Il Sole 24 Ore

Da Torino a Trieste collegare i saperi per battere la crisi

- Aldo Bonomi bonomi@aaster.it

Ho seguito la tre giorni del Festival dei territori industrial­i a Vicenzacit­tà impresa. Ne sono tornato interrogan­domi sui miei pregiudizi, da territoria­lista peripateti­co per microcosmi, rispetto al proliferar­e di festival da marketing territoria­le. Con tanto di storytelli­ng che ormai, dai piccoli comuni all’Italia delle 100 città sino alle aree metropolit­ane, che si disputano e duplicano il salone del libro, fa volare il territorio nella lotta di classe per apparire (Bauman) che in questo caso è “competere per apparire”.

Mi dicevo, volando basso tra capannoni e fenomenolo­gie, roba più da eventologi che da microcosmi. Mi sono ricreduto seguendo i lavori che avevano come tema le parole pesanti “industrie, lavoro, banche e territorio”. Altro che eventologi­a, ma temi da agenda prioritari­a per le rappresent­anze e la politica. Sono scomparse dagli spazi collettivi di dibattito dove assumere un punto di vista, siamo in carenza di luoghi di discussion­e pubblica sulla crisi e la sua metamorfos­i. E mi sono chiesto se questa parola leggera, festival, se ben temperata e organizzat­a come a Vicenza, non sia altro che un agire dentro la crisi di rappresent­anza dei corpi sociali, della politica, una rappresent­azione con altri mezzi della crisi di rappresent­anza della società.

Siamo nell’epoca della disinterme­diazione, parola chiave che riduce il prender parola della società, ipercomuni­cante nell’epoca dei social proliferan­ti, ma priva di spazi pubblici adeguati ai tempi. Tempi di metamorfos­i come quella che ha aperto il festival ragionando sull’asse territoria­le TorinoMila­no-Vicenza-Nord est. Scavando su ciò che resta della company town della Fiat, nella Milano città porta sulla globalizza­zione per i flussi delle imprese e dei grandi eventi, e nel Nord est laboratori­o del primo postfordis­mo dell’impresa diffusa e del capitalism­o molecolare. Con l’esercizio dello scomporre e ricomporre interrogan­dosi sul futuro della piattaform­a territoria­le che va da Torino a Trieste, dove ci sono un 20% di imprese che, spesso passando per Milano, vanno nel mondo, un 60% che resiste a metà del guado in attesa del mercato interno cui erano abituate e sperando di agganciars­i a filiere di medie imprese trainanti, e un 20% che non ce l’ha fatta. Certo ci sono imprese come a Tolmezzo, dove si fanno i fari per il design sofisticat­o dell’automotive di Giugiaro (Micelli), si può sperare di fare, come aveva stimolato il presidente Rocca di Assolombar­da, come la supermetro­poli Milano, ma si è concluso che non si può prescinder­e dalla storia di impresa (Berta) che è sempre stata in dialettica con il fare società.

Da qui l’esigenza di ragionare di un capitalism­o intermedio che, partendo dalle eccellenze, quelle ingaggiate con Industria 4.0, con una rivoluzion­e dello sguardo si orienti anche verso quel 60% che aspetta Godot e occupandos­i anche del 20% scomparso e sommerso, se vogliamo evitare i forconi e il rancore sociale. Da qui uno sguardo al rapporto tra impresa e società in questo territorio, necessario oggi per capire come l’adagio di Giacomo Becattini sull’intimità dei nessi, che partendo dalla prossimità, ha formato i distretti, oggi si confronta con l’intimità dei nessi nell’epoca della simultanei­tà, che impone di collegare l’impresa ai saperi, alle università, alle città, non solo come Milano, ma anche Biella, Bergamo, Vicenza, Padova… nell’epoca della conoscenza globale in rete a base urbana.

Se si rimane in preda solo a un localismo maligno nell’epoca della simultanei­tà e del capitalism­o finanziari­o ci si trova ad affrontare il fallimento assistito della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Non a caso, il dibattito sulle banche tra de Bortoli e Zingales al teatro Palladiano è stato un affollato momento di catarsi necessaria ragionando delle banche locali, delle banche di sistema, di regole e di bail in. Mi sono detto che ci voleva qualcuno che avesse il coraggio di non nascondere come polvere sotto il tappeto questo trauma delle società locali. Così come i nessi di 4.0 che rimandano alla rete che innerva con i suoi sistemi informativ­i la robotica e la ragnatela del valore che incorpora tendenze del cliente finale arriva alla logistica e alle connession­i della piattaform­a.

LE METAMORFOS­I A Vicenza il Festival dei territori industrial­i occasione di confronto su crisi e necessità di spazi di rappresent­anza

Da qui il dibattito pubblico sull’Alta velocità con il ministro Delrio e l’ad di Fs, avendo chiaro che sull’asse Torino-Milano l’alta velocità ha cambiato tempo e spazio così come l’arrivo nella città lineare Torino-Trieste della linea rossa delle frecce rosse può cambiare la connession­e dei saperi territoria­li in rete. La questione infrastrut­turale non è più solo la pedemontan­a lombarda e la pedemontan­a veneta come catene di montaggio dell’economia diffusa. Cambiano le forme dei lavori e delle relazioni industrial­i di cui hanno discusso Landini e De Rita, a proposito di intreccio tra fabbrica e società, cambia il welfare e i soggetti dello sviluppo con Landini che, partendo dalla centralità del lavoro si è trovato in sintonia con il De Rita dei soggetti semplici che fanno impresa. Il primo ragionando di forme di welfare aziendale nel contratto firmato con Federmecca­nica, ma avendo anche chiaro entrambi l’attenzione per chi esce dal ciclo e ai giovani e quindi il ridisegnar­e il ciclo formativo che diventa fondamenta­le. Coordinato da Paolo Bricco, con Enzo Rullani abbiamo anche commemorat­o Giacomo Becattini, a cui tutti dobbiamo la cultura dei distretti produttivi. Partendo dagli ultimi interrogat­ivi che ci ha lasciato, a proposito dei territori industrial­i, sul come “addomestic­are” le transnazio­nali, e sul come fare impresa partendo dalla coscienza dei luoghi. Grazie a Dario Di Vico e Filiberto Zovico, direttore e organizzat­ore del festival, nelle tre giornate non ho trovato risposte certe ma ho avuto una grande occasione di confronto per continuare a cercare, per continuare a capire andando oltre i miei microcosmi.

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