Quell’«intollerabile» autonomia delle Camere
Siamo abituati, più o meno dall’avvento della cosiddetta seconda repubblica, all’espropriazione delle funzioni delle camere da parte di governi e maggioranze. Succede nel processo di formazione delle leggi, spesso elaborate nei palazzi di governo o in riunioni di maggioranza, senza che le camere abbiano altro ruolo che non sia meramente passivo e recettivo; per l’elezione di componenti delle massime istituzioni, interne od esterne ai due rami del parlamento. L’informazione da parte dei governi sulle decisioni più importanti, o sugli eventi di interesse pubblico, non avviene ormai più nelle aule del parlamento, sostituite dalle emittenti televisive e dai mezzi di comunicazione sociali. I parlamentari sono designati direttamente da poche persone essi stessi, anziché dagli elettori, con perdita di conoscenza reciproca e conseguenze sulla rela- zione tra popolo e istituzioni; una volta insediati, eseguono praticamente ordini.
Questioni note ai lettori del Sole. Capita peraltro che le camere talora si divincolino dalla pressione, e riprendano l’esercizio diretto di qualcuna delle proprie funzioni. È successo in questi giorni, con l’elezione da parte della commissione affari costituzionali del senato di un presidente diverso da quello concordato tra i vertici dei partiti di una maggioranza dai confini divenuti peraltro labili, per le mille migrazioni parlamentari e la rottura den- tro il maggiore partito.
Sono istruttive, per valutare lo stato delle relazioni tra partiti e istituzione parlamentare, le reazioni politiche. Come dire, l’intollerabile autonomia delle camere. Le reazioni immediate, estreme, quasi isteriche del primo momento; e quelle successive, opportunamente temperate dal disastroso timore del ridicolo. Ridicolo sfiorato, per chi riconosce il pentimento, da parte di chi ha ventilato la caduta del governo, con corredo di inevitabili elezioni anticipate, senza legge elettorale e con quasi tutti i cantieri della politica in piena attività; sfiorato da chi ha pensato di coinvolgere il capo dello Stato, che fortunatamente di istituzioni e separazione tra i poteri si intende per averle praticate ed insegnate; ridicolo,invece, colpito in pieno da chi ha ritenuto l’onta troppo grande per non espellere dal partito di appartenenza il neoeletto.
Magari in modo un po’ pedante, vale la pena di misurare il rap- porto tra l’atto della commissione - di insubordinazione agli occhi dei partiti coinvolti, o di elementare autonomia per i più, si spera - e queste - ventilate o messe in atto che siano – e quelle reazioni. Sarà utile a definire il grado di prevaricazione dei partiti nei confronti delle istituzioni, e il grado di scarsa coscienza di quanto sia anomala la situazione. Se una riforma del sistema istituzionale è urgente, si identifica nella restituzione ai cittadini del rapporto con le camere, attraverso il ripristino dell’elezione personale e diretta dei propri rappresentanti. L’obbligo di mettere mano ad una nuova legge elettorale impone di ricordare questa esigenza. E, subito accanto, nel ripristino dell’attribuzione agli organi parlamentari dell’esercizio delle funzioni proprie, tutte in via di fatto “esternalizzate”: da quella legislativa, a quelle di indirizzo e controllo, fino a quelle di nomina od elezione. Riforma peraltro già magistralmen- te scritta negli articoli della costituzione riferiti al parlamento; e in gran parte attuabile per via di modifiche ai regolamenti delle camere, e di rimozione dei detriti di precedenti e prassi devianti.
Con una forzatura veniale, si spera, si può ricondurre al tema dei rapporti tra partiti e istituzioni la recente vicenda di una grave gazzarra del movimento cinque stelle a Montecitorio, e delle pesanti sanzioni adottate dall’ufficio di presidenza. Grave la gazzarra per un profilo strettamente istituzionale, in quanto inscenata, con appendice sulla piazza, contro una decisione non condivisa nel merito, ma perfettamente regolare e legittima nella forma. Grave, quindi, per il rigetto del principio di maggioranza, su cui si reggono le democrazie. Non un buon viatico in vista dei futuri, eventuali successi elettorali di quel movimento.
Ma grave, pur nella sua piena legittimità, la dimensione della sanzione, che esclude dai lavori dell’aula quarantadue parlamentari di uno stesso, con la cautela di uno scaglionamento. Opportuna in questo caso, la sanzione deve trovare in sé l’equilibrio di non altera- re in modo sostanziale i rapporti tra gruppi, privilegiando il forte accento simbolico che comunque accompagna un provvedimento di esclusione dall’aula.
L’occasione consente di mettere a fuoco un rilievo rivolto su queste colonne al presidente della camera per l’attività direttamente politica svolta soprattutto in questo periodo, in relazione alla ricostituzione del campo della sinistra, di cui si sente legittimamente parte. Nessun atto parlamentare di questo presidente consente di intaccarne la sostanziale terzietà, e questo va riconosciuto. Dal punto di vista formale, però, un presidente è terzo se non offre in alcuna occasione la possibilità ad altri di considerarlo un avversario politico. In questo momento, magari strumentalmente, il gruppo politico oggetto di sanzioni individuali nei confronti di propri deputati, potrebbe reagire definendo il presidente un avversario politico. Fu Sandro Pertini, presidente di camera e repubblica, ad affermare che l’apparire terzo, per una figura di garanzia istituzionale, fa parte dell’esserlo.
L’ELEZIONE DIRETTA Se una riforma del sistema istituzionale è urgente è il ripristino dell’elezione personale e diretta dei propri rappresentanti