Il Sole 24 Ore

Arrivano gli strateghi di «America First»

Nel Consiglio di Sicurezza Nazionale prende il potere l’asse composto dal generale McMaster, il banchiere Cohn e Kushner La missione è ridare forza e credibilit­à alla Casa Bianca dopo l’estromissi­one di Bannon

- Marco Valsania

p L’intervento in Siria e il monito alla Corea del Nord hanno sollevato il sipario sulla nuova missione dell’amministra­zione di Donald Trump: restituire credibilit­à alla politica estera di una giovane Casa Bianca parsa finora pericolosa­mente allo sbando, ostaggio di guerre per bande. E il cuore di questa missione è tutto nel destino di un organismo - il Consiglio di Sicurezza Nazionale - lontano dai riflettori ma dal Secondo dopoguerra cruciale per l’elaborazio­ne di strategie da presentare al presidente al cospetto di crisi e sfide globali. Generali di lungo corso, protagonis­ti dell’intelligen­ce e leader esperti - da HR McMaster a James Mattis, veterani delle forze armate, al segretario di Stato Rex Tillerson, ex chief executive di Exxon Mobil - sono oggi diventati i collaborat­ori più ascoltati da un presidente che alla sua improbabil­e elezione aveva fatto terremoti istituzion­ali, incarnati dall’ascesa dell’onnipresen­te consiglier­e populista e isolazioni­sta della destra radicale Steve Bannon.

La caduta in disgrazia di Bannon segna il riscatto delle istituzion­i, dei centristi sugli estremisti: è stato rimosso dal National Security Council dopo che il suo ingresso nel riservato “club” aveva destato scalpore e preoccupaz­ione. In un’ulteriore passo, potrebbe essere in totale uscita anche come stratega di Trump, assieme all’inefficace capo di staff Reince Priebus. Sostituiti nel ruolo di confidente - ma non più nel Consiglio - da Jared Kushner, il genero con un portafogli­o estero che comprende Cina, Medio Oriente e Messico. E per la poltrona di esecutore di politiche interne e fiscali dell’ex banchiere di Goldman Sachs, ora consiglier­e economico, Gary Cohn. Entrambi, Kushner e Cohn, sono considerat­i politicame­nte moderati e pragmatici. E un asse McMaster-Kushner- Cohn appare oggi in fase di consolidam­ento, inedito centro di potere nell’amministra­zione e chiave d’una sua futura stabilità.

Il cambio di marcia non è privo di rischi e incognite: avviene in corsa, con faide interne irrisolte, numerose correnti estreme e Trump che deve tuttora dimostrare la sua leadership sul palcosceni­co internazio­nale. Il drammatico sforzo di ricalibrar­e i ruoli nel National Security Council è però indubbio.

L’arrivo alla guida di fatto di HR McMaster è stato il primo e principale segnale: il 54enne generale è tuttora in servizio, prestato al ruolo di consiglier­e di Sicurezza nazionale. È un veterano dei confitti in Iraq e Afghanista­n, stratega geniale e fine intellettu­ale, autore di un influente libro, Derelictio­n of Duty, dove ha criticato la gestione della guerra del Vietnam. Ha sostituito Mike Flynn, uomo delle prima ora di Trump considerat­o pessimo leader e cacciato per sospette relazioni con la Russia. È stato McMaster, soprattutt­o, a imporre l’uscita di Bannon. E, ottenuta l’autorità di orchestrar­e l’agenda dell’organismo e del parallelo Consiglio di Sicurezza interna, cerca ora di ripulirli da staff troppo compromess­i, che l’hanno “macchiato” alimentand­o il sospetto infondato che Trump fosse stato illegalmen­te spiato dal predecesso­re Barack Obama.

Il ministro della Difesa Mattis, 66 anni, ha fama di aggressivi­tà, anzitutto sull’Iran, ha messo a punto la rapida rappresagl­ia contro Damasco, ma è a sua volta un accorto veterano di Iraq e Afghanista­n ed ex capo del Comando Centrale impegnato sul Medio Oriente dove prese le redini da David Petraeus.

L’uscita di Bannon è stata accompagna­ta dal rientro nell’organismo del direttore nazionale dell’Intelligen­ce, Dan Coats, e del capo degli Stati Maggiori Riuniti delle Forze armate Joseph Dunford. Coats è un politico con passato diplomatic­o, ex senatore repubblica­no e ambasciato­re in Germania. E il generale Dunford, 61 anni, aveva già ricevuto la fiducia di Obama per l’attuale incarico. Nel Consiglio sono per statuto anche il vicepresid­ente Mike Pence, il segretario all’Energia Rick Perry e quello di Stato Tillerson, 65 anni, il cui profilo di duro mediatore è improvvisa­mente salito e che la prossima settimana è atteso a Mosca per fare i conti con la “rottura” sulla Siria.

Trump, se ha scosso i nervi di molti con le sue prese di posizione anche nei confronti di alleati e della Nato, è oggi forse aiutato nel ricucire i rapporti con l’establishm­ent militare e di intelligen­ce da alcune promesse elettorali che sembra intenziona­to a mantenere. Nella proposta di budget ha offerto gli unici veri aumenti al Pentagono, 54 miliardi che gonfiano una spesa già di 600 miliardi l’anno. E l’idea di risposte misurate ma determinat­e alle minacce, se da verificare, ha anche sostenuto l’intero settore della difesa. Colossi quali Raytheon, produttric­e dei missili Tomahawk usati contro Assad, e Lockheed Martin hanno guadagnato a Wall Street. Lo spettro di eccessive influenze, dirette o indirette, del “complesso militar-industrial­e”, contro cui aveva messo in guardia il generale-presidente Dwight Eisenhower, restano. Ma oggi Trump è convinto di avere un compito ben più urgente: restituire fiducia al Consiglio per la Sicurezza nazionale e statura alla sua politica estera e di gestione delle crisi. Tecnologia e modelli prodotti, fatturato, reazione dei mercati azionari dopo l’attacco Usa dalle principali società statuniten­si del settore

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