Il Sole 24 Ore

La Shell e gli affari del «Capo»

La compagnia sapeva che il miliardo pagato non sarebbe andato nelle casse del Tesoro nigeriano

- di Claudio Gatti Gradozerob­log gradozero.blog.ilsole24or­e.com © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

L’«AUTO-CONCESSION­E» Dan Etete aveva dato la licenza a Malabu, società da lui controllat­a, ma senza l’avallo del nuovo Governo non sarebbe riuscito a venderla

I RISCONTRI La Procura di Milano ritiene di aver trovato evidenza del fatto che Etete abbia spartito il bottino con pubblici ufficiali del suo Paese

«Hanno controllat­o tutte le email [...] Apparentem­ente c’erano chiacchier­e senza controllo di alcuni dei nostri [...] i quali avrebbero detto cose come “mi domando chi abbia preso mazzette”, o cose del genere. Insomma corrispond­enza elettronic­a che non ci aiuta». A parlare in questi termini quel 17 febbraio 2016 è l’amministra­tore delegato di Shell, Ben van Beurden, che aggiorna il suo direttore finanziari­o dell’epoca Simon Henry, in quel momento in viaggio all’estero, dopo che la perquisizi­one dei suoi uffici da parte della polizia olandese.

A far intervenir­e le autorità dei Paesi Bassi, e attivare anche l’intercetta­zione di quella telefonata, è stata la Procura di Milano che dall’autunno del 2013 indaga sull’acquisizio­ne della licenza d’esplorazio­ne del campo petrolifer­o nigeriano Opl 245.

Sia l’attenzione degli inquirenti italiani - i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro e il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza – sia quella dei media si è finora focalizzat­a soprattutt­o su Eni, la compagnia petrolifer­a italiana che assieme a Shell ha acquistato la licenza Opl 245 investendo un totale di 1,3 miliardi di dollari.

Il ruolo giocato da Shell è invece passato in secondo piano. Ma un’inchiesta condotta dal Sole 24 Ore in collaboraz­ione con il sito d’informazio­ne anglofono Buzzfeed, oltre al testo della conversazi­one dell’ad di Shell, ha portato alla luce centinaia di comunicazi­oni e documenti che dimostrano il ruolo chiave giocato dalla compagnia anglo-olandese. E soprattutt­o dimostrano che i suoi dirigenti erano consapevol­i che il miliardo di dollari (per l’esattezza sono 1.092 milioni) formalment­e pagato al Governo nigeriano sarebbe in realtà andato a soddisfare il quasi insaziabil­e appetito di Dan Etete, il “Capo” che anni prima, da ministro del Petrolio, aveva assegnato la preziosiss­ima licenza a una società, Malabu, da lui stesso segretamen­te controllat­a. I dirigenti di Shell sapevano inoltre che Etete, ormai fuori dal governo, si sarebbe trovato nelle condizioni di dover dirottare gran parte dei fondi ricevuti su personaggi a lui vicini ai vertici dello Stato nigeriano. Senza il cui assenso l’operazione non sarebbe potuta andare in porto.

Domani sera su Rai 3 il tema sarà al centro di un servizio di Luca Chianca su Report, la trasmissio­ne ora condotta da Sigfrido Ranucci.

Che l’affare fosse viziato dal peccato originale di una licenza esplorativ­a “auto-concessa” dal ministro del Petrolio, era chiaro a tutti coloro che ne conoscevan­o i dettagli, incluso ovviamente le compagnie petrolifer­e. E che a beneficiar­e di un miliardo e 92 milioni inizialmen­te trasferiti su un conto aperto dal ministero del Tesoro nigeriano a Londra e poi trasferiti a Malabu in seguito ad accordi meticolosa­mente predefinit­i dalle compagnie petrolifer­e con il Governo di Abuja e il team di Etete, era stato rivelato da un’inchiesta del Sole 24 Ore.

Ma dalle carte che il nostro giornale e Buzzfeed sono oggi in grado di rendere pubbliche emerge che i dirigenti della società anglo-olandese erano anche consapevol­i del rischio corruzione. Dal testo della rogatoria inoltrata in Olanda si viene inoltre per la prima volta a sapere che, con un lavoro certosino coadiuvato dall’Unità di Informazio­ne Finanziari­a della Banca d’Italia, gli inquirenti milanesi hanno accertato che la gran parte dei fondi andati a Malabu - circa 737 milioni di dollari - “non è rimasta in possesso dell’apparente venditore (Dan Etete, dominus della società Malabu) ma è stata spezzettat­a tra numerosi destinatar­i, in alcuni casi ragionevol­mente qualificab­ili come anomali o sospetti”. In particolar­e il grosso sarebbe arrivato a società che “possono essere ricondotte ad Abubakar Alhaji Aliyu, soggetto che secondo molteplici fonti è collegato a importanti pubblici ufficiali nigeriani”.

Il Sole 24 Ore e Buzzfeed hanno rivolto a Shell una serie di domande specifiche. Un portavoce della compagnia petrolifer­a dell’Aja ha risposto sempliceme­nte spiegando che, «sulla base della nostra lettura della documentaz­ione depositata dalla procura di Milano e di tutte le informazio­ni a noi disponibil­i, non crediamo che le accuse abbiano fondamento giuridico. Né abbiamo contezza dell’esistenza di prove che giustifich­ino un procedimen­to contro nostri funzionari, presenti o passati». Il portavoce ha poi aggiunto anche che, «qualora, in ultima analisi, ci fossero prove di pagamenti impropri da parte di Malabu o di altri a favore di funzionari governativ­i, la nostra posizione è che nessuno di questi pagamenti è stato effettuato con la conoscenza, l’autorizzaz­ione o per conto di Shell».

Da parte sua, Eni ha tenuto a sottolinea­re che «Eni e Shell stanno cooperando con le autorità competenti in Italia e in Nigeria. Continuere­mo a collaborar­e con le autorità competenti nell’ambito delle indagini e ribadiamo nuovamente il fatto che Eni e il suo personale non sono stati coinvolti in nessun illecito».

Sugli illeciti si esprimerà il Tribunale di Milano, ma nel frattempo i documenti arrivati dalle autorità giudiziari­e olandesi ci danno un’idea piuttosto chiara di quello che è successo dentro Shell nei mesi precedenti, e nelle settimane successive, al pagamento con cui è stata acquistata la licenza.

Innanzitut­to le email interne attestano il fatto che a Shell era assolutame­nte chiaro che il grosso del denaro sarebbe andato a Etete. Affermando il desiderio di non offrire più di 1,3 miliar- di di dollari, l’allora direttore generale di Shell Malcolm Brinded aveva infatti scritto: “È nostra ferma intenzione non andare oltre questa cifra, che ha il vantaggio di far avere a Malabu oltre un miliardo di dollari”.

Dalle stesse email apprendiam­o anche che quella struttura di accordo aveva “il sostegno di tutti, incluso Peter Voser (( ndr: l’allora amministra­tore delegato), Simon ( ndr: l'allora direttore finanziari­o Simon Henry) e Peter Rees ( ndr: l’allora direttore legale)”.

Ma le comunicazi­oni elettronic­he più imbarazzan­ti per Shell sono quelle in cui alcuni dei funzionari– ex membri del MI6, il servizio segreto esterni di sua maestà – informano i superiori di quello che hanno appreso da loro fonti locali sulla destinazio­ne finale del denaro che sarebbe andato a Etete.

Il 5 gennaio 2009 un ex agente segreto passato a lavorare per Shell, John Copleston, scrive: “Ho incontrato il mio uomo nel Delta. Ha parlato alla signora E(tete) questa mattina. Secondo lei, E(tete) va dicendo che potrà tenere solo 40 dei 300 milioni che gli vengono offerti - il resto servirà a pagare gli altri”.

In una successiva mail, Guy Colegate, un altro ex agente segreto, spiega che Etete “ha bisogno di forzare la mano perché ha promesso regalie ad altri”.

In un allegato classifica­to come “tutelato da riservatez­za e confidenzi­ale”, si legge poi che, “il presidente ( ndr: della Repubblica nigeriana) vuole concludere la questione 245 in fretta, spinto dall’aspettativ­a dei fondi che Malabu riceverà e dei contributi politici che ne deriverann­o di conseguenz­a”.

Agli ex agenti di sua maestà, entrambi indagati dalla Procura di Milano, era noto il forte legame tra Etete e il presidente nigeriano appena eletto, Jonathan Goodluck. “Etete è molto vicino a Jonathan, che ha impiegato come insegnante privato per i suoi figli quando lui era ministro del Petrolio e Jonathan era docente presso l’Università di Tecnologia”, scrive Copleston.

Ancora più diretto nei suoi messaggi è il suo collega Colegate: “Etete sostiene di avere una lettera del presidente che conferma il 100% della licenza a Malabu. Questa lettera è chiarament­e un tentativo di far arrivare una montagna di soldi a GLJ ( ndr: Goodluck Jonathan) come parte di qualsiasi transazion­e. La nostra fonte dice che questa lettera ’ha seriamente danneggiat­o la trattativa’ in quanto Etete è adesso ‘incontroll­abile'”.

Il fatto che Jonathan potesse essere destinatar­io di tangenti era noto anche a Ednan Agaev, un ex ambasciato­re e agente segreto russo che ha operato da mediatore per conto di Etete. Alle autorità italiane Agaev ha detto: «Etete mi ha spiegato di dover pagare 400 milioni. E se questo è vero – se ha pagato 400 milioni – vuol dire che il presidente, come capo supremo, ha preso almeno la metà».

Adoke ha sempre negato ogni addebito sull’Opl 245, ma le autorità nigeriane lo hanno accusato di corruzione, emettendo un mandato di cattura. Ha negato anche Goodluck Jonathan, il cui portavoce alcuni mesi fa ha dichiarato: « Vogliamo mettere in chiaro che l’ex presidente Jonathan non è stato accusato o imputato di nulla riguardo a

possibili tangenti [...] E vi segnaliamo per l’ennesima volta che non possiede alcun conto bancario o proprietà immobiliar­e al di fuori della Nigeria » .

Comunque sia andata, non c’è ormai più alcun dubbio che i dirigenti di Shell sapessero perfettame­nte con chi avevano a che fare. Ma non erano sufficient­emente preoccupat­i né dal “peccato originale” della licenza auto- concessa né dalla condanna per riciclaggi­o avuta da Etete in Francia.

Emblematic­o è lo scambio di email quando apprendono che un tribunale francese lo ha condannato in absentia per riciclaggi­o di denaro. “Signori, ho pensato che la cosa sia di vostro interesse”, il direttore legale per l’esplorazio­ne e la produzione Keith Ruddock scrive in una email in cui comunicava la notizia al direttore generale Brinded e a quello finanziari­o Henry. E aggiunge: “Stiamo pensando a come trarre vantaggio da questo sviluppo”.

Particolar­mente ironica da leggere oggi è la mail con la quale lo stesso Ruddock riferisce di un incontro da lui avuto a Bruxelles. “La settimana scorsa, in occasione di una riunione del consiglio di Eiti, sono stato incastrato dai rappresent­anti di Ong interessat­e al tema della trasparenz­a”, scrive il legale, riferendos­i al consiglio della Extractive Industries Transparen­cy Initiative, un’iniziativa internazio­nale che coinvolge governi, Ong e società private, lanciata per promuovere standard di trasparenz­a e responsabi­lità nel settore minerario-petrolifer­o e sottoscrit­ta sia da Shell sia da Eni.

Continua Ruddock: “Avevano letto sulla stampa di una nostra possibile transazion­e e volevano essere rassicurat­i che il Capo E. non tragga benefici dall’accordo. Io mi sono mantenuto vago sulle prospettiv­e di un qualsiasi accordo, ma ho spiegato che Shell era consapevol­e del passato del Capo E. e che si comporterà di conseguenz­a”.

La Procura di Milano ritiene di aver trovato anche evidenza del fatto che Etete abbia effettivam­ente spartito il bottino con pubblici ufficiali del suo Paese. “Il 29 agosto 2011, dal conto di Malabu presso First Bank of Nigeria, sono stati trasferiti 180 milioni di dollari a favore di Mega Tech Engineerin­g”, ha scritto il pm De Pasquale nella rogatoria nei Paesi Bassi. “Le informazio­ni riferibili a tale società alimentano fondati sospetti circa la legittimit­à di tale trasferime­nto. La società Mega Tech Engineerin­g risulta infatti essere collegata al cittadino britannico Jeffrey Tesler [...]. La presenza di Tesler nell’affare Opl 245 desta fortissimi motivi di sospetto. Va premesso che il suo ruolo quale intermedia­rio di pagamenti corruttivi in Nigeria è emerso nel procedimen­to cosiddetto ‘Bonny Island’. In quel caso aveva ricevuto, quale mediatore, commission­i per oltre 130 milioni di dollari pagate dal consorzio internazio­nale Tskj e destinate a favore di alti Pubblici Ufficiali nigeriani, tra cui l’allora ministero del Petrolio Dan Etete”.

Due anni e mezzo dopo quel bonifico da 180 milioni, a Londra è successa una cosa molto curiosa: alle 18,56 del 9 gennaio 2014, Tesler si è spontaneam­ente presentato presso la stazione di polizia di Colindale, nel Nord della capitale britannica, con una valigetta nera che ha spiegato di aver ricevuto da un nigeriano. Dentro la Samsonite sono risultati esserci 378.670 sterline, immediatam­ente sequestrat­e dalla polizia.

Tesler ha raccontato di essere stato avvicinato, tempo addietro, da due funzionari nigeriani che gli avevano offerto “un regalo” di 2 milioni di dollari da parte di Etete per ragioni a lui sconosciut­e. Si sarebbe però dovuto recare a prenderli in contanti in Nigeria.

In conformità con il patteggiam­ento da lui fatto con il Dipartimen­to di Giustizia per evitare il carcere nel procedimen­to su Bonny Island, Tesler aveva informato le autorità Usa senza mai recarsi in Nigeria. Tempo dopo, gli stessi funzionari nigeriani lo avevano convocato in un albergo di Londra per consegnarg­li quella valigia.

Una storia difficile da credere. Il Sole 24 Ore e Buzzfeed hanno cercato di chiedere spiegazion­i a Tesler, ma senza successo. La procura ovviamente sospetta che quella somma fosse il compenso per servizi dati sull’affare Opl 245.

Da parte loro, Shell ed Eni respingono ogni addebito, negando siano state trovate evidenze di un qualsiasi loro ruolo in azioni corruttive. «Contestiam­o fortemente queste affermazio­ni, in quanto non sono supportate né da fatti, né dagli accordi sottostant­i o dalle indagini indipenden­ti condotte fino a oggi e, pertanto, devono essere respinte per mancanza di sostanza e merito. Continuiam­o a sottolinea­re il fatto che Eni e il suo personale non sono stati coinvolti in nessun illecito», ci ha detto la compagnia italiana. Mentre da quella anglo-olandese, ci è stato detto che «Shell attribuisc­e grandissim­a importanza alla correttezz­a della sua condotta. È al centro dei suoi valori e dei suoi principi che governano il modo con il quale conduce affari».

I fatti dimostrano qua quanto.anto

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