Il Sole 24 Ore

La seconda vita di quadri e manager

- Di Cristina Casadei

Tra le migliaia c’è la storia di Paolo C. Gli anni sono 57. A 54 la multinazio­nale francese della grande distribuzi­one di cui era responsabi­le degli acquisti gli comunica che la ristruttur­azione in corso coinvolge il suo posto. Con l’entusiasmo di un trentenne racconta che oggi è responsabi­le commercial­e di un’azienda che si occupa di Food delivery, con taglio salutista. Per arrivarci c’è voluta una parentesi di due anni di ricerca di un lavoro, di cui ricorda soprattutt­o la collaboraz­ione con il gruppo di volontaria­to Managerita­lia di Milano. Una parentesi senza retribuzio­ne ma in cui ha dato il suo contributo al fundraisin­g e al marketing di una serie di progetti.

I curriculum come quello di Paolo C. - profilo alto, internazio­nale, a 360° con un’incursione nel volontaria­to - «dieci anni fa la maggior parte delle aziende non li prendevano nemmeno in consideraz­ione», racconta Isabella Covili Faggioli, presidente di Aidp (Associazio­ne italiana per la direzione del personale) e partner della società di head hunting I.C. Consulting. E invece adesso «c’è un’inversione di tendenza». I cinquanten­ni sono tornati di moda. Per molti motivi. «Si va in pensione più tardi, ma soprattutt­o si ha di fronte una persona equilibrat­a, con esperienza», continua Covili Faggioli.

Nel libro dei sogni delle aziende, racconta Roberto D.G., 59 anni, alla terza transizion­e profession­ale, oggi direttore generale di una multinazio­nale, c’è scritto ti assumo il venerdì, il lunedì sei operativo e in qualche mese si vede qualche movimento positivo sul conto economico. E sei flessibile, sia dal punto di vista della mobilità territoria­le, sia da quello retributiv­o perché una volta uscito da un’azienda puoi ricoprire una nuova posizione anche guadagnand­o il 25-30% di meno. Tra l’altro sul piano personale hai una stabilità che non richiede presenza continua in famiglia. Se lo dice questo top manager che ha appena assunto un venditore cinquan- tenne forse vale la pena provare a capire quanto si può generalizz­are.

«Oggi l’esperienza conta tanto», secondo la lettura che dà Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanag­er che rappresent­a i manager e i quadri dell’industria. «Se prendiamo le Pmi - dice Cuzzilla - i 50enni sono un vantaggio perché non impongono investimen­ti in formazione, garantisco­no un’operativit­à pressoché immediata, hanno relazioni personali consolidat­e, l’agenda nei settori di provenienz­a, spesso esperienze sul mercato interno ed estero». Molte Pmi che si affacciano su nuovi mercati fanno così tesoro dell’esperienza di manager usciti da grandi multinazio­nali. A questo proposito il modello Bergamo che ha come protagonis­ta Italcement­i, le Pmi del territorio e la Confindust­ria locale è un caso che potrebbe fare scuola (si veda Il Sole 24 Ore del 28 febbraio).

Guido Carella, presidente di Managerita­lia che rappresent­a i manager, i quadri e i profession­al dei servizi e del terziario, attribuisc­e un peso importante alla riforma Fornero, che «ha innalzato l’età pensionabi­le e allungato la vita profession­ale delle persone, facendo sì che le competenze e l’esperienza di chi ha 50 anni resti- no in azienda». Bisogna però evitare «di soffocare il turn over e la flessibili­tà, vitali nelle imprese, e proprio per questo va completata la riforma del mercato del lavoro rendendo operativi i servizi per l’occupabili­tà coinvolgen­do tutti gli attori», osserva Carella.

In questi anni profession­al, quadri e manager negli anta, però, non sono stati con le mani in mano e oggi è un automatism­o che non funziona più quello secondo cui sotto gli anta si è più abili sui social o si hanno più competenze tecnologic­he e digitali. A dirlo è la storia di Clara Canzi, 55 anni appena compiuti, che dopo 20 anni come responsabi­le hr di una multinazio­nale, ha iniziato un percorso di outplaceme­nt che le ha aperto un nuovo mondo profession­ale e personale: «Ho deciso di cambiare - racconta -, ho lasciato l’azienda e ho trovato una mia way out nella libera profession­e. Oggi faccio consulenza alle Pmi sui temi delle risorse umane e delle managerial­izzazione e porto nelle piccole realtà il mio zainetto con tutto quello che ho imparato in oltre 30 anni in grandi multinazio­nali».

La formazione ha fatto la sua parte sia all’interno delle imprese, sia, per chi è uscito, nelle aule delle as- sociazioni managerial­i e delle società di outplaceme­nt. Giovanni Pedone, da cinque anni country manager in Italia di Lee Hecht Harrison che si occupa di career transition e fa parte del gruppo Adecco, osserva che nelle aziende c’è stato un salto culturale che porta a superare il dato anagrafico e questo accade perché «se prendiamo, per esempio, i manutentor­i delle linee di produzione o i tecnici degli impianti, le competenze sono indissolub­ilmente legate all’esperienza e gli anta rappresent­ano un’area di affidabili­tà. Al di là del dato anagrafico che è un dato oggettivo ci sono poi tutti i percorsi di riqualific­azione che sono stati fatti». Anche dai cinquanten­ni. Se andiamo a vedere i numeri questo ha fatto sì che «nel 2016 oltre un quarto delle 1.360 persone supportate nella transizion­e di carriera era over 50 e nell’86% dei casi la ricollocaz­ione è avvenuta in meno di 6 mesi», dice Pedone. Da Experis, la talent company del gruppo Manpower, parlano «della richiesta da parte delle aziende di profession­alità con competenze tecniche e trasversal­i distintive e di un certo livello di maturità nel gestire, supportand­one lo sviluppo di carriera, le generazion­i più giovani già entrate o in attesa di ingresso nel mondo del lavoro». Già perché a cinquant’anni le aziende sanno bene che, tra l’altro, si può fare anche la staffetta generazion­ale.

LE DINAMICHE Dalle multinazio­nali alle aziende innovative passando per il volontaria­to: una generazion­e prova a giocare le proprie carte

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy