La Shell e gli affari del «Capo»
La compagnia sapeva che il miliardo pagato non sarebbe andato nelle casse del Tesoro nigeriano
L’«AUTO-CONCESSIONE» Dan Etete aveva dato la licenza a Malabu, società da lui controllata, ma senza l’avallo del nuovo Governo non sarebbe riuscito a venderla
I RISCONTRI La Procura di Milano ritiene di aver trovato evidenza del fatto che Etete abbia spartito il bottino con pubblici ufficiali del suo Paese
«Hanno controllato tutte le email [...] Apparentemente c’erano chiacchiere senza controllo di alcuni dei nostri [...] i quali avrebbero detto cose come “mi domando chi abbia preso mazzette”, o cose del genere. Insomma corrispondenza elettronica che non ci aiuta». A parlare in questi termini quel 17 febbraio 2016 è l’amministratore delegato di Shell, Ben van Beurden, che aggiorna il suo direttore finanziario dell’epoca Simon Henry, in quel momento in viaggio all’estero, dopo che la perquisizione dei suoi uffici da parte della polizia olandese.
A far intervenire le autorità dei Paesi Bassi, e attivare anche l’intercettazione di quella telefonata, è stata la Procura di Milano che dall’autunno del 2013 indaga sull’acquisizione della licenza d’esplorazione del campo petrolifero nigeriano Opl 245.
Sia l’attenzione degli inquirenti italiani - i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro e il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza – sia quella dei media si è finora focalizzata soprattutto su Eni, la compagnia petrolifera italiana che assieme a Shell ha acquistato la licenza Opl 245 investendo un totale di 1,3 miliardi di dollari.
Il ruolo giocato da Shell è invece passato in secondo piano. Ma un’inchiesta condotta dal Sole 24 Ore in collaborazione con il sito d’informazione anglofono Buzzfeed, oltre al testo della conversazione dell’ad di Shell, ha portato alla luce centinaia di comunicazioni e documenti che dimostrano il ruolo chiave giocato dalla compagnia anglo-olandese. E soprattutto dimostrano che i suoi dirigenti erano consapevoli che il miliardo di dollari (per l’esattezza sono 1.092 milioni) formalmente pagato al Governo nigeriano sarebbe in realtà andato a soddisfare il quasi insaziabile appetito di Dan Etete, il “Capo” che anni prima, da ministro del Petrolio, aveva assegnato la preziosissima licenza a una società, Malabu, da lui stesso segretamente controllata. I dirigenti di Shell sapevano inoltre che Etete, ormai fuori dal governo, si sarebbe trovato nelle condizioni di dover dirottare gran parte dei fondi ricevuti su personaggi a lui vicini ai vertici dello Stato nigeriano. Senza il cui assenso l’operazione non sarebbe potuta andare in porto.
Domani sera su Rai 3 il tema sarà al centro di un servizio di Luca Chianca su Report, la trasmissione ora condotta da Sigfrido Ranucci.
Che l’affare fosse viziato dal peccato originale di una licenza esplorativa “auto-concessa” dal ministro del Petrolio, era chiaro a tutti coloro che ne conoscevano i dettagli, incluso ovviamente le compagnie petrolifere. E che a beneficiare di un miliardo e 92 milioni inizialmente trasferiti su un conto aperto dal ministero del Tesoro nigeriano a Londra e poi trasferiti a Malabu in seguito ad accordi meticolosamente predefiniti dalle compagnie petrolifere con il Governo di Abuja e il team di Etete, era stato rivelato da un’inchiesta del Sole 24 Ore.
Ma dalle carte che il nostro giornale e Buzzfeed sono oggi in grado di rendere pubbliche emerge che i dirigenti della società anglo-olandese erano anche consapevoli del rischio corruzione. Dal testo della rogatoria inoltrata in Olanda si viene inoltre per la prima volta a sapere che, con un lavoro certosino coadiuvato dall’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, gli inquirenti milanesi hanno accertato che la gran parte dei fondi andati a Malabu - circa 737 milioni di dollari - “non è rimasta in possesso dell’apparente venditore (Dan Etete, dominus della società Malabu) ma è stata spezzettata tra numerosi destinatari, in alcuni casi ragionevolmente qualificabili come anomali o sospetti”. In particolare il grosso sarebbe arrivato a società che “possono essere ricondotte ad Abubakar Alhaji Aliyu, soggetto che secondo molteplici fonti è collegato a importanti pubblici ufficiali nigeriani”.
Il Sole 24 Ore e Buzzfeed hanno rivolto a Shell una serie di domande specifiche. Un portavoce della compagnia petrolifera dell’Aja ha risposto semplicemente spiegando che, «sulla base della nostra lettura della documentazione depositata dalla procura di Milano e di tutte le informazioni a noi disponibili, non crediamo che le accuse abbiano fondamento giuridico. Né abbiamo contezza dell’esistenza di prove che giustifichino un procedimento contro nostri funzionari, presenti o passati». Il portavoce ha poi aggiunto anche che, «qualora, in ultima analisi, ci fossero prove di pagamenti impropri da parte di Malabu o di altri a favore di funzionari governativi, la nostra posizione è che nessuno di questi pagamenti è stato effettuato con la conoscenza, l’autorizzazione o per conto di Shell».
Da parte sua, Eni ha tenuto a sottolineare che «Eni e Shell stanno cooperando con le autorità competenti in Italia e in Nigeria. Continueremo a collaborare con le autorità competenti nell’ambito delle indagini e ribadiamo nuovamente il fatto che Eni e il suo personale non sono stati coinvolti in nessun illecito».
Sugli illeciti si esprimerà il Tribunale di Milano, ma nel frattempo i documenti arrivati dalle autorità giudiziarie olandesi ci danno un’idea piuttosto chiara di quello che è successo dentro Shell nei mesi precedenti, e nelle settimane successive, al pagamento con cui è stata acquistata la licenza.
Innanzitutto le email interne attestano il fatto che a Shell era assolutamente chiaro che il grosso del denaro sarebbe andato a Etete. Affermando il desiderio di non offrire più di 1,3 miliar- di di dollari, l’allora direttore generale di Shell Malcolm Brinded aveva infatti scritto: “È nostra ferma intenzione non andare oltre questa cifra, che ha il vantaggio di far avere a Malabu oltre un miliardo di dollari”.
Dalle stesse email apprendiamo anche che quella struttura di accordo aveva “il sostegno di tutti, incluso Peter Voser (( ndr: l’allora amministratore delegato), Simon ( ndr: l'allora direttore finanziario Simon Henry) e Peter Rees ( ndr: l’allora direttore legale)”.
Ma le comunicazioni elettroniche più imbarazzanti per Shell sono quelle in cui alcuni dei funzionari– ex membri del MI6, il servizio segreto esterni di sua maestà – informano i superiori di quello che hanno appreso da loro fonti locali sulla destinazione finale del denaro che sarebbe andato a Etete.
Il 5 gennaio 2009 un ex agente segreto passato a lavorare per Shell, John Copleston, scrive: “Ho incontrato il mio uomo nel Delta. Ha parlato alla signora E(tete) questa mattina. Secondo lei, E(tete) va dicendo che potrà tenere solo 40 dei 300 milioni che gli vengono offerti - il resto servirà a pagare gli altri”.
In una successiva mail, Guy Colegate, un altro ex agente segreto, spiega che Etete “ha bisogno di forzare la mano perché ha promesso regalie ad altri”.
In un allegato classificato come “tutelato da riservatezza e confidenziale”, si legge poi che, “il presidente ( ndr: della Repubblica nigeriana) vuole concludere la questione 245 in fretta, spinto dall’aspettativa dei fondi che Malabu riceverà e dei contributi politici che ne deriveranno di conseguenza”.
Agli ex agenti di sua maestà, entrambi indagati dalla Procura di Milano, era noto il forte legame tra Etete e il presidente nigeriano appena eletto, Jonathan Goodluck. “Etete è molto vicino a Jonathan, che ha impiegato come insegnante privato per i suoi figli quando lui era ministro del Petrolio e Jonathan era docente presso l’Università di Tecnologia”, scrive Copleston.
Ancora più diretto nei suoi messaggi è il suo collega Colegate: “Etete sostiene di avere una lettera del presidente che conferma il 100% della licenza a Malabu. Questa lettera è chiaramente un tentativo di far arrivare una montagna di soldi a GLJ ( ndr: Goodluck Jonathan) come parte di qualsiasi transazione. La nostra fonte dice che questa lettera ’ha seriamente danneggiato la trattativa’ in quanto Etete è adesso ‘incontrollabile'”.
Il fatto che Jonathan potesse essere destinatario di tangenti era noto anche a Ednan Agaev, un ex ambasciatore e agente segreto russo che ha operato da mediatore per conto di Etete. Alle autorità italiane Agaev ha detto: «Etete mi ha spiegato di dover pagare 400 milioni. E se questo è vero – se ha pagato 400 milioni – vuol dire che il presidente, come capo supremo, ha preso almeno la metà».
Adoke ha sempre negato ogni addebito sull’Opl 245, ma le autorità nigeriane lo hanno accusato di corruzione, emettendo un mandato di cattura. Ha negato anche Goodluck Jonathan, il cui portavoce alcuni mesi fa ha dichiarato: « Vogliamo mettere in chiaro che l’ex presidente Jonathan non è stato accusato o imputato di nulla riguardo a
possibili tangenti [...] E vi segnaliamo per l’ennesima volta che non possiede alcun conto bancario o proprietà immobiliare al di fuori della Nigeria » .
Comunque sia andata, non c’è ormai più alcun dubbio che i dirigenti di Shell sapessero perfettamente con chi avevano a che fare. Ma non erano sufficientemente preoccupati né dal “peccato originale” della licenza auto- concessa né dalla condanna per riciclaggio avuta da Etete in Francia.
Emblematico è lo scambio di email quando apprendono che un tribunale francese lo ha condannato in absentia per riciclaggio di denaro. “Signori, ho pensato che la cosa sia di vostro interesse”, il direttore legale per l’esplorazione e la produzione Keith Ruddock scrive in una email in cui comunicava la notizia al direttore generale Brinded e a quello finanziario Henry. E aggiunge: “Stiamo pensando a come trarre vantaggio da questo sviluppo”.
Particolarmente ironica da leggere oggi è la mail con la quale lo stesso Ruddock riferisce di un incontro da lui avuto a Bruxelles. “La settimana scorsa, in occasione di una riunione del consiglio di Eiti, sono stato incastrato dai rappresentanti di Ong interessate al tema della trasparenza”, scrive il legale, riferendosi al consiglio della Extractive Industries Transparency Initiative, un’iniziativa internazionale che coinvolge governi, Ong e società private, lanciata per promuovere standard di trasparenza e responsabilità nel settore minerario-petrolifero e sottoscritta sia da Shell sia da Eni.
Continua Ruddock: “Avevano letto sulla stampa di una nostra possibile transazione e volevano essere rassicurati che il Capo E. non tragga benefici dall’accordo. Io mi sono mantenuto vago sulle prospettive di un qualsiasi accordo, ma ho spiegato che Shell era consapevole del passato del Capo E. e che si comporterà di conseguenza”.
La Procura di Milano ritiene di aver trovato anche evidenza del fatto che Etete abbia effettivamente spartito il bottino con pubblici ufficiali del suo Paese. “Il 29 agosto 2011, dal conto di Malabu presso First Bank of Nigeria, sono stati trasferiti 180 milioni di dollari a favore di Mega Tech Engineering”, ha scritto il pm De Pasquale nella rogatoria nei Paesi Bassi. “Le informazioni riferibili a tale società alimentano fondati sospetti circa la legittimità di tale trasferimento. La società Mega Tech Engineering risulta infatti essere collegata al cittadino britannico Jeffrey Tesler [...]. La presenza di Tesler nell’affare Opl 245 desta fortissimi motivi di sospetto. Va premesso che il suo ruolo quale intermediario di pagamenti corruttivi in Nigeria è emerso nel procedimento cosiddetto ‘Bonny Island’. In quel caso aveva ricevuto, quale mediatore, commissioni per oltre 130 milioni di dollari pagate dal consorzio internazionale Tskj e destinate a favore di alti Pubblici Ufficiali nigeriani, tra cui l’allora ministero del Petrolio Dan Etete”.
Due anni e mezzo dopo quel bonifico da 180 milioni, a Londra è successa una cosa molto curiosa: alle 18,56 del 9 gennaio 2014, Tesler si è spontaneamente presentato presso la stazione di polizia di Colindale, nel Nord della capitale britannica, con una valigetta nera che ha spiegato di aver ricevuto da un nigeriano. Dentro la Samsonite sono risultati esserci 378.670 sterline, immediatamente sequestrate dalla polizia.
Tesler ha raccontato di essere stato avvicinato, tempo addietro, da due funzionari nigeriani che gli avevano offerto “un regalo” di 2 milioni di dollari da parte di Etete per ragioni a lui sconosciute. Si sarebbe però dovuto recare a prenderli in contanti in Nigeria.
In conformità con il patteggiamento da lui fatto con il Dipartimento di Giustizia per evitare il carcere nel procedimento su Bonny Island, Tesler aveva informato le autorità Usa senza mai recarsi in Nigeria. Tempo dopo, gli stessi funzionari nigeriani lo avevano convocato in un albergo di Londra per consegnargli quella valigia.
Una storia difficile da credere. Il Sole 24 Ore e Buzzfeed hanno cercato di chiedere spiegazioni a Tesler, ma senza successo. La procura ovviamente sospetta che quella somma fosse il compenso per servizi dati sull’affare Opl 245.
Da parte loro, Shell ed Eni respingono ogni addebito, negando siano state trovate evidenze di un qualsiasi loro ruolo in azioni corruttive. «Contestiamo fortemente queste affermazioni, in quanto non sono supportate né da fatti, né dagli accordi sottostanti o dalle indagini indipendenti condotte fino a oggi e, pertanto, devono essere respinte per mancanza di sostanza e merito. Continuiamo a sottolineare il fatto che Eni e il suo personale non sono stati coinvolti in nessun illecito», ci ha detto la compagnia italiana. Mentre da quella anglo-olandese, ci è stato detto che «Shell attribuisce grandissima importanza alla correttezza della sua condotta. È al centro dei suoi valori e dei suoi principi che governano il modo con il quale conduce affari».
I fatti dimostrano qua quanto.anto