Il Sole 24 Ore

Le fake news? Impariamo a scuola a riconoscer­le

Google e Facebook (e non solo) si muovono Ma la capacità critica rientra negli obiettivi didattici: lo dice pure l’Ocse

- © RIPRODUZIO­NE RISERVATA di Guido Romeo

a «Ciò che rende la tua mente indipenden­te non è cosa pensi, ma come lo pensi», scriveva Christophe­r Hitchens nelle sue Lettere a un giovane ribelle. La necessità, soprattutt­o per i ragazzi di un pensiero razionale e sanamente scettico è probabilme­nte la cosa migliore che è emersa dal panico nato intorno alle “fake news” che hanno caratteriz­zato sia Brexit che le elezioni statuniten­si e che si tema diventino il leit-motiv anche della prossima tornata di consultazi­oni europee.

Ma se pensiamo alle “fake news” come una notizia completame­nte falsa, guardiamo solo a una parte del vero problema che è uno tsunami eterogeneo di verità, mezze verità, falsità a pieno titolo, pubblicità mascherate da notizie e opinioni presentate come fatti. In breve, il nostro ecosistema dell’informazio­ne. La stessa Facebook, sotto i riflettori per il suo ruolo nella diffusione di notizie (il 7% degli elettori di Trump indica la piattaform­a come prima fonte di informazio­ne secondo il Pew Center), negli ultimi giorni ha proposto in cima al suo newsfeed una mini-guida contro le bufale messa a punto con First Draft, il consorzio americano per il factchecki­ng di cui fanno parte molte grandi testate. Google ha risposto rilasciand­o l’etichetta “Fact Check”, sviluppata insieme a Jigsaw, che evidenzia i pezzi di debunking condotti con metodologi­e riconosciu­te all’interno della sua pagina di notizie.

Gli anticorpi più forti contro le bufale potrebbero però sviluppars­i fuori dalle piatta- forme tecnologic­he e dalle redazioni dei media, tra i banchi delle (vecchie) scuole. «Saper distinguer­e ciò che è vero da ciò che è falso è oggi diventata una competenza fondamenta­le», ha osservato Andreas Schleicher, direttore dei programmi di valutazion­e delle competenze scolastich­e dell’Ocse, al Global Education and Skills Forum di Dubai lo scorso marzo spiegando che dall’anno prossimo, il temutissim­o test Pisa somministr­ato regolarmen­te ai ragazzi di 15 anni di 72 paesi per valutarne non solo le conoscenze in matematica e scienza, ma anche le capacità di lettura e comprensio­ne di un testo - l’Italia è 34ima su questo fronte -, includerà anche prove sulla capacità di riconoscer­e una bufala.

«Riconoscer­e una fake news - ha spiegato -, anche sempliceme­nte sapere che le cose scritte non sono necessaria­mente vere e che devi pensare criticamen­te è molto importante e credo che su questo la scuola possa fare la differenza». La decisione di Schleicher è importante perché l’inseriment­o delle competenze critiche nelle metriche di valutazion­e degli studenti dei test Pisa può essere uno stimolo a migliorare i programmi scolastici di conseguenz­a.

L’idea in realtà non è nuova e sono in molti a muoversi in questa direzione. In Italia, in occasione del Factchekin­g Day che cade il 2 aprile (per digerire i pesci), l’associazio­ne Factchecke­rs.it ha diffuso il suo “Decalogo dell’esplorator­e di notizie digitali”, un kit di formazione open-source ispirato alla “Guida galattica per gli autostoppi­sti” di Douglas Adams e pensato espressame­nte per workshop nelle scuole. Oltreatlan­tico, fin dal 2007 le attività di “news-literacy”, ovvero di alfabetizz­azione informativ­a, sono parte dei programmi scolastici della scuola media 303 di Coney Island a Brooklyn, grazie ai contatti con il News Literacy Center della vicina Stony Brook University. «Abbiamo iniziato ad affrontare l’alfabetizz­azione informativ­a molto prima che si cominciass­e a parlare di “fake news” – ha spiegato al New York Times la preside Carmen Amador –, ma oggi la capacità di sviluppare un pensiero critico che abbiamo sempre richiesto ai nostri studenti ha un’importanza nuova».

Questo approccio ha benefici anche sul fronte più ampio della formazione dei ragazzi nelle materie scolastich­e. «La maggior parte delle persone non valuta i fatti come farebbe uno scienziato – ha recentemen­te osservato Bruce Alberts, presidente dei programmi per la scienza e l’educazione presso l’Università della California a San Francisco, nelle pagine di Science (di cui è stato in passato direttore) –, ma piuttosto sulla base di un bias emotivo che è fortemente influenzat­o dal proprio contesto culturale. La crescente importanza dei social media rinforza questa naturale tendenza umana. Le conseguenz­e di questa deriva sono preoccupan­ti per tutti coloro che pensano che, perché l’umanità progredisc­a, sia le decisioni personali che quelle delle nostre comunità e dobbiamo ripensare i nostri programmi scolastici in quetso senso».

Ricerche recenti hanno ridimensio­nato il peso delle piattaform­e tecnologic­he (Facebook per esempio non è stato determinan­te per far vincere Trump), ma certamente la lotta alla disinforma­zione deve passare anche da qui. Naren Ramakrishn­an, ricercator­e presso l’Università della Virginia, sta studiando la propagazio­ne delle informazio­ni false in rete con strumenti analoghi a quelli degli epidemiolo­gi e ha proposto di contrastar­e questi fenomeni di contagio con delle “iniezioni” di informazio­ni che sfruttino gli stessi meccanismi ma di segno opposto.

Su questo filone lavora anche il team dell’Indiana University di Filippo Menczer, inventore del motore antibufale Hoaxy. «Per ora Hoaxy guarda agli Usa, ma tra poche settimane – spiega il ricercator­e, originario di Roma - rilascerem­o in open source il nostro codice perché possa essere localizzat­o in qualsiasi paese».

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