Italia, su bail-in e bilancio niente sviste in Europa
In Italia da tempo l’Europa ha perso smalto e consensi, si è trasformata in un campo di battaglie politiche ed economiche interne di breve respiro e scarsi orizzonti, troppo spesso essenzialmente elettoralistici. La dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso, in occasione dei 60 anni della nascita dell’Unione europea, è riuscita a smentire la regola, a restituire guizzi di leadership volonterosa a un paese altrimenti ripiegato su se stesso, soffocato dai troppi problemi irrisolti. Deluso, scontento. Troppo introverso.
Non è un lusso, l’introversione, che possiamo permetterci. In questi mesi di attendismi elettorali, con la Francia che il 7 maggio eleggerà il presidente della Repubblica e la Germania che sceglierà il nuovo cancelliere il 24 settembre, si decide poco a Bruxelles e dintorni. Però in sordina nei corridoi di palazzo si tratta e si preparano le decisioni future.
Una fase difficile e delicata che troppe volte in passato ci ha sorpreso distratti, a volte assenti o impreparati, con il risultato che i partner hanno tirato dritto tutelando i propri interessi e pazienza per quelli dell’Italia con la testa altrove, che poi ne ha pagato care le conseguenze.
Di cantieri aperti, più o meno dormienti, in Europa oggi ce ne sono parecchi e nei settori più disparati. Quello delle banche e legislazione relativa è tra i più sensibili in tutta l’Unione e di sicuro di importanza vitale nel nostro paese.
Quasi certamente succederà ben poco prima del 2018 e comunque prima delle urne in Germania, dove gli istituti di credito e la loro incerta salute sono noto argomento tabù e terreno elettoralmente minato.
Questa pausa forzosa, che allunga i tempi del confronto intra-europeo, ci offre l’indubbio vantaggio di disporre di tempo prezioso salvaguardare il profilo dei nostri interessi e non subire quello degli altri, in primis sul fronte cruciale della revisione della direttiva bail-in in tutte le sue declinazioni. Revisione oggi invocata da più parti e non solo in Italia.
Questione tanto più importante in quanto sull’altro fronte decisivo per il recupero di stabilità ed efficienza nel settore, quello delle sofferenze bancarie, in Europa oggi non tira aria di soluzioni europee ma nazionali. Come ha confermato la riunione dei ministri finanziari Ue l’altro ieri a Malta.
Se questa è la filosofia imperante, e lo resterà fino a quando i processi di risanamento e ristrutturazione non avranno restituito competitività e dinamismo in modo relativamente omogeneo a un’industria finanziaria che dovunque rappresenta la chiave della crescita economica, l’Italia deve agire con urgenza per liberarsi della zavorra degli Npl, visto che da sola sopporta il peso di circa un quarto del totale dei crediti deteriorati europei.
Tanto più che la soluzione dell’equazione bancaria è riconosciuta come uno dei fattori decisivi per superare lo spartiacque tra “ripresina” e sviluppo robusto. L’Irlanda prima, la Spagna poi ne sono la prova provata. L’economia spagnola dal 2015 cresce del 3% annuo, quest’anno andrà oltre il 2,5% e comunque il suo Pil è tornato per la prima volta al livello del 2008, cioè ai livelli pre-crisi. L’Italia invece continua a crescere la metà della media dell'eurozona.
Dietro le quinte si discute anche di revisione e priorità del bilancio pluriennale Ue, 2014-2020, del futuro dei fondi strutturali, del raddoppio del piano Juncker per gli investimenti: un diluvio di risorse da distribuire in un’Unione affamata, dove è acerrima la concorrenza tra i paesi più poveri. Altra partita cruciale per l’Italia superindebitata, che per questo ha margini di spesa limitati dal patto di stabilità.
Dunque niente sviste né disattenzioni, per favore. Anche perché tra un anno o giù di lì cominceranno i grandi lavori per costruire un'altra Europa, più agile, più diversificata nei livelli di integrazione, più intergovernativa e solidale (se lo sarà) solo in modo selettivo e quasi certamente secondo criteri di merito. Sarà la prova della verità per la tenuta dell’Unione e dei suoi paesi membri. Ma sarà anche e inevitabilmente il tempo delle esclusioni: ritardi nelle riforme e nei processi di convergenza non saranno facilmente abbuonati. A nessuno.