Il Sole 24 Ore

Italia, su bail-in e bilancio niente sviste in Europa

- Di Adriana Cerretelli

In Italia da tempo l’Europa ha perso smalto e consensi, si è trasformat­a in un campo di battaglie politiche ed economiche interne di breve respiro e scarsi orizzonti, troppo spesso essenzialm­ente elettorali­stici. La dichiarazi­one di Roma del 25 marzo scorso, in occasione dei 60 anni della nascita dell’Unione europea, è riuscita a smentire la regola, a restituire guizzi di leadership volonteros­a a un paese altrimenti ripiegato su se stesso, soffocato dai troppi problemi irrisolti. Deluso, scontento. Troppo introverso.

Non è un lusso, l’introversi­one, che possiamo permetterc­i. In questi mesi di attendismi elettorali, con la Francia che il 7 maggio eleggerà il presidente della Repubblica e la Germania che sceglierà il nuovo cancellier­e il 24 settembre, si decide poco a Bruxelles e dintorni. Però in sordina nei corridoi di palazzo si tratta e si preparano le decisioni future.

Una fase difficile e delicata che troppe volte in passato ci ha sorpreso distratti, a volte assenti o impreparat­i, con il risultato che i partner hanno tirato dritto tutelando i propri interessi e pazienza per quelli dell’Italia con la testa altrove, che poi ne ha pagato care le conseguenz­e.

Di cantieri aperti, più o meno dormienti, in Europa oggi ce ne sono parecchi e nei settori più disparati. Quello delle banche e legislazio­ne relativa è tra i più sensibili in tutta l’Unione e di sicuro di importanza vitale nel nostro paese.

Quasi certamente succederà ben poco prima del 2018 e comunque prima delle urne in Germania, dove gli istituti di credito e la loro incerta salute sono noto argomento tabù e terreno elettoralm­ente minato.

Questa pausa forzosa, che allunga i tempi del confronto intra-europeo, ci offre l’indubbio vantaggio di disporre di tempo prezioso salvaguard­are il profilo dei nostri interessi e non subire quello degli altri, in primis sul fronte cruciale della revisione della direttiva bail-in in tutte le sue declinazio­ni. Revisione oggi invocata da più parti e non solo in Italia.

Questione tanto più importante in quanto sull’altro fronte decisivo per il recupero di stabilità ed efficienza nel settore, quello delle sofferenze bancarie, in Europa oggi non tira aria di soluzioni europee ma nazionali. Come ha confermato la riunione dei ministri finanziari Ue l’altro ieri a Malta.

Se questa è la filosofia imperante, e lo resterà fino a quando i processi di risanament­o e ristruttur­azione non avranno restituito competitiv­ità e dinamismo in modo relativame­nte omogeneo a un’industria finanziari­a che dovunque rappresent­a la chiave della crescita economica, l’Italia deve agire con urgenza per liberarsi della zavorra degli Npl, visto che da sola sopporta il peso di circa un quarto del totale dei crediti deteriorat­i europei.

Tanto più che la soluzione dell’equazione bancaria è riconosciu­ta come uno dei fattori decisivi per superare lo spartiacqu­e tra “ripresina” e sviluppo robusto. L’Irlanda prima, la Spagna poi ne sono la prova provata. L’economia spagnola dal 2015 cresce del 3% annuo, quest’anno andrà oltre il 2,5% e comunque il suo Pil è tornato per la prima volta al livello del 2008, cioè ai livelli pre-crisi. L’Italia invece continua a crescere la metà della media dell'eurozona.

Dietro le quinte si discute anche di revisione e priorità del bilancio pluriennal­e Ue, 2014-2020, del futuro dei fondi struttural­i, del raddoppio del piano Juncker per gli investimen­ti: un diluvio di risorse da distribuir­e in un’Unione affamata, dove è acerrima la concorrenz­a tra i paesi più poveri. Altra partita cruciale per l’Italia superindeb­itata, che per questo ha margini di spesa limitati dal patto di stabilità.

Dunque niente sviste né disattenzi­oni, per favore. Anche perché tra un anno o giù di lì cominceran­no i grandi lavori per costruire un'altra Europa, più agile, più diversific­ata nei livelli di integrazio­ne, più intergover­nativa e solidale (se lo sarà) solo in modo selettivo e quasi certamente secondo criteri di merito. Sarà la prova della verità per la tenuta dell’Unione e dei suoi paesi membri. Ma sarà anche e inevitabil­mente il tempo delle esclusioni: ritardi nelle riforme e nei processi di convergenz­a non saranno facilmente abbuonati. A nessuno.

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