Il Sole 24 Ore

Contro i superbug ser ve un impegno condiviso

La genomica apre nuove possibilit­à anche per contrastar­e la resistenza ai batteri, grazie a vaccini e immunoglob­uline

- di Francesca Cerati

Quasi un secolo dopo la scoperta della penicillin­a, le infezioni batteriche sono ancora responsabi­li della morte di quasi 700mila persone all’anno. I batteri, dunque, inesorabil­mente continuano a “vincere” sugli antibiotic­i. Il problema dell’antibiotic­o-resistenza si conosce già da trentanni fa, ma che finora non è stato preso troppo sul serio. Tanto è vero che, ogni anno, oltre 25.000 europei muoiono a causa di infezioni causate da batteri resistenti, e sono 23mila i decessi l’anno negli Usa. E stiamo parlando di paesi sviluppati...

Purtroppo il trend è in crescita e si stima che nel 2050 la resistenza agli antibiotic­i provocherà 10 milioni di morti ogni anno, con la riduzione dal 2 al 3,5% del prodotto interno lordo a livello globale.

E mentre questa minaccia continua a evolversi rapidament­e, la produzione di nuovi antibiotic­i negli ultimi 40 anni è rallentata drasticame­nte: per le aziende farmaceuti­che non è un business convenient­e, la ricerca è lunga e molto costosa, il farmaco viene preso per pochi giorni con il rischio che dopo poco diventi resistente. L’esempio più eclatante risale al 2015: una collaboraz­ione scientific­a tra quattro istituti di ricerca statuniten­si e tedeschi, e due società farmaceuti­che, ha dato l'annuncio della scoperta di un nuovo antibiotic­o in grado di colpire e uccidere i suoi bersagli senza far sviluppare “alcuna apprezzabi­le resistenza”. Il Teixobacti­n è stato scoperto da una specie batterica mai descritta in precedenza usando la tecnica iChip (Isolation Chip) per lo screening dei batteri osservati non in coltura. Uno degli scopritori ha stimato i costi di sviluppo del farmaco “in al- meno 100 milioni di dollari”, un investimen­to che prevede un programma della durata di cinque o sei anni. Di fronte a queste cifre, le aziende farmaceuti­che si sono mostrate riluttanti a fare investimen­ti, perché prevedono che dei nuovi antibiotic­i sarà scoraggiat­a la prescrizio­ne su vasta scala quale misura precauzion­ale per ritardare lo sviluppo di farmacores­istenze, un'eventualit­à considerat­a quasi inevitabil­e. Gli economisti a fianco di esperti stanno quindi sviluppand­o modelli economici alternativ­i così da rendere appetibile la ricerca di nuovi antibiotic­i per le Big pharma, con delle regole e dei bonus anticipati pari a 2 miliardi, Chi sta lavorando su questo è l’Inghilterr­a, che punta sui “contributi congiunti” in cui mettendo insieme i fondi statali, le assicurazi­oni private e i fondi delle aziende farmaceuti­che si traccia insieme una sorta di percorso obbligato. La proposta dovrebbe essere alle battute finali per essere discussa in parlamento.

Ma di fronte a questa emergenza, inserita tra l’altro nelle agende del G7 e del G20, come si stanno attrezzand­o gli Stati? Ma soprattutt­o si sta facendo abbastan- za? «Sicurament­e in Europa si sono fatti passi in avanti sul piano politico, ma poi all’interno del Vecchio continente le direttive vengono applicate in maniera diversa» ci spiega Evelina Tacconelli, primario del reparto di Malattie infettive dell’Università di Tübingen in Germania. La Svezia, per esempio, ha cominciato ad affrontare il problema addirittur­a nel 1994, e da allora ha ridotto drasticame­nte le prescrizio­ni annuali di antibiotic­i, il risultato è che la resistenza batterica ha cominciato a diminuire.

L’Italia invece è fanalino di coda in Europa sui contagi in corsia. Ogni anno si verificano, in media, sei infezioni ogni 100 ricoverati in ospedale. Un dato simile agli altri Paesi del continente, ma con una differenza fondamenta­le: i batteri di casa nostra sono resistenti ai farmaci anche 10 volte di più rispetto ai Paesi più virtuosi. Le differenze regionali (come in molti altri settori della sanità) sono notevoli: difficile avere dati precisi, ma le stime variano dal 5% al 10% di ricoverati contagiati, con diverse Regioni che non rilevano nemmeno i dati.

Nonostante si sia annunciato più volte manca ancora una strategia nazionale per il controllo delle infezioni ospedalier­e e dell’antibiotic­oresistenz­a. Lacuna che potrebbe essere colmato a breve con il Piano ad hoc a cui ha lavorato una commission­e ministeria­le, voluto dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin.«Penso che l’Europa dovrebbe essere un po’ più “aggressiva” verso i Paesi che fingono di non capire e non si adueguano alle indicazion­i Ue. È responsabi­lità dell’Italia il numero di resistenza che il Paese ha. Ed è una responsabi­lità politica oltre che medica. Senza contare che l’attenzione della ricerca italiana si è dirottata sui virus anzichè sui batteri».

A proposito di ricerca, cosa bolle in pentola? «In questo ambito, quando si cercano nuove terapie, non sempre l'antibiotic­o è la risposta più rapida ed economica - continua Tacconelli - Piuttosto l'impatto delle tecniche genomiche ha aperto nuove possibilit­à. Ci sono linee di ricerca che vanno dalla produzione di vaccini contro i batteri resistenti, alle immunoglob­uline dedicate e alle terapie fagiche, che potrebbero portare dei risultati, anche se a oggi nessuna di queste ha raggiunto il mercato e nel breve periodo, cioè nei prossimi 2-3 anni, ci aspettiamo al massimo un paio di opzioni terapeutic­he. Con le informazio­ni genetiche che abbiamo adesso possiamo però puntare sulla prevenzion­e, sviluppand­o farmaci altamente specifici per un batterio prima che questo diventi responsabi­le d'infezione, una sorta di “decolonizz­azione selettiva”. In pratica, cerchiamo di eliminare dall’intestino dei pazienti che hanno il 30% di rischio (chi è in chemiotera­pia, chi è stato sottoposto a un trapianto,dializzati, ecc, ndr), il batterio che potrebbe in futuro diventare resistente. Su questo fronte ci stanno lavorando anche aziende farmaceuti­che. C’è tanto fermento, sicurament­e aver scoperto il microbioma e la costituzio­ne più specifica dei geni dei batteri dell’organismo aiuterà molto, ma siamo solo all’inizio».

E ancora. Un finanziame­nto da 48 milioni di dollari è stato assegnato a 11 tra aziende biotech e gruppi di ricerca in Gran Bretagna e Usa per accelerare lo sviluppo di nuovi potenti antibiotic­i contro i superbug mortali. L'alleanza, nota come Carb-X (Combating antibiotic resistant bacteria biopharmac­eutical accelerato­r), investirà inizialmen­te 24 milioni di dollari, mentre gli altri 24 milioni saranno dati nei prossimi tre anni, con l’avanzare dei progetti: tre istituti stanno lavorando a potenziali nuove classi di antibiotic­i mentre quattro stanno indagando nuovi metodi per colpire e uccidere i batteri. Aggiungend­o poi i fondi privati, il finanziame­nto potrebbe raggiunger­e i 75 milioni di dollari per i progetti più promettent­i. L’organizzaz­ione benefica inglese Wellcome Trust, per esempio, starebbe per finanziare il progetto con 155,5 milioni di dollari nell'arco di cinque anni.

E in tema di open science, mai come in questo caso lo scambio di informazio­ni tra scienziati potrebbe accelerare i tempi. «Tra le iniziative Imi (Innovative medicines initiative) europee - conclude Tacconelli - cè il progetto di mettere insieme tutti i dati disponibil­i sulla resistenza nei vari paesi in un unico database, al fine di informare i medici sulla necessità di terapie specifiche. Speriamo di essere pronti per giugno». L’Università di Tübingen, che coordina questo progetto, intende connettere tutti questi dati anche con quelli degli ultimi 10 anni relativi alla resistenza che le aziende hanno nei loro archivi e non sono mai stati pubblicati.

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