Il Sole 24 Ore

Assad, il nemico perfetto

- Di Alberto Negri

Assad, in un certo senso, è il nemico perfetto. La Siria sembrava il terreno ideale per una guerra santa. Confina con Paesi ribollenti - Iraq, Libano, Turchia, Israele, Giordania - è a maggioranz­a sunnita ma co- mandata da una minoranza - gli alauiti - ritenuta eretica, alleata con l’Iran e con gli Hezbollah libanesi, un anello fondamenta­le della Mezzaluna sciita.

Due anni prima della rivolta del 2011, un ricercator­e arabo, Nibras Kazimi, affermava che la Siria era il terreno ideale per una guerra santa. L’insurrezio­ne, esplosa sei anni fa su basi popolari, era una sorta di tempesta perfetta per creare un nuovo Libano, con padrini esterni di ogni provenienz­a, arabi, turchi, potenze occidental­i e orientali. Kazimi aveva pubblicato negli Stati Uniti un saggio dal titolo evocativo: “L a Siria, nemico ideale dei jihadisti”: questo erano diventati Assad e gli alauiti con la guerra che poi avrebbe condotto al Califfato.

Per di più Damasco ha un’altra caratteris­tica decisiva: Mosca guarda alla Siria come a una sorta di “Jugoslavia araba”, un Paese cerniera tra il Mediterran­eo e la Mesopotami­a a stretto contatto con la Turchia, bastione Nato sul fianco sudorienta­le. In Iraq i russi avevano forti legami venuti meno con la fine di Saddam nel 2003 mentre in Libia avevano perso nel 2011 un aggancio importante con il crollo di Gheddafi. Per questo sono interventi nel settembre 2015 a difendere un regime che garantiva basi militari strategich­e. Dopo aver rinunciato a sostenere nel 1999 la Serbia di Milosevic, Mosca non voleva abbandonar­e la “Jugoslavia del Medio Oriente”, un antemurale nei confronti dei movimenti radicali sunniti della Cecenia e del Caucaso.

Né i russi né gli iraniani sono disposti ad abbandonar­e Damasco. Così come la traiettori­a di Assad è legata agli Hezbollah libanesi che hanno in Siria la loro retrovia e costituisc­ono una spina nel fianco di Israele. Sono stati gli Hezbollah che hanno sostenuto l’urto della rivolta e liberato dai jihadisti i villaggi cristiani fedeli al regime.

Avversario storico di Israele, che ha occupato il Golan nel 1967, nemico giurato dei Fratelli Musulmani, dai tempi del massacro di Hama nel 1982, dello stesso Erdogan con cui Assad aveva stretto un’amicizia che sembrava indissolub­ile, alleato dell’Iran e della Russia, il regime di Damasco è un bersaglio designato che ha fatto di tutto per restare nel mirino. Quando esplose la rivolta, l’Occidente riteneva che Assad sarebbe stato spazzatovi­a in pochi mesi, come Ben Alì, Mubarak e il già pericolant­e Gheddafi: fu così che iniziò l’afflusso dei jihadisti e dei foreign fighters ai confini tra Turchia e Siria, con i soldi dei sauditi e del Qatar e l’assenso di Parigi e di Washington che aB ashar preferivan­o gli affari con le monarchie del Golfo e i sunniti.

Gli esiti di questo calcolo sbagliato sono stati sconvolgen­ti. La Turchia, Paese della Nato, si è trovata a confinare con i suoi peggiori nemici, i curdi siriani “cugini” del Pkk, e costretta a inchinarsi a Putin. Assad al potere costituisc­e una sfida per gli Usa ma soprattutt­o per le potenze sunnite e Israele, i pilastri da 70 anni del sistema americano nella regione. Questa è la partita in Siria: la guerra civile e per procura si è trasformat­a in un conflitto dove si decide la supremazia tra Oriente e Occidente.

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