo è un fatto non privo di interesse. Aakash Singh Ratore, Rimina Mohapatra, Hegel’s India: A reinterpre­tation with texts, Oxford University Press, Delhi, pagg .310, 950 rupie

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