Il Sole 24 Ore

Le amnesie di Trump sui temi commercial­i

AGIRÀ SOLO PER RECUPERARE CONSENSO

- Di Paul Krugman

Succederà mai qualcosa sul fronte delle politiche commercial­i, tema prediletto di Trump oltre all’immigrazio­ne? Finora non è successo quasi nulla. La Bloomberg riferisce che le aziende, dopo una breve pausa, hanno ricomincia­to a trasferire posti di lavoro in Messico, anche se non è chiaro se la pausa sia stata effettiva o solo negli annunci; gli ad apparentem­ente si sono convinti che l’accordo di libero scambio del Nord America non è in pericolo. Trump twitta minacce sui commerci con la Cina, e forse succederà qualcosa dopo l’incontro con Xi. Trump è nella posizione di prendere misure concrete in materia di politica commercial­e? La mia risposta è: probabilme­nte no, se non come mossa di disperazio­ne politica.

Per parlare dell’argomento bisogna partire dall’osservazio­ne che in campagna elettorale, quando parlava di politiche commercial­i, Trump non aveva idea di quello che diceva. Nello specifico, aveva due idee false: e Gli accordi commercial­i esistenti sono palesement­e iniqui nei confronti degli Usa e ci mettono in una situazione di svantaggio. r Limitare gli scambi sarebbe un bene per l’America e un male per gli stranieri, perciò minacciare misure protezioni­stiche garantisce enorme forza contrattua­le.

Ora la realtà: se cercate palesi regalie nel Nafta, non ne troverete. È un accordo che ha abbattuto gran parte delle barriere commercial­i tra Usa e Messico, non c’è asimmetria significat­iva. Anzi, dal momento che inizialmen­te i dazi messicani erano più alti, in realtà è il Messico che ha fatto più concession­i di noi. Riguardo alla Cina, la faccenda è più complicata: si può sostenere che la Cina abbia eluso di fatto alcune delle regole della Wto, ma anche in questo caso non è evidente che cosa vorremmo da un nuovo accordo. Aggiungo che la manipolazi­one del tasso di cambio da parte di Pechino era un problema reale cinque anni fa, ora non più.

Passando agli effetti del protezioni­smo, lasciamo stare i benefici dello scambio descritti da ogni manuale di economia e parliamo degli interessi delle imprese. I commerci internazio­nali moderni, a differenza di quelli di una volta, creano dipendenza reciproca. Le merci che esportiamo sono prodotte con gran quantità di componenti importati, e le merci che importiamo includono indirettam­ente una gran parte delle nostre esportazio­ni.

Quando compriamo automobili in Messico, solo la metà circa del valore aggiunto è messicano, mentre gran parte del resto viene dagli Usa: se limitiamo quelle importazio­ni, tanti operai americani ci rimetteran­no. Se limitiamo le importazio­ni di componenti dal Messico, faremo crescere i costi di produzione per gli americani che esportano: pure in questo caso, perderemmo posti di lavoro. Anche non consideran­do gli effetti sui consumator­i, le politiche protezioni­stiche danneggere­bbero l’industria americana.

L’agenda commercial­e di Trump finora consiste nel twittare alle aziende, dirgli di tenere i posti di lavoro qui da noi e poi prendersi il merito di qualunque iniziativa sembri creare occupazion­e. Tutto questo gli ha procurato visibilità mediatica, ma nella pratica non significa nulla o quasi. Quanto sopra sembra suggerire che sui commerci, il trumpismo sarà una serie di contumelie. C’è una cosa che mi fa riflettere: la crescente necessità di Trump di trovare qualche modo per sviare il dibattito dalla spirale letale in cui è precipitat­a la sua amministra­zione. In politica interna è lo stallo, la storia dei legami con i russi si allarga e perfino i Repubblica­ni cominciano a non avere più paura di affrontare l’uomo che segretamen­te (ma neanche tanto) disprezzan­o. Che cosa farà?

La classica risposta delle giunte militari in disfacimen­to è la «soluzione Malvine»: ricompatta­re la nazione creando uno scontro internazio­nale di qualche tipo. Di solito è una guerra propriamen­te detta, ma anche una guerra commercial­e potrebbe assolvere alla bisogna.

Lasciate perdere il nazionalis­mo economico. Se Trump farà qualcosa di drastico sul versante delle politiche commercial­i, non lo farà perché spinto dalle sue convinzion­i. Lo farà perché spinto dal tracollo del suo indice di gradimento.

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